“Canto alle rondini”: l’ermetismo di Alfonso Gatto

Pubblicata la prima volta nel 1939 sulla rivista <<Corrente>>, Canto alle rondini del poeta salernitano Alfonso Gatto, è una delle sue liriche più note. Il poeta fonde immagini della realtà, impressioni, suggestioni, sensazioni difficili da dominare con la razionalità, avvalendosi di una andamento musicale. Emerge una certa ambiguità semantica, caratteristica propria della poesia ermetica del resto, ed in particolare in Gatto: per quanto riguarda il titolo, esso è un toponimo fiorentino, una denominazione di un angolo della vecchia Firenze, dove appunto Gatto abitò nel 1938.

CANTO ALLE RONDINI

Questa verde serata ancora nuova
e la luna che sfiora calma il giorno
oltre la luce aperto con le rondini
daranno pace e fiume alla campagna
ed agli esuli morti un altro amore;
ci rimpiange monotono quel grido
brullo che spinge già l’ inverno, è solo
l’ uomo che porta la città lontano.
E nei treni che spuntano, e nell’ora
fonda che annotta, sperano le donne
ai freddi affissi d’ un teatro, cuore
logoro nome che patimmo un giorno.

La poesia, composta da endecasillabi sciolti, consta di tre periodi: il primo di cinque versi, il secondo di tre e il terzodi quattro.. Il primo ha una funzione descrittiva: il poeta contempla la sera subito dopo il tramonto, la luna è appena sorta e le rondini in volo sembrano voler prolungare il giorno, mentre la campagna si prepara alla quiete e all’uminità notturna. Il secondo periodo prente spunto dal verso aspro delle rondini, che sembra anticipare il carattere cupo dell’inverno che acquista valenza simbolica in quanto rappresenta la solitudine dell’uomo emigrato lontano dalla propria terra per lavorare in una città straniera. L’ultimo periodo approfondisce la dimensione simbolica e l’interiorità del poeta: le donne che, viaggiando sui treni o immerse nel buio della notte, danno vita ad una misteriosa speranza, diventano il simbolo di una condizione esitenziale universale, di un’illusione cui anche Gatto ha partecipato: il cuore ormai logoro rappresenta infatti la speranza, il desiderio che il poeta coltivava un tempo e che ora sente di averlo coltivato inutilmente.

Canto alle rondini è un chiaro esempio di poesia ermetica, Gatto infatti ricorre a immagini fortemente simboliche per portare avanti un discorso dal quale sono rimossi nessi logici e ragionativi: la lirica procede per illuminazioni improvvise, per passaggi repentini; il lessico, non privo di elementi letterari come annotta, patimmo, ecc, è ben lontano da quello di tradizione ottocentesca ancora presente in Pascoli e D’Annunzio; la musicalità è rarefatta: il ritmo dei versi infatti è spesso frantumato dalla sintassi; la mancanza di rime e di assonanze mette in rilievo il valore fonico della singola parola e della singola immagine.

Vasco Pratolini e il realismo della parola

Nato a Firenze il 19 Ottobre del 1913, Vasco Pratolini vive a lungo in questa città e nel cuore del suo Quartiere. Cresciuto sotto la stretta custodia della matrigna, con la quale intratterrà rapporti burrascosi, Pratolini avvertirà sempre e dolorosamente la mancanza dei genitori, essendo il padre partito per la guerra e la madre morta durante gli anni della sua giovinezza.

Lavora inizialmente come tipografo, per crearsi una sua indipendenza, e si dedica ad altre attività, ma poi è costretto a trascorrere un periodo di due anni presso un sanatorio. Ritorna a Firenze dove incontra Elio Vittorini, con il quale collabora alla rivista Letteratura e successivamente fonda, assieme ad Alfonso Gatto, il quindicinale Campo di Marte. Viene assunto dal Ministero dell’Istruzione prima a Roma, poi a Napoli, dove insegna nell’Istituto Statale d’Arte. Vicino alle posizioni della sinistra e del PCI, partecipa alla Resistenza negli anni più duri per l’Italia. Muore a Roma, 12 gennaio 1991.

Le tematiche narrative di Pratolini, considerato l’iniziatore del Neorealismo e scrittore “socialmente impegnato”, toccano una sfera più umana e civile rispetto ai motivi autobiografici; si potrebbe dire che la narrativa si umanizza con una profonda riflessione sulla storia e sul passato, in quanto il romanzo si fa portavoce, adesso, della coscienza di un interno popolo.

Pratolini prova verso le azioni compiute dagli uomini un senso di pietà che descrive come una sorta di tenerezza e meraviglia ed è l’uomo che stupisce dando dei nomi a queste cose e a queste azioni mentre spetta al poeta, o meglio all’uomo che si fa poeta, custodire e difendere la purezza della parola, verità che si oppone alla menzogna dell’anti-parola. L’anti-parola, di conseguenza, diventa anti-poesia e anti-azione. Inevitabile è la divisione che ne deriva tra chiarezza ed oscurità, mondo umano e mondo animale. Il tappeto verde, Le amiche, Il Quartiere, Cronaca familiare, Cronache di poveri amanti, sono opere in cui vengono raccontati i legami affettivi, quelli instaurati con la gente “di strada”, gli scambi umani avvenuti in piazza,  tra i mercati, perché è di questa gente che Vasco Pratolini vuole parlarci, della sua Firenze, al di là di ogni congettura a riguardo:

eppure possiamo leggerci dentro al cuore l’uno con l’altro, seguirci in ogni strada o piazza e fra le mura delle nostre case di Quartiere. I nostri sogni sono stati così uguali che per formare diverse le nostre storie abbiamo dovuto dividerci le occasioni, come da fanciulli si prendeva ciascuno una qualità diversa di gelato per assaggiarle tutte. Ma ora abbiamo i tacchi alti e le ginocchia coperte; e una finzione negli occhi se ci guardiamo. Ma basta che uno di noi volti un angolo di strada o salga una rampa di scale perché gli altri possano seguirlo in ogni gesto, come in uno specchio. Ce ne siamo dette le ragioni un giorno lontano, con pugni e abbracci, muco sotto il naso: non c’è nulla che possa sfuggirci nell’affetto che ci lega. Lasciate che la finzione ci squassi, o la vita, col cuore che si fa grosso e noi che lo comprimiamo. Un giorno saremo ancora tutti assieme, seppure coi corpi consumati da contatti estranei. Ma i nostri corpi sono abituati a dormire su un materasso di foglie, a soffrire di geloni, si sono nutriti di cavolo e lampredotto, come volete che ci faccia paura ritrovarci un po’ diversi in viso? Credete che non ci riconosceremo?

La parola, per Vasco Pratolini, è alla base di ogni forma d’arte, dalla letteratura al racconto cinematografico. Tra la fine degli anni ’40 e gli inizi degli anni ’50,  fu  sceneggiatore e soggettista cinematografico, collaborando a fianco di  registi come Visconti e Rossellini, proprio quando il suo linguaggio smetteva di essere puramente letterario. Linguaggio letterario che, per giunta, subisce diversi mutamenti, a predominare è, infatti, l’imperfetto, l’incertezza, in una sintassi in cui le azioni seguono un ordine stabilito; tant’è vero che in Cronache di poveri amanti utilizza addirittura il presente storico. I dialoghi sono diretti ed il ritmo fluido, solo le frasi presentano toni non perfettamente decifrabili e su cui lavorare, come se la penna, a volte, perdesse in verità. Nonostante questo, eredita dall’arte classica, quello stile che traduce un preciso modo di sentire e di pensare. Con Le ragazze di San Frediano, scritto nel 1948, ad esempio, si ha un richiamo della tradizione novellistica del trecento, è infatti palese l’ispirazione a Boccaccio.

Con Lo scialo, secondo capitolo della trilogia Una storia italiana che comprende Metello e Allegoria e derisione, Pratolini  offre un’immagine di sé che i critici hanno ritenuto essere inaspettata, nuova.

Si tratta di un romanzo di mille e trecentocinquanta pagine sicuramente distante dallo spirito con cui scrisse Mulino del Po una ventina d’anni prima. Protagonista è la borghesia del tempo, classe  ormai ai vertici della società. L’autore, qui, si allontana dalle formule e regole che facevano di un romanzo lo studiato esperimento per il lettore. Emerge, invece, una nuova concezione universale della letteratura, perché è parola che comprende l’intera esistenza e riguarda, quindi, tutti, non solo il destinatario ideale e, proprio per questo, la sua trilogia rappresenta un approdo.

Vasco Pratolini, nella sua scrittura, passa dal racconto di eventi di cronaca a momenti di alto lirismo: è una stagione storica difficile, dove tutto viene messo continuamente in discussione e si sgretola e la letteratura non puo’ che interpretare questi cambiamenti.

S’imparano mille cose in un istante, non occorre essere stati a scuola, quando la vita ti colpisce a tradimento con le sue cattiverie: basta avere una spina dorsale che ti mantenga in piedi (Vasco Pratolini).

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