La poetica realistica di Francesco Scarabicchi

Francesco Scarabicchi (Ancona, 10 febbraio 1951 – Ancona, 22 aprile 2021) è il poeta osservatore, cultore della parola intesa come accoglimento di ogni dettaglio. Nativo di Ancona resta orfano di padre a dieci anni: dopo aver conseguito il diploma magistrale si iscrive all’Università di Urbino ma, ben presto, lascia gli studi per lavorare in banca, impiego che mantiene per  trent’anni. L’incontro con il poeta Franco Scataglini determina quella sarà la sua strada: la poesia.

La poetica  di Francesco Scarabicchi nasce dalla consapevolezza: quella presa di coscienza realistica in ogni sua sfumatura, dalla bellezza all’intensa sofferenza. Peculiarità primaria del poeta marchigiano è, senza dubbio, la proiezione di ogni emozione nel reale: Scarabicchi non introietta, ma proietta ogni suo sentire nei versi, nella poesia, nella parole che sceglie con cura per cantare le pieghe delicate della sua anima.

Porto in salvo dal freddo le parole,
curo l’ombra dell’erba, la coltivo
alla luce notturna delle aiuole,
custodisco la casa dove vivo,
dico piano il tuo nome, lo conservo
per l’inverno che viene, come un lume.

 

Così si apre Il prato bianco, la raccolta del poeta ripubblicata da Einaudi nel 2017. La poesia di Scarabicchi sembra muoversi in un continuo flusso di malinconia antica e nuova che non fa sconti alla realtà ma, anzi, la inserisce in ogni locuzione, ogni strofa, ogni semantica possibile. Porzioni di reale si intersecano in un lessico semplice ma curato che richiama un certo stile senza orpelli e, al contempo, ricercato.

Nel fondo

Il poco più di notte
che si attarda
sul manto delle more
non tradisce
quel che di te non dici,
gli anni muti

scivolati nel fondo,
in lontananza.

 

La dimensione naturalistica e analogie con la poetica di Giovanni Pascoli

Nella raccolta Il prato bianco è chiara l’influenza del Pascoli: il modello sembra rimandare agli ingenui stupori del fanciullino, tuttavia appare chiara al lettore anche una certa analogia riguardante il linguaggio stilistico usato dai due autori. In Giovanni Pascoli abbiamo una minuzia nella narrazione che riguarda la descrizione e la menzione del paesaggio naturale. Si pensi a componimenti come  L’assiuolo, L’aquilone o L’ora di Barga;  la silloge Myracae così come i Canti di Castelvecchio, e in generale tutta la poetica pasco liana, è attenta a dare la giusta accezione a ogni soggetto presente in natura. Un  rimando che si nota anche in Scarabicchi quando parla del  manto di more, l’ombra dell’erba, le aiuole, i giardini: la natura è presente anche nei versi del poeta marchigiano, tuttavia il lessico si pone su una linea di comunicabilità con lettore, pur annoverando qualche tecnicismo.  La dimensione naturalistica-paesaggistica e quella famigliare e personale che allude al ricordo e al tempo che scorre, si fonde e plasma la poetica di Scarabicchi: due peculiarità che ricordano la poetica Pascoliana. Un esempio tangibile lo si può constatare nella poesia Luci distanti:

Il muschio è quell’odore che non muta
la sua antica infantile identità,

come se fosse sempre ovunque Ortona,
nel silenzio notturno che qui scende,

camera d’un albergo di provincia,
luci distanti che dai vetri vedo,

se appena un po’ m’accosto dopo cena.
Cadrà sempre la neve in ogni tempo,

sarà bianca com’era, fresca e intatta,
nasceranno bambini dai suoi fiocchi

come piccoli uomini che vanno
al paese incantato inesistente

che ciascuno conosce, se rammenta
l’albero dai bei doni illuminato.

I personaggi galleggiano in una dimensiona naturalistica, trasportati da un’atmosfera che rimanda sempre ai tempi dell’infanzia e, senza voler osare, quasi attingendo alla poetica crepuscolare: i luoghi abbandonati, le strade di provincia, le antiche e mitiche memorie di un tempo che  non tornerà. Stesso topos descritto nei versi di  Biglietto di settembre:


Questa pioggia che senti
giovane lungo i muri

picchia, se fai silenzio,
ai nostri vetri,

bagna inferriate e foglie,
crolla dalle grondaie,

allaga il buio,
cancella ponti e polvere

e scompare.

