‘Non sbronzarti mai all’ora di punta’, l’esordio di Andrea de Curtis

Un po’ Trainspotting, un po’ Noi ragazzi dello zoo di Berlino, Non sbronzarti mai all’ora di punta di Andrea De Curtis si fa strada nel mondo del self-publishing con irruenza, determinazione e con un linguaggio chiaro e forte.

Il romanzo racconta di periferie, di compagnie sbagliate, di come la vita può avvilupparsi in una spirale sempre più fitta di perdita di controllo verso di sé e verso gli altri.

Dave, ventisettenne sprovvisto di obiettivi e ossessionato nel dare un senso alla propria esistenza, si trascina freneticamente in una periferia di città prostrata al degrado e alla disperazione.

Carico d’odio verso il mondo per il senso di prigionia dovuto a una quotidianità inquinata, prova a emanciparsi da questa vita. Un proposito non facile viste le poco raccomandabili frequentazioni: i fratelli Harritu sono gli amici che anziché spegnere l’ardente fiamma dell’autodistruttività, l’alimentano, portando Dave a vivere una vita fatta di abuso di alcol e droghe, crimini, violenza, stupri.

È solamente grazie a Nina che Dave può provare a redimere sé stesso e la sua vita. Sarà davvero in grado di uscire dal tunnel nero che avvolge la sua esistenza?

Non sbronzarti mai all’ora di punta è un romanzo inaspettato, irriverente e che non fa censure. Attraverso i personaggi, l’autore vuole trascinare il lettore in una storia che sembra non avere alcuna via d’uscita.

Andrea De Curtis nasce Firenze nel 1995. Dopo il diploma di scuola superiore ha iniziato ad appassionarsi alla letteratura e alla poesia, e la scrittura è diventata il primo dei suoi progetti creativi. Ora vive a Bologna ed è in cerca di stimoli vitali che possano fargli trovare spazio all’interno del panorama letterario attuale. Non sbronzarti mai all’ora di punta è il suo romanzo d’esordio.

I dati editoriali.
Non sbronzarti mai all’ora di punta
Andrea De Curtis
Copertina flessibile, 162 pagine
979-1221482461

‘L’eredità Rocheteau’. Il noir famigliare di Valeria Valcavi Ossoinack

È alla fine di ogni libro, che spesso ci si ricorda della prima riga letta. O quantomeno, aver sfogliato la prima pagina dopo l’ultima di questo romanzo, mi ha ricordato che la pista da seguire fosse stabilita dal principio.

Auto-pubblicato nell’aprile del 2023, L’eredita Rocheteau è un giallo dalle tinte chiaro-scure dove Valeria Ossoinack costruisce, con agilità e cura, una struttura narrativa che ruota attorno alle meschinerie ed i segreti di una potente famiglia alto-borghese. Il sugo dell’inchiostro? il rapimento del membro più fragile e scomodo di questa famiglia, eseguito alla lettura, ricezione e difficoltosa accettazione del testamento del potente Pierre Rocheteau, nonno della vittima e capofamiglia indiscusso.

Valeria Valcavi Ossoinack, autrice piuttosto produttiva, di gialli ne ha scritti diversi nell’arco della sua carriera. Quest’ultimo prende le mosse da una Parigi subdola e sofisticata.

Una Parigi che il lettore attraversa con una sorta di bussola in testa, seguendo indirizzo dopo indirizzo, le mosse e contromosse di tutti i personaggi coinvolti. Al centro dell’intrigo, tutta l’eredità. Un lascito importante ben oltre il fattore economico. Di fatto, l’autrice utilizza questo mezzo, accattivante e semplicemente funzionale ai fini di un giallo familiare, come una sorta di contrappasso dantesco che premia, punisce o salva le anime che tocca. Come se Pierre fosse il fantasma dickensiano dei Natali passati, presenti e futuri.

L’agilità di questa mossa autoriale è tutta riversa nella compostezza e rapidità dei capitoli, mai troppo estesi sebbene accurati. Quasi sempre efficaci a fornire quel minimo di informazioni utili per ricostruire, attraverso la lettura, quel puzzle intricato di tasselli che, come si apprenderà, erano stati scomposti e violentemente gettati nell’oblio anni ed anni addietro le vicende attuali. Tasselli di un puzzle che mai prima questa famiglia aveva tentato di ricomporre, semplicemente di capire.

