I mostri a due Teste dell’Istruzione Americana: i Dottorati di Scrittura Creativa

Dottorati in inglese e scrittura creativa. Sembra assurdo, all’occhio dell’italiano sepolto tra i tomi di letteratura e critica letteraria. Un’analisi femminista dell’opera di Molière. Letterature comparate come se piovesse. La schiena dello studente che s’incurva sempre di più, le gocce di sudore che cadono inesorabilmente sulle righe fitte fitte scritte da uno studioso estone dal nome impronunciabile. Questo significa fare un dottorato in materie umanistiche. Nient’altro.
D’accordo, sto esagerando. E’ vero anche che, secondo una qualche convinzione comune, studiare scrittura creativa in Italia va bene come hobby della domenica alla scuola privata o al club del libro di paese.

Non fraintendetemi: sono tutte esperienze che arricchiscono sempre, nel bene e nel male. I libri dell’aspirante scrittore, soprattutto se ha l’obiettivo di vendere parecchio, saranno letti non solo dagli intellettuali e dai critici, ma soprattutto dalla gente “comune”. Quindi il parere del circolo del libro è importante tanto quanto quello del professorone di letteratura. D’altro canto, per noi italiani, pensare di specializzarsi a livello di dottorato in una materia come Creative Writing sembra quantomeno bizzarro. Eppure il PhD in Creative Writing, o meglio, il “PhD in English, with Emphasis on Creative Writing” (Inglese con focus sulla Scrittura Creativa), esiste. E, a seconda della specializzazione dello studente, può vertere su fiction, poetry, non-fiction e altri generi (playwriting, screen writing, etc.). Insomma, quando hai finito i quattro anni di corso non dovresti (teoricamente) essere soltanto un cervellone, ma anche uno scrittore. Come se essere una sola delle due non fosse abbastanza complicato.

Il PhD in Inglese e Scrittura Creativa non è una passeggiata. Non è tutto readings (così sono chiamate le letture pubbliche) e discussioni su racconti al chiaro di luna accompagnati da birre e sigarette. O meglio, a volte lo è, ma ne è solo la parte più piacevole. Per essere un buon dottorando è opportuno imparare a insegnare inglese, scrivere secondo i canoni accademici e, ovviamente, fare ricerca. Ma non solo. Perché ovviamente, tra una conferenza, un meeting e un corso, lo studente dovrebbe anche cercare di scrivere i suoi sofferti romanzi. O racconti. O poesie. O memoir. Le cosiddette giornate di venticinque ore non sono mai abbastanza per il dottorando.

Ma alla fine – che poi è questo il punto focale – alla fine, questi studenti, questi ipotetici cervelloni, un contratto a una casa editrice lo strapperanno prima o poi o no? E se anche la risposta fosse sì, è davvero necessario prendere un dottorato per essere pubblicati? Assolutamente no. Per quello ci vogliono solo fortuna e talento.
Per quanto comprenda a pieno le controversie riguardo l’effettiva utilità di un corso di scrittura creativa, non solo a livello di workshop presso una scuola privata ma anche a livello accademico, riconosco che la scelta di conseguire un master (qui si chiamano MA o MFA, Master of Arts o Master of Fine Arts) o un dottorato in Creative Writing sia più intelligente di ciò che possa sembrare. Questo vale sia per lo scrittore in erba che per quello già pubblicato.

Diciamoci la verità: per quanto il sistema editoriale statunitense sia molto più fluido e prospero di quello italiano, pochissimi scrittori possono permettersi di vivere esclusivamente delle vendite dei propri romanzi o raccolte. Stephen King riceve anticipi da capogiro, e per questo può tranquillamente starsene a casa a fare foto alla sua canina Molly “The Thing of Evil” per postarle su Facebook (se non lo avete ancora fatto, a proposito, seguitelo. Non ve ne pentirete). Ma la maggior parte degli scrittori non può certo vantarsi di ricevere cifre simili per i propri lavori. Per questo motivo, però, grazie all’altissimo numero di programmi di Creative Writing in tutti gli USA, gli autori possono comunque vivere della propria scrittura, insegnando ciò che hanno imparato a una nuova generazione di aspiranti scrittori. In altre parole, gli scrittori pubblicati hanno bisogno di “finanziarsi” per permettersi di svolgere il mestiere che vorrebbero fare i loro stessi studenti, ovvero coloro che un giorno avranno lo stesso identico problema economico, a meno che tra le loro fila non si nasconda una nuova J.K. Rowling o James Patterson.

Conseguire un dottorato o un master significa quindi incontrare i criteri per poter insegnare all’università, dedicando una buona fetta di tempo alla didattica, ma garantendosi la tranquillità che basta per sedersi alla scrivania e scrivere senza doversi svegliare nel bel mezzo della notte col pensiero delle bollette che incombono.
Non sto dicendo che il motivo per cui i programmi in scrittura creativa a livello accademico abbiano avuto un enorme successo sia solo quello di sostenere gli scrittori pubblicati alla canna del gas. Alcuni docenti e scrittori credono profondamente nella didattica della scrittura creativa e provano un’enorme soddisfazione nel vedere i propri studenti crescere e sviluppare quella che chiamiamo “voce”. Non tutti hanno il talento né la costanza di continuare a scrivere a prescindere da ciò che viene richiesto dal professore, ma quello che conta è che in un dottorato di inglese e scrittura creativa non siano solo i corsi di poesia e narrativa ad arricchire l’esperienza dello studente. Il dottorando seguirà corsi di letteratura, di composizione, di linguistica. Non tutti strapperanno un contratto alla casa editrice, ma magari, tra le fila di chi vorrebbe diventare un grande scrittore, si nasconde anche chi diventerà un importante critico letterario, uno spietato agente, un talentuoso editore, un magnifico insegnante di letteratura o un brillante giornalista.

Studiare scrittura, leggere i grandi autori, analizzare le loro storie, vite e opere non può mai fare male, anche se non dovesse risultare in un anticipo da due milioni di dollari alla Penguin per il romanzo del secolo. Ecco perché, forse, dovremmo imparare dalla fiducia che gli Americani hanno nell’idea che ognuno prima o poi troverà la propria strada, dall’orgoglio di aver fatto parte di una comunità specifica (quella del campus) e di aver studiato una materia così interessante. Fidiamoci di noi stessi, senza mai darci importanza. Crediamoci. Negli Stati Uniti purtroppo l’istruzione è molto costosa, ma con una buona dose d’impegno è possibile lavorare all’università, e solitamente gli studenti del dottorato sono pagati profumatamente per studiare. Pagati per studiare ciò che vogliono, che sia letteratura, scrittura, linguistica. Solo questo dovrebbe convincerci che, dopotutto, fare un dottorato in Scrittura Creativa poi così male non è.

 

Educare all’editoria: cosa deve sapere un autore sprovveduto

Nel 2009, l’autrice Livia Manera intitolò un articolo sul Corriere della Sera dedicato alle scuole di scrittura creativa “Le fabbriche d illusioni”. Lo scetticismo nei confronti di queste scuole di scrittura è spesso giustificato dalla grande abbondanza di truffe confezionate ad arte da abili imprenditori e/o ciarlatani dell’editoria che non hanno mai pubblicato una riga.

Allo stesso modo, è facile alzare il sopracciglio di fronte alle migliaia di “packaging” di servizi editoriali online, come agenzie letterarie fittizie e case editrici fasulle dal sito professionalissimo che vantano distribuzioni “nelle principali librerie online” e una selezione dei manoscritti rigorosamente basata sulla qualità del romanzo. Alcune case editrici o servizi di questo tipo chiariscono subito quanto lo sprovveduto autore debba sborsare per vedere i propri lavori corretti, editati o addirittura pubblicati. Altre realtà, ancora più astutamente, non propongono un contributo monetario per la pubblicazione da parte dell’autore, ma richiedono – magari dopo che il povero scrittore ingenuo ha pure accettato un accordo – che egli acquisti o faccia acquistare un numero minimo di copie, garantendo quindi un guadagno sicuro all’ “editore” senza scrupoli. Dietro parole grosse come “casa editrice” e “agenzia letteraria” si cela quindi un mondo di approfittatori e truffatori.

Questo non significa che le riviste letterarie, le agenzie e i workshop di scrittura che richiedono un contributo da parte dell’autore siano tutti figli di cinici spremitori delle finanze dei sognatori. Ovviamente non è così. Un buon romanzo, prima di essere presentato a una casa editrice, ha bisogno del lavoro di un editor, così come spesso un bravo scrittore necessita di leggere molto e studiare la narrativa, organizzando il proprio lavoro in modo disciplinato e coerente. Tutte queste cose possono essere fatte senza scucire uno spicciolo. E’ nel porsi un obiettivo preciso che sta la differenza tra scegliere un percorso più difficile di un altro.

L’aspirante scrittore necessita, prima di iscriversi a una scuola, contattare un editor professionista e magari spedire il proprio lavoro a una casa editrice, di definire con calma i propri obiettivi.
Per esempio, non c’è niente di male a stampare un romanzo attraverso un servizio di self-publishing, ovvero auto-pubblicazione, o con un editore a pagamento. Alcuni autori desiderano solo vedere le proprie parole stampate su carta, senza occuparsi di questioni come l’etica dell’auto-pubblicazione o l’effettiva qualità del loro lavoro. Vogliono leggere il proprio nome scritto in copertina e vantarsi di aver “pubblicato un libro”, un libro con una copertina, tante pagine di carta stampate da poter sfogliare, toccare, annusare, a prescindere da servizi di editing e correzione di bozze. E’ giusto, quindi, che ci siano persone disposte a sfruttare le esigenze di questi autori, imprenditori che mettano a disposizione packaging dai prezzi diversi a seconda del tipo di revisione, promozione e distribuzione a cui l’autore aspira.

Detto questo, esistono buone case editrici o servizi attraverso cui auto-pubblicare il proprio libro, i cui editori sono ben chiari sin dal principio sui contributi dell’autore stesso. Allo stesso modo, molte scuole di scrittura o workshop letterari, nonostante i costi elevati, garantiscono classi ridotte, un criterio di selezione iniziale e docenti che sono anche scrittori importanti e conosciuti, come la Scuola Holden.
Realtà più piccole ma molto interessanti stanno nascendo un po’ ovunque in Italia, sebbene molti serbino un certo scetticismo nei confronti di chi pensa di saper insegnare a scrivere – e spesso gli stessi docenti di scrittura non lo pensano affatto.

E’ giusto, insomma, usufruire di un servizio a pagamento per provare a raggiungere la tanto sospirata pubblicazione? E’ vantaggioso, è utile in qualche modo?
Ciò che conta per l’autore sprovveduto è decidere la strada da intraprendere. Cosa si vuole scrivere, come e perché? Quali sono i tratti positivi di frequentare una scuola, di affidare un manoscritto a un editor, di pubblicare un racconto su un blog o una rivista più o meno conosciuta?

L’autore, diceva Umberto Eco, necessita di fare una buona gavetta. Uno potrebbe dunque domandarsi in cosa consista la gavetta per un aspirante scrittore – forse inerpicarsi su ogni pericoloso scalino della torre che dovrebbe portare alla pubblicazione?

In una lettera di risposta a una ragazza sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini ha definito quella dello scrittore una professione “destrutturata, che non ha un percorso istituzionale”. Il successo del singolo autore dipende da una serie di fattori più o meno prevedibili, come succede, va avanti Severgnini, ai calciatori e ai pittori. La fortuna di aver scritto un libro che ricalca perfettamente i trend del mercato editoriale del momento, o quella di proporre un buon manoscritto a una casa editrice che ha appena incassato un bel gruzzoletto grazie a un caso editoriale del tutto inaspettato.

Quindi, cosa tocca al povero autore sprovveduto? Come può un giovane laureato in lettere avvicinarsi al mondo della scrittura e dell’editoria, con la “presuntuosa” ambizione di vedere le proprie parole sulle pagine di un libro? Forse potrebbe esserci bisogno di un’educazione al mondo editoriale, che spinga il giovane autore a una maggiore consapevolezza dei mezzi disponibili e non disponibili, soprattutto sul web, dove le trappole impazzano.

Ovviamente il diciottenne autore di una saga fantasy può benissimo rappresentare il prossimo caso editoriale del secolo (vi dice nulla Eragon?), ma di solito un aspirante scrittore deve attendere anni prima di vedere qualcosa di proprio pubblicato da una casa editrice – che molto probabilmente non sarà la Mondadori.

Mille domande affollano la mente di un esordiente. Quali sono le riviste a cui vale la pena mandare un pezzo? Quali sono quelle che effettivamente daranno visibilità? Quali agenzie di correzione di bozze, traduzione e editing, così diffusi nel mondo del freelancing fuori dal circuito chiuso dell’editoria tradizionale, garantiscono effettivamente servizi di qualità? Quali scuole, gruppi e workshop di scrittura offrono programmi didattici interessanti, senza false promesse di pubblicazione garantita?

L’autore di oggi deve imparare a barcamenarsi tra offerte, pubblicità su internet e possibilità che generano spesso più interrogativi che certezze. Ed è per questo che un corso di educazione all’editoria, forse, potrebbe essere persino più utile di un corso di scrittura.

 

Lo studio della scrittura creativa e la sua utilità

Nel tempestoso clima dell’attuale mondo editoriale, sembra difficile pensare che sia possibile imparare a scrivere il grande romanzo italiano del ventunesimo secolo o un best-seller commerciale pronto a sbancare le classifiche. Eppure, i corsi e programmi di scrittura creativa prosperano, non soltanto per quanto riguarda le più prestigiose istituzioni statunitensi, ma anche per gli workshop locali e i club del libro, i cui docenti o mediatori sono più spesso abili imprenditori che scrittori di successo.
Alla luce di questo sorgerebbe spontanea l’ipotesi che, se in tutto il mondo il mercato editoriale sembrerebbe in declino, la fioritura di corsi di scrittura sia una di quelle che gli Americani chiamerebbero daylight robberies: rapine alla luce del sole. In altre parole: fregature. Pubblicare senza doversi prestare a case editrici fasulle o auto-pubblicazioni è semi-impossibile, ma imparare a scrivere un romanzo pubblicabile, se si è disposti a pagare, lo è: suona sospetto, è vero.

Sul The Atlantic, un giovane studente dell’Iowa Writers’ Workshop (il più prestigioso programma di scrittura creativa degli USA e del mondo) ha dichiarato che lui e la maggior parte dei suoi compagni girano per la biblioteca e le sontuose aule dell’Università ancora increduli di essere stati ammessi. Come se essere accettati in un programma così famoso garantisse la strada spianata verso la pubblicazione con un’ottima casa editrice, o come se le facoltà innate che permettono ad uno studente di essere ammesso al programma fossero doti eccezionali che condurranno – obbligatoriamente – ad una sfavillante carriera di scrittore. Chi lo sa. L’aura di mistero che circonda questi programmi non ha certo impedito la loro fioritura: sempre The Atlantic sostiene che, solo negli USA, i programmi di Creative Writing siano più di trecento, e il loro obiettivo sia quello di aiutare gli studenti a scrivere racconti, poesie e romanzi “di livello pubblicabile”, concetto che potremmo definire quantomeno controverso.

Pubblicabile secondo chi? Da chi? Vendibile? Adatto ai trend editoriali del momento? Sono molte le opere davvero buone scartate dalle agenzie letterarie e dalle case editrici perché proposte in un momento in cui, invece che un romanzo sociale, il mercato richiede un thriller psicologico sulla vita dei pendolari o un romanzo erotico per casalinghe, come è successo dopo il fenomeno di La Ragazza del Treno di Paula Hawkins o di Cinquanta Sfumature di Grigio di E.L. James.

L’idea di insegnare ad un gruppo di studenti più o meno talentuosi a scrivere un romanzo pubblicabile può sembrare strana, soprattutto agli Italiani. Insomma, l’Italia è una terra di grandi scrittori. Fare lo scrittore o il poeta, qui, è una cosa seria: lo scrittore è il vate, una figura circondata da un alone di rispetto e mistero. Il resto è solo spazzatura: libri di facile, troppo facile consumo, quelli considerati (spesso a ragione) la rovina del mondo editoriale, uno spreco di fondi che avrebbero potuto essere destinati ad una letteratura più seria e interessante.  Eppure, anche in Italia qualche corso di scrittura creativa esiste, basti pensare alla Scuola Holden, presieduta da Alessandro Baricco a Torino, alla Bottega Finzioni, a Bologna, dove insegna Carlo Lucarelli, star del noir e giallo italiano. Sempre a Bologna, lo scrittore Gianluca Morozzi organizza workshop da anni, mentre Antonella Cilento anima interessanti corsi di scrittura a Napoli. Questi sono solo pochi esempi nel mare di realtà locali su tutta la penisola.

La domanda, a prescindere dalla location e dal tipo di corso, rimane una sola: è possibile insegnare – o imparare – a scrivere? Qual è il modo “giusto”, se esiste, per imparare a scrivere una storia interessante, che trascini il lettore in un altro mondo e lì lo tenga per tutta la durata del racconto o del romanzo?
Roberto Cotroneo, scrittore e giornalista, ha scritto uno dei manuali più “classici” per lo studio della scrittura creativa in Italia. Nel libro, Manuale di Scrittura Creativa, si trovano anche consigli di quelli che sono considerati mostri sacri della letteratura italiana attuale come Andrea Camilleri, che, in un paio di pagine, descrive alcune tecniche da lui utilizzate nel processo di creazione dei suoi personaggi. Se uno scrittore così noto si presta a consigliare gli aspiranti autori su esperimenti da mettere in pratica per scrivere un buon pezzo significa che, forse, l’idea di dare lezioni o suggerimenti di scrittura creativa non sia una prerogativa di ciarlatani affamati di soldo facile fatto sulle speranze altrui.

La scrittrice americana Flannery O’Connor, che partecipò per anni a conferenze sulla scrittura creativa in molte università americane, disse di non avere teorie su come scrivere bene, ma di poter portare la propria esperienza e testimonianza di scrittrice. Ma il solo contatto con uno scrittore o una scrittrice eccezionale non può garantire un futuro da brillante stella nel firmamento della letteratura.

Ma allora – di nuovo -, cosa fa di un autore un futuro scrittore? Cosa lo contraddistingue da qualsiasi blogger, a parte l’idea di prendere in mano una penna o una tastiera e buttar giù qualche idea? Frequentare il programma di scrittura creativa più prestigioso del mondo? Seguire un corso di Baricco, leggere un a settimana, scrivere mille parole al giorno? Insomma, domanda da un milione di dollari: è davvero utile, un corso di scrittura creativa?

La domanda, forse, è mal posta. Forse sarebbe meglio chiedersi a cosa serva, uno corso di scrittura creativa, e qui le risposte si moltiplicano.

Un corso di scrittura creativa serve a trovare il coraggio di mettersi alla prova e di esprimere i propri pensieri e idee. Serve a sperimentare nuovi stili e generi e a conoscere persone dalla voce ed esperienza diversa, che riescono ad arricchire i percorsi degli altri, ad influenzarli e a condividere nuove ispirazioni e opinioni. E gli esercizi proposti da tutor e professori sono sempre utili a cercare nuove vie attraverso cui esprimere la propria creatività.

Nel documentario Le Cinque Variazioni, il regista Lars Von Trier sfida il suo mentore e famoso direttore Jørgen Leth a girare una nuova versione del vecchio film L’Uomo Perfetto, mettendo però in pratica limitazioni molto precise. Il regista fallisce nel seguire tutte le indicazioni di von Trier, ma alla fine sviluppa un progetto che va ben oltre le iniziali aspettative e perplessità. Ecco: gli esercizi e giochi letterari possono sempre servire a questo. Ad incanalare le proprie idee in percorsi ben definiti, giungendo, forse, a nuovi, interessanti luoghi da esplorare.

I docenti di scrittura creativa invitano ad imparare a osservare, ascoltare e conoscere, e sostengono che l’ispirazione possa essere tratta da qualsiasi luogo, evento o banalità della vita quotidiana. Da una conversazione ascoltata sul bus, da un biglietto lasciato sul bancone di un bar, dalla lettura del giornaletto di cucina di un supermercato. La grande idea può venire a molti e la pazienza di metterla in pratica, la tenacia e la passione sono sempre d’aiuto. Un grande libro potrebbe essere scritto da tutti meno che dal povero e speranzoso aspirante autore che ha frequentato fior fior di corsi di scrittura creativa.

Quindi forse no, la laurea in scrittura creativa non è utile, se per utilità si intende la possibilità di divenire il nuovo Stephen King. Ed è innegabile che, invece, molti sedicenti scrittori o ciarlatani si ergano a insegnanti, vantando le proprie auto-pubblicazioni e approfittando di chi, invece, il gene dello scrittore di best-seller in attesa della pubblicazione pensa di averlo sul serio.

Molti grandi scrittori hanno frequentato e insegnato corsi di Scrittura Creativa. I primi programmi di scrittura nacquero alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento negli Stati Uniti, e lo studioso Mark McGurl, autore del classico The Program Era, sostiene che la nascita di questi corsi sia stato l’evento più importante nella storia della letteratura americana del dopoguerra, grazie al progressivo avvicinamento tra scrittori e mondo accademico.

Il valore di un corso di scrittura creativa e il modo in cui difendersi da ciarlatani e sedicenti autori sono argomenti ampiamente trattati da scrittori e esperti. Per informarvi al meglio, nel caso in cui siate curiosi, vi consiglio la lettura di questo articolo di Louis Menand sul New Yorker, che vi chiarirà dubbi e curiosità sulla storia dello studio della scrittura creativa.

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