 

Il pensiero di Scarabicchi, tuttavia, è concreto: il poeta non è un veggente, esiste una sola realtà che è quella sensibile e l’artista non ha accesso a nessun altro tipo di dimensione più alta  e privilegiata. L’esistenza, per Scarabicchi, resta incasellata in un perfetto ‘’Eterno ritorno’’ che ne evidenzia la replicabilità, il grigiore e la sua limitatezza. La poesia, in questo caso, è solo un mezzo che ha il delicato compito di cercare e donare un barlume di ragionevolezza nella realtà delle cose, dei giorni, della vita e del suo fluire. Il poeta, in questo caso, non è un profeta ma uno spettatore che diviene interprete delle circostanze attraverso la poesia; le parole sono quindi l’ unico mezzo per accedere e comprendere la realtà.

Il tema della morte nella raccolta ‘’La figlia che non piange’’ e il valore della parola custode di memorie

La figlia che non piange è la silloge di Scarabicchi pubblicata postuma, da Einaudi, nel 2021. Qui, il poeta scomparso nell’aprile dello stesso anno, riflette sul tema della morta intesa come ultimo traguardo dell’uomo e come parte stessa e imprescindibile della vita di ognuno. Scarabicchi, anche in questa raccolta, affronta di riflesso argomenti come il tempo e il ricordo; la silloge è infatti una lunga riflessione sui momenti ormai passati e sfumati, nell’amara  constatazione che mai più faranno ritorno.

Prologo

Si decida il contabile del tempo
a restituirci gli anni non vissuti,
tutti i sogni, le cose, i persi sguardi,
le idee che vanno, veloci, a scomparire.
Che si decida presto a rimborsare
quanto ognuno ha mancato,
smarrendo dell’amore il caro nome.

 

Scarabicchi procede in un racconto dove la dimensione temporale, il ricordo e la morte si intersecano in versi chiari e delicati. Non è un lamento, il suo, ma la contemplazione di quello che è stato, scompare e permane come si può constatare nel componimento Qui regna il tempo che scompare:

Qui regna il tempo che scompare,
la fuga sua invisibile,
il nome che non resta,
giorno della stagione, breve resa,
limite d’ogni soglia inesistente.

 

E ancora l’istante che si somma agli altri e che ricrea  una dimensione temporale che ammanta emozioni, esistenze, periodi e che prende, parafrasando ancora Scarabicchi, solo per lasciare ancora:

Ah

Ah, il tempo che passa alle mie spalle,
sulle mie scarpe nuove, sulla pelle,
il giovane tempo che non ho incontrato,
il tempo abbandonato a mia insaputa,
quello smarrito lungo vie contrarie,
il tempo solitario d’ogni notte,
il tempo che mi viaggia e non ritorna,
tutto il tempo del tempo che c’è stato,
il tempo immaginato che perdòno,
quello di un’altra estate che scompare,
il tempo innamorato che è lontano,
il tempo che si volta non si ferma,
il tempo muto che si fa guardare,
il tempo intero che non puoi pensare,
quello che prende solo per lasciare.

 

I luoghi e i tempi permangono solo nella poesia, unica dimensione  che accoglie e coglie ogni sottigliezza che nella realtà della vita, e agli uomini, spesso sfugge: ecco, così, che solo la poesia riesce a salvaguardare e far durare in modo sempiterno relazioni e sentimenti in quanto la parola, nella sua insita peculiarità, è sia uno scrigno custode di ricordi che una messaggera di memorie erranti nel tempo senza che la sua essenza venga mai scalfita.

 

 

 

Rime Rubate, la nuova raccolta di Michele Piramide: un riverbero antico di parole incastonate nel mondo moderno

Rime rubate è la nuova raccolta di poesie del sannita Michele Piramide, edita Ensemble editore, con prefazione di Alessio Iannicelli epostfazione di Stefano Tarquini.