Piena zeppa di dialoghi e capitoli composti da miriadi di virgolettati, il cuore della storia fluisce dentro le mura della prigionia. Interessante, a volte banalmente, è il fatto che si avverte una familiarità anche tra vittima e carnefice. Una familiarità emotiva, che coinvolge l’arte di cui si nutrono insieme, sebbene secondo diversi canali. La prigioniera è un’artista affermata, il carceriere un ammiratore.

Attraverso il loro dialogo, affettuoso per quanto sinistro, si torna indietro e lo si fa ogni volta che il sentimento dell’amore si mescola al terrore. Si rivive il passato della vittima, si tenta un’empatia con il suo presente e, minimamente, anche con quello dei suoi rapitori.

Dialoghi freddi, freddure e sarcasmi, invece, a dirigere il tempo presente. Più gretto e misero del bisogno assoluto di denaro. I personaggi possono essere divisi in buoni e cattivi. Non sono mai nell’ombra e pure vivono dell’ombra di loro stessi e dentro quelle esatte misure piano piano svelate.

I molti passaggi descrittivi, per l’appunto accurati e dettagliati, creano sufficientemente bene l’ambiente ideale per indirizzare il lettore verso la matrice dell’intrigo e tenerlo aggrappato alla sua propria immaginazione. Fino alla fine, senza pietà.

Il tutto, raccolto dentro sequenze fortemente visuali. Capitolo dopo capitolo, ci si ritrova dentro un nuovo appuntamento di una si quelle serie poliziesche a puntate in cui, nella finale, si rivela l’orrore assieme alla liberazione.

Quando poi, non troppo sorpresi ma ad ogni modo colpiti, si rilegge l’esergo e ci si ricorda che sì, Ossoinack ce lo avevo predetto attraverso le parole di Socrate: tutte le guerre sono combattute per denaro.

 

 

 

 

Educare all’editoria: cosa deve sapere un autore sprovveduto

Nel 2009, l’autrice Livia Manera intitolò un articolo sul Corriere della Sera dedicato alle scuole di scrittura creativa “Le fabbriche d illusioni”. Lo scetticismo nei confronti di queste scuole di scrittura è spesso giustificato dalla grande abbondanza di truffe confezionate ad arte da abili imprenditori e/o ciarlatani dell’editoria che non hanno mai pubblicato una riga.

Allo stesso modo, è facile alzare il sopracciglio di fronte alle migliaia di “packaging” di servizi editoriali online, come agenzie letterarie fittizie e case editrici fasulle dal sito professionalissimo che vantano distribuzioni “nelle principali librerie online” e una selezione dei manoscritti rigorosamente basata sulla qualità del romanzo. Alcune case editrici o servizi di questo tipo chiariscono subito quanto lo sprovveduto autore debba sborsare per vedere i propri lavori corretti, editati o addirittura pubblicati. Altre realtà, ancora più astutamente, non propongono un contributo monetario per la pubblicazione da parte dell’autore, ma richiedono – magari dopo che il povero scrittore ingenuo ha pure accettato un accordo – che egli acquisti o faccia acquistare un numero minimo di copie, garantendo quindi un guadagno sicuro all’ “editore” senza scrupoli. Dietro parole grosse come “casa editrice” e “agenzia letteraria” si cela quindi un mondo di approfittatori e truffatori.

Questo non significa che le riviste letterarie, le agenzie e i workshop di scrittura che richiedono un contributo da parte dell’autore siano tutti figli di cinici spremitori delle finanze dei sognatori. Ovviamente non è così. Un buon romanzo, prima di essere presentato a una casa editrice, ha bisogno del lavoro di un editor, così come spesso un bravo scrittore necessita di leggere molto e studiare la narrativa, organizzando il proprio lavoro in modo disciplinato e coerente. Tutte queste cose possono essere fatte senza scucire uno spicciolo. E’ nel porsi un obiettivo preciso che sta la differenza tra scegliere un percorso più difficile di un altro.

L’aspirante scrittore necessita, prima di iscriversi a una scuola, contattare un editor professionista e magari spedire il proprio lavoro a una casa editrice, di definire con calma i propri obiettivi.
Per esempio, non c’è niente di male a stampare un romanzo attraverso un servizio di self-publishing, ovvero auto-pubblicazione, o con un editore a pagamento. Alcuni autori desiderano solo vedere le proprie parole stampate su carta, senza occuparsi di questioni come l’etica dell’auto-pubblicazione o l’effettiva qualità del loro lavoro. Vogliono leggere il proprio nome scritto in copertina e vantarsi di aver “pubblicato un libro”, un libro con una copertina, tante pagine di carta stampate da poter sfogliare, toccare, annusare, a prescindere da servizi di editing e correzione di bozze. E’ giusto, quindi, che ci siano persone disposte a sfruttare le esigenze di questi autori, imprenditori che mettano a disposizione packaging dai prezzi diversi a seconda del tipo di revisione, promozione e distribuzione a cui l’autore aspira.

Detto questo, esistono buone case editrici o servizi attraverso cui auto-pubblicare il proprio libro, i cui editori sono ben chiari sin dal principio sui contributi dell’autore stesso. Allo stesso modo, molte scuole di scrittura o workshop letterari, nonostante i costi elevati, garantiscono classi ridotte, un criterio di selezione iniziale e docenti che sono anche scrittori importanti e conosciuti, come la Scuola Holden.
Realtà più piccole ma molto interessanti stanno nascendo un po’ ovunque in Italia, sebbene molti serbino un certo scetticismo nei confronti di chi pensa di saper insegnare a scrivere – e spesso gli stessi docenti di scrittura non lo pensano affatto.

E’ giusto, insomma, usufruire di un servizio a pagamento per provare a raggiungere la tanto sospirata pubblicazione? E’ vantaggioso, è utile in qualche modo?
Ciò che conta per l’autore sprovveduto è decidere la strada da intraprendere. Cosa si vuole scrivere, come e perché? Quali sono i tratti positivi di frequentare una scuola, di affidare un manoscritto a un editor, di pubblicare un racconto su un blog o una rivista più o meno conosciuta?

L’autore, diceva Umberto Eco, necessita di fare una buona gavetta. Uno potrebbe dunque domandarsi in cosa consista la gavetta per un aspirante scrittore – forse inerpicarsi su ogni pericoloso scalino della torre che dovrebbe portare alla pubblicazione?

In una lettera di risposta a una ragazza sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini ha definito quella dello scrittore una professione “destrutturata, che non ha un percorso istituzionale”. Il successo del singolo autore dipende da una serie di fattori più o meno prevedibili, come succede, va avanti Severgnini, ai calciatori e ai pittori. La fortuna di aver scritto un libro che ricalca perfettamente i trend del mercato editoriale del momento, o quella di proporre un buon manoscritto a una casa editrice che ha appena incassato un bel gruzzoletto grazie a un caso editoriale del tutto inaspettato.

Quindi, cosa tocca al povero autore sprovveduto? Come può un giovane laureato in lettere avvicinarsi al mondo della scrittura e dell’editoria, con la “presuntuosa” ambizione di vedere le proprie parole sulle pagine di un libro? Forse potrebbe esserci bisogno di un’educazione al mondo editoriale, che spinga il giovane autore a una maggiore consapevolezza dei mezzi disponibili e non disponibili, soprattutto sul web, dove le trappole impazzano.

Ovviamente il diciottenne autore di una saga fantasy può benissimo rappresentare il prossimo caso editoriale del secolo (vi dice nulla Eragon?), ma di solito un aspirante scrittore deve attendere anni prima di vedere qualcosa di proprio pubblicato da una casa editrice – che molto probabilmente non sarà la Mondadori.

Mille domande affollano la mente di un esordiente. Quali sono le riviste a cui vale la pena mandare un pezzo? Quali sono quelle che effettivamente daranno visibilità? Quali agenzie di correzione di bozze, traduzione e editing, così diffusi nel mondo del freelancing fuori dal circuito chiuso dell’editoria tradizionale, garantiscono effettivamente servizi di qualità? Quali scuole, gruppi e workshop di scrittura offrono programmi didattici interessanti, senza false promesse di pubblicazione garantita?

L’autore di oggi deve imparare a barcamenarsi tra offerte, pubblicità su internet e possibilità che generano spesso più interrogativi che certezze. Ed è per questo che un corso di educazione all’editoria, forse, potrebbe essere persino più utile di un corso di scrittura.

 

Malia Delrai, dal self publishing alla fondazione della Delrai Edizioni

La Delrai Edizioni nasce nel 2016 per opera di Malia Delrai, autrice proveniente dal campo del self publishing che ha deciso di mettersi in gioco anche nel mondo della piccola editoria. La sua casa editrice ha l’obiettivo di arrivare al lettore privilegiando la passione e le esigenze dei suoi scrittori, e non limitandosi alla mera parte commerciale. La Delrai Edizioni pubblica, senza chiedere alcun anticipo agli autori, vari generi letterari: dal romance al thriller, dall’erotico al fantasy. Abbiamo incontrato l’autrice-editrice che ci ha raccontato delle sue passioni e anticipato alcune novità riguardanti la Delrai Edizioni che sarà presente al Salone del Libro di Torino del prossimo 18 maggio.

 

 

Malia Delrai nasce come scrittrice e approda all’universo dell’editoria. Come sono nate queste due passioni? Quando hai capito la necessità di scrivere e quando hai maturato la voglia di metterti al servizio di altri autori?

La passione per la scrittura è nata una decina d’anni fa, direi quasi per caso. Cercavo a tutti i costi qualcosa che mi identificasse e che potesse dar senso alla mia vita. Sorrido quando penso che la scrittura non fosse la mia prima opzione, ho provato un corso di disegno e anche uno per fare a maglia, ma poi è stato inevitabile che non riuscissi a combinare niente di buono, non erano adatti a me. Sono entrata in un sito dove all’epoca si scrivevano fan fiction e ho tentato, così per gioco, e non è più finita. In realtà pubblicare per se stessi, da soli, non è poi granché per me, nel senso che dà tante soddisfazioni, questo certo, ma se ami lavorare insieme agli altri, condividere le tue passioni con altre persone, arriva il bisogno di impegnarsi in questo, perciò ho maturato il desiderio di aprire una casa editrice e di condividere i miei scrittori con i lettori. Sai qual è la cosa più bella? Appassionarsi ad altre storie, viverle dentro come se fossero proprie, riconoscere la bravura di altri autori e cercare di fare il meglio per loro. È qualcosa che va al di là di qualsiasi soddisfazione personale, ed è molto molto più gratificante.

 

Cosa consigli a chi sta provando ad emergere come scrittore? Meglio il self-publishing oppure affidarsi all’esperienza e all’appoggio di una casa editrice?

Non potrei mai dire cosa sia meglio, perché tutto parte da punti di vista differenti, obiettivi diversi. Se un autore punta a un guadagno immediato, o comunque a un percorso “solitario”, allora di sicuro è meglio il self-publishing, ma se invece vuole e desidera coltivare il lavoro di squadra, il rapporto con altri autori e con un editore, cercare insieme insomma una risposta alle sue esigenze insieme ad altri che lavorano nel campo, allora è bello anche affidarsi a un editore. Per certo so che il mondo dell’editoria non è così facile, perché c’è di tutto nel calderone, ma non credo che il mondo del self sia poi tanto differente.

 

Cosa consigli invece a chi ha il sogno di aprire una piccola casa editrice? In Italia ne nascono moltissime ogni giorno eppure l’impero editoriale è comandato sempre dalle stesse ‘big’. Ne vale la pena? C’è la possibilità di farsi conoscere e creare qualcosa di proprio e indipendente dai grandi colossi? Cosa ricordi dei primi passaggi per aprire la Delrai Edizioni?

Io mi sono affidata a persone competenti, da sola sarebbe stato impossibile. Non è solo questione di passaggi da fare, ma di persone che ovviamente ti seguono in questo percorso: è necessario un commercialista, un legale, una persona competente che possa dirti come effettivamente ci si deve muovere. Se ne vale la pena? Dipende dagli obiettivi che si hanno, dal tempo che ci si vuole dedicare. A volte penso di impazzire, altre invece mi sento soddisfatta. Aprire una casa editrice è qualcosa che si fa per passione all’inizio, si pensa: Ehi, i libri mi piacciono! E poi ci si scontra col resto e si capisce che “il libro” è “solo una” delle cose che si deve creare. Il resto: la logistica, la burocrazia, gli eventi… è tutto da gestire e lo si deve fare, non si può abbandonare. È tutto importante, tutto. Il comando delle big è naturale perché hanno un grande capitale da investire e tanti soldi per potersi permettere quello che hanno, un piccolo editore invece questa possibilità non ce l’ha. Ma a volte mi domando se siano i soldi che fanno la differenza, se veramente servono questi e basta per poter essere definiti “grandi”. Spero che ci sia la possibilità di farti conoscere e creare qualcosa di proprio a prescindere dai grandi editori, spero di riuscirci, lo vedrò nei prossimi anni, ora è presto, per ora cerco di fare del mio meglio e mettercela tutta.

 

Descrivi Malia Delrai in tre parole.

Sole, cuore, amore. 😛

 

Qual è l’autore che non hai pubblicato e che vorresti pubblicare?

Uberto Ceretoli. Lo considero un grande del fantasy e dello steampunk, però non pubblica con me, purtroppo. Credo che sia uno dei più grandi che ultimamente io abbia letto e che mi è rimasto nel cuore. Lo trovo un autore di grandissimo talento. Tu pensa che invece forse si avvererà il mio sogno di pubblicare una persona che stimo, ma per ora non faccio nomi. Finché non succede, non ci crederò.

 

Quali sono le tue letture preferite?

Amo tantissimo lo steampunk, è uno dei generi che preferisco, ma anche il fantasy non mi dispiace. Poi ovviamente c’è il romance, l’erotico… diciamo che amo parecchi generi. Ho letto anche thriller che mi hanno lasciata senza parole. Sono piuttosto onnivora come lettrice, spesso però mi rendo conto che ricerco anche io, come molti, una realtà per ruggire dalla mia. Non perché la mia non mi piaccia ovviamente, anzi, ma perché mi piace vivere diverse vite e sognare diversi mondi.

 

Per finire, sei stata alla fiera di Milano e sarai a quella di Torino. Cosa dobbiamo aspettarci come novità firmate Delrai?

Oh, non so nemmeno io cosa aspettarmi. Tutto sta succedendo molto velocemente, troppo velocemente, e io fatico a stare dietro a ogni cosa. Ho conosciuto persone meravigliose, davvero meravigliose, che mi stanno sostenendo, che lavorano con me, ed è bello. Vorrei poter vivere di questo lavoro, anche se per ora non è possibile, mi impegno e do il massimo perché è un grande amore. Cosa aspettarsi dalla Delrai? Tanti nomi, di autori bravi, capaci, che ce la stanno mettendo tutta, che ci credono ancora, che non pensano che i lettori siano solo numeri, che con umiltà cercano ancora di farcela. Io non posso mollare, per me loro sono tutto, sono importantissimi. Vorrei poter far nomi, ma è prematuro. Però… io penso in grande!

 

 

Adriano Gabellone, fondatore dell’Onirica Edizioni

Adriano Gabellone è il fondatore dell’ Onirica Edizioni, casa editrice nata nel 2010 per dare spazio a giovani talenti emergenti. Nel 2016 al progetto iniziale si unisce anche il marchio editoriale <<Il Puntino>>, totalmente dedicato alla letteratura per l’infanzia e per ragazzi. Adriano Gabellone ci ha parlato delle origini della sua casa editrice, di come vede il mercato editoriale oggi e di come il ruolo dell’editore può sopravvivere al fenomento sempre crescente del self publishing.

 

1. Salve, Adriano Gabellone, comincio con il ringraziarla di aver accettato questa intervista per ‘900 letterario. Propongo di iniziare dal principio, ovvero: come è nato il progetto della sua casa editrice ‘Onirica Edizioni’?

Ho sempre avuto la passione della lettura e dell’informatica fin da ragazzo e diversi anni fa, assieme a un collega di lavoro, creammo un sito web dove aspiranti scrittori potevano proporre al pubblico le loro opere e commentare quelle pubblicate dagli altri utenti. E’ un po’ quello che oggi facciamo attraverso Facebook, solo che correva l’anno 2001, quando il termine social network non era ancora stato coniato. Comunque, con il passare degli anni questo sito web si evolse e fu da spunto per nuovi progetti, che, grazie anche alla fondamentale collaborazione di alcune persone a me vicine in quel periodo, videro nella fondazione di una casa editrice, il più importante passo finale.

 

2. Qual è stato il primo titolo che ha pubblicato per “Onirica Edizioni”?

Le nostre prime due pubblicazioni furono le due raccolte antologiche nate grazie al contributo degli autori che frequentavano il nostro sito di scrittura creativa, una di poesie, e una di racconti sulla tematica del raptus. Se sono scettico su un libro difficilmente lo pubblico, e quelle volte che mi sono fatto convincere i risultati non sono stati differenti dalle aspettative. Causa anche il periodo di crisi e incertezza, è più facile che accada il contrario. Ma è anche capitato di scommettere su alcuni titoli che per fortuna hanno incontrato il favore del pubblico.

 

3. Quali sono, a suo parere, gli elementi base che un buon libro deve avere per entrare nel mercato editoriale e accattivare l’attenzione del lettore?

Sicuramente il punto cardine è avere una buona storia da raccontare. Non necessariamente un argomento di cui nessuno abbia mai parlato, purché si sia in grado di raccontarlo in maniera differente. Quindi ci vorrebbe una particolare cura per lo stile. Un libro deve catturare il lettore fin dalle prime righe, quando i personaggi e la trama ancora non hanno preso forma, catapultandolo da subito nella storia. Spesso ci capita di iniziare dei libri che abbandoniamo dopo una decina di pagine (e anche meno) proprio a causa di uno stile povero che propone una lettura incespicante e priva di fluidità, banale e noiosa, benché alla base possa esserci una storia interessante.

 

4. Cosa significa pubblicare un libro al giorno d’oggi? Ovvero com’è cambiato il ruolo dello scrittore con la nascita del self publishing e com’è cambiato il ruolo dell’editore? Molti pensano che ebook e siti di print on demand abbiano iniziato un processo di disintermediazione che elimina gradualmente figure professionali come l’editor, il grafico e il copywriter. Lei come si pone in questo dibattito?

Il self publishing è una strada adatta solo a poche persone dotate di uno spiccato senso commerciale, tant’è che i casi di successo si contano sulle dita di una mano. Spesso si tende a pensare che il ruolo dell’editore ormai sia superfluo, ma il successo di un libro dipende anche dai quei “piccoli” accorgimenti che si possono acquisire solo grazie ad anni di esperienza nel mercato editoriale. E infatti, a eccezione dei casi isolati citati all’inizio, la maggior parte delle persone che seguono la strada del self-publishing tornano in un secondo momento a cercare la strada della pubblicazione “tradizionale”.

 

5. ‘Il Post’ del 22 Settembre scrive: “Non ci sarà un unico salone del libro tra Torino e Milano”. Come commenta la polemica che va avanti da tutta l’estate circa la locazione della fiera del libro più grande d’Italia?

Partecipo alla maggior parte delle fiere dedicate all’editoria presenti nel centro-nord, ma mi sono sempre rifiutato di partecipare al Salone del libro in quanto è una kermesse che va a solo beneficio dei grandi gruppi editoriali, mentre i piccoli editori faticano a rientrare dell’investimento necessario per prender parte a un evento di tale portata. La speranza è che a seguito di questo dibattito possa nascere qualcosa di buono anche per la piccola editoria indipendente, anche se ne dubito fortemente.

 

6. Andiamo un po’ più sul personale, qual è il suo libro preferito? E qual è il libro che avrebbe voluto pubblicare con la sua casa editrice?

Oddio, scegliere solo un libro per me sarebbe davvero impossibile, perché ogni libro che ho letto in qualche modo mi ha lasciato qualcosa. Ma essendo io un tipo abbastanza sedentario e riflessivo, prediligo spesso le letture avventurose e ricche di mistero. E, visto che il primo amore non si scorda mai, penso che Moby Dick resti il mio romanzo preferito in quanto è stato quello che ha dato il via a tutto facendomi innamorare della letteratura.
Il libro che avrei voluto pubblicare l’ho pubblicato, ma il titolo non ve lo dirò mai. Lascio a voi il piacere di scoprirlo leggendo i libri della nostra piccola casa editrice.

 

7. “Leggere è…” come continuerebbe questa frase?

La fonte dell’eterna giovinezza, perché significa nutrire la mente, e salire su un treno diretto verso mondi inesplorati.

Self publishing: opportunità o antagonista per il mercato editoriale?

Il mondo dell’Editoria si trova oggi a dover affrontare un fenomeno controverso che minaccia di cambiare radicalmente il mercato del libro: il self publishing, espressione che letteralmente significa “autoedizione”, ovvero la pubblicazione in proprio di un libro da parte dell’autore, senza la figura della casa editrice come mediatore, un fenomeno frutto della semplificazione e della disintermediazione del mercato editoriale. Perlopiù il self publishing è circoscritto al mercato degli ebook e dunque a dispositivi e-reader come il Kindle o il Kobo, anche se molti autori self con l’aggiunta di un investimento economico ricorrono anche alla tradizionale distribuzione cartacea. I vantaggi del selfpublishingsono evidenti: l’accorciamento dei tempi di pubblicazione, di solito molto lunghi se ci si affida a una casa editrice, il massimo controllo su tutte le fasi di produzione e vendita, dato che l’autore diventa imprenditore di se stesso, e un maggiore rientro economico sulle vendite: infatti la percentuale che spetta allo scrittore sale dal solito 10% al 30%-80%.

Quale tipologia di autore sceglie il self publishing al posto dell’editoria tradizionale? Di solito o chi non ha trovato riscontro da parte di nessuna casa editrice, oppure chi possiede uno spirito imprenditoriale e una certa disponibilità finanziaria, visto che trasformare un manoscritto in libro è un processo che richiede tempo, esperienza e denaro, elementi che di solito vengono forniti dalle case editrici ma che se si agisce in proprio bisogna fornire in prima persona. Per prima cosa è necessario contattare un editor, per la correzione del testo, un grafico, per creare la copertina, e in seguito i canali di pubblicità, per sponsorizzare il libro. Il self publishing si è rivelato un fenomeno molto più complesso di quello che si crede, un percorso che, se intrapreso con consapevolezza e serietà da parte dell’autore, non si limita al mero caricamento gratuito di un file su Amazon.it e allo spam selvaggio sui canali social. Ma se da una parte il fenomeno dell’autoedizione appare come la diretta conseguenza della volontà di farsi conoscere da parte degli autori emergenti, spesso non presi in considerazione da parte delle grandi case editrici, diffidenti nei confronti di chi non possieda già una fetta di pubblico, dall’altra parte la mancanza di un marchio che autentica la qualità del prodotto-libro rischia di abbassare il livello delle opere pubblicate, spesso prive del benché minimo lavoro di editing e di correzione bozze.

Il self publishing si configura dunque come una grande opportunità, soprattutto se usato come vetrina per farsi conoscere dagli scout delle grandi case editrici (è il caso del romanzo Miradar di Ilaria Mavilla, pubblicato prima in self e in seguito da Feltrinelli), ma bisogna intraprendere questo percorso consci dell’impegno e della responsabilità di occuparsi personalmente di ogni aspetto della pubblicazione. Se l’autore self è interessato, oltre alla pubblicazione digitale, anche a quella cartacea, può prendere in considerazione i siti di print on demand. Il maggiore portale italiano per l’autoedizione è Ilmiolibro.it, nato a metà del 2008, con oltre trentacinquemila autori pubblicati ad oggi, che bandisce annualmente un progetto di scouting letterario, “Ilmioesordio”, che promette al vincitore la pubblicazione con Newton Compton. A differenza dell’editoriatradizionale, il self-publishing elimina il problema di dover cedere, anche se temporaneamente, i propri diritti sull’opera, spesso senza avere in cambio l’ adeguata pubblicità e la dovuta attenzione da parte dell’editore per vendere il libro sui maggiori canali distributivi, soprattutto nel caso degli editori che pubblicano a pagamento dato che il loro rientro economico è già assicurato dal numero di copie acquistate dall’autore per contratto.

Il self publishing divide spesso l’opinione dei lettori e degli addetti ai lavori, soprattutto sulla questione della concorrenza al mercato editoriale tradizionale. Bisogna comunque evidenziare che gli autori self non possiedono la stessa visibilità degli autori promossi dalle grandi case editrici, i cui libri sono in vetrina in qualsiasi libreria, e la loro notorietà spessosi limita al web. Quindi vedrei il self publishingpiù come un mercato alternativo e come un trampolino di lancio per chi ha talento e non riesce ad emergere altrimenti, che come una forma di concorrenza. Tutti gli altri autori, più che abbassare il livello dell’editoria nazionale, semmai verranno risucchiati dal mercato e scompariranno senza lasciare traccia. Dal fenomeno del self-publishing sono venuti fuori talenti come Amanda Hockinge e John Locke, casi ovviamente rari, ma interessanti.

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