Cos’è l’arte poetica se non una condizione presente in ogni singola persona? In modi diversi, con sfumature più accese o sbiadite, l’arte è l’atrio del sogno: con l’arte si viaggia, si fantastica, si auspica. La poesia ne è la testimonianza: attraverso la parola si veicolano immagini, sensazioni, emozioni. Chiunque prende in prestito l’arte dal mondo circostante, dalle persone che incontra o dal proprio contesto, per poi costruire la propria visione  dell’universo, unica e soggettiva. Una sorta di apprendimento per imitazione, come teorizzava Albert Bandura, poi rielaborato ad hoc; e grazie a queste ruberie involontarie che si creano mondi irripetibili. Lo stesso Michele Piramide, citando Oscar Wilde all’inizio della raccolta Rime rubate, scrive:

Chi ha talento prende in prestito, chi è un genio, ruba’’.

Quello che colpisce della poetica di Michele Piramide è la maestria con cui riesce a far sì che antico e moderno si incontrino e cooperino, testualmente e letterariamente. Alessio Iannicelli, nella prefazione della raccolta,  afferma a tal proposito:

‘’Michele aveva racchiuso nella sua opera tutto ciò che era antico e attuale nello stesso tempo, aveva saputo catturare l’animo della persona comune e incanalarlo nelle figure di eroi epici, e figure iconiche del mondo moderno’’.

La poesia di Michele Piramide è una mescolanza di linguaggi che ne creano solo uno: il lessico dell’emozione. L’autore, infatti, cita trame mitologiche, personaggi della cultura e diversi riferimenti letterari,  ma quello che colpisce è come ‘’sveste’’ questi  iconici protagonisti della storia e della letteratura, incanalandoli in una visione quotidiana e contemporanea.  La raccolta si apre con un componimento: Marinella. Probabilmente la famosa Marinella di Fabrizio De Andrè, che Michele Piramide inserisce in un contesto attuale, non distorcendo la natura del personaggio:

Pieni i miei sensi di te.

Sinuose forme, strozzati versi caldi corpi.

Mare in tempesta gli occhi bui.

Porto sicuro, straziato viandante, confuso ristoro.

 

Ogni  poesia ha come titolo il nome di un protagonista simboleggiante un riferimento storico o letterario. Nel componimento dal titolo Beatrice l’autore scrive:

Sei aria.

Bianca, come un pensiero,

fredda e leggera.

Sei ricordo d’infanzia.

Intangibile e angelica.

Vorrei aver avuto il coraggio di sfiorarti.

 

La Beatrice di dantesca memoria è qui incastonata  in una dimensione onirica e angelica, come la natura del personaggio suole immaginarla. Emblematico il verso ‘’sei ricordo d’infanzia’’; un chiaro riferimento all’amore di Dante, la cui visione di Beatrice risale proprio a quando la fanciulla aveva nove anni. E ancora  Pier Paolo (Pasolini), Romeo e Giulietta, Enea e Didone: un tuffo in un passato arcaico che non diventa vetusto o ridondante nella poesia di Piramide, ma che invece comunica contenuti attuali. Nella poesia Tenco il contenuto è moderno e struggente, al contempo:

Ora siete liberi.

Liberi di soffrire in silenzio,

muti e attoniti.

Liberi di vedere la sabbia riempirmi i polmoni.

Liberi di piangere fiumi di parole.

Liberi di vivere e fingere.

 

Personaggi svestiti del proprio ruolo e inseriti in contesti quotidiani parlano al lettore: Luigi (Tenco) e la sua libertà, i suoi quesiti, i suoi ideali rivolti all’umanità. Il tutto cadenzato dalla creazione di un ritmo armonico del lessico, frutto di assonanze, allitterazioni, parole scomposte e composte che donano alla poesia di Piramide un suono scorrevole, una sinfonia di parole che appare ora intensa, ora lieve.

 

Rime rubate: haiku moderni fra attualità ed eleganza antica

La struttura della poesia di Michele Piramide si rivela nella sua semplicità: moderni haiku che giungono come un dardo nelle emozioni del lettore, che si accinge a godere di queste flusso di parole incastonate in immagini dal contenuto importante e serio ma non, tuttavia, prolisso.

Non ci sono orpelli nella poesia di Michele Piramide, solo un concentrato di sentimenti in cui il lettore si può rispecchiare. La sua poesia ricorda molto la  poetica di Francesco Scarabicchi, definita appunto ‘’poesia realistica’’,  le cui tematiche ripercorrono i temi del ricordo e del tempo. Alcune delle poesie del poeta marchigiano hanno come titolo un nome, proprio come accade nella produzione letteraria di Piramide. Un esempio è  Ginetta, un componimento datato 1980:

Oh, la follia di sguardi alla rinfusa,

le grida e quel falsetto inimitabile

quando sognava i fiori di conchiglie

o il presepio a Sorrento in una scatola,

il biscuit restaurato e le sue calze

smagliate per sempre dentro gli anni,

polvere e oro nella casa bassa,

tra il giardino e le rose mai appassite.

 

Se per il poeta marchigiano la poesia è figlia della memoria, Michele Piramide rimodella e fa sua questa asserzione, astrattamente e nella concretezza;  cita nomi di una cultura letteraria e storica appartenente al passato e, nella sua produzione, inserisce porzioni di arte che capta durante la sua esperienza di vita,  per poi creare un proprio universo letterario in cui il flusso emozionale è il focus principale della sua poetica. Rime rubate è un inno all’importanza del sentimento e dell’emozione, in cui ogni lettore può riflettersi sentendosi compreso: un libro che è, nella sue essenza, uno specchio letterario che riflette e traduce le emozioni del lettore.

 

‘Tutto secondo gli accordi’, poesia e musica nella raccolta poetica di Riccardo Santarelli

Il legame tra poesia e musicalità ha radici antiche e risale ai poemi omerici, dove l’esametro serviva alla memoria degli aedi per ricordare più facilmente le grandi imprese della guerra di Troia e le avventure di Ulisse in viaggio nel Mediterraneo. Lo scrittore pugliese Riccardo Santarelli fa coesistere parola e musica più volte nella raccolta poetica dal titolo Tutto secondo gli accordi, edito da Eretica, mostrando come un’opera poetica e un brano musicale possano apparentemente prescindere l’una dall’altro ma poi sentano il bisogno di chiamarsi, desiderarsi e ispirarsi, andando a creare un preciso e singolare contesto.

Ideata durante la seconda metà del 2021, la raccolta di poesie Tutto secondo gli accordi è nata dalla volontà di far partire dallo stesso binario musica e verso. I titoli dati alle poesie sono accordi musicali che formano quella che in musica si chiama armonia non funzionale, ovvero una successione non canonica, che prescinde dalla tonalità ma il cui risultato compositivo è più che valido.

Come si spiega nella Prefazione, all’inizio dell’estate del 2021 Santarelli aveva già in mente di scrivere un libro di poesie che strizzasse l’occhio alla musica; aveva già il suo inizio e la sua fine: il titolo Tutto secondo gli accordi e la poesia “Silenzio”, l’ultima di questo originale volume.

Il titolo di ogni poesia che compone la raccolta è un accordo, e ogni lirica nasce da un percorso arduo, quasi irrazionale, vitale e istintivo alla cui base c’è l’ispirazione musicale. La duplice forma dell’opera corrisponde alla volontà di Santarelli, che nella sua ricerca espressiva favorisce sempre di più una modalità di lettura empirica, di coinvolgere più sensi senza la pretesa di dare loro un ordine ben definito.

La raccolta di Santarelli sottende il sottotitolo che è una citazione di Beethoven: <<La musica è una rivelazione, più alta di qualsiasi saggezza e di qualsiasi filosofia>>. Nel caso specifico, l’autore sperimenta i meandri del vuoto, rimanendo ancorato alla ricerca del “movimento segreto delle cose”. Cerca, manifesta, comprende, definendo la musica in poesia, unico spazio di infinita vitalità e divenire.

La musica per Santarelli è l’avamposto della vita e della speranza, la poesia quello della luminosità e della trasparenza. Tale connubio, si esplica chiaramente e felicemente in Tutto secondo gli accordi, dove non solo si cercano di percepire gli oggetti nei loro dettagli, ma anche la forza della metafora di trattenere la loro essenza, e di portare loro a uno stato di purezza.

Il cuore di Santarelli batte per l’enigma della parola, delle cose, della realtà che a volte non sappiamo definire innocente, cose e parole  smarrite fra rivoli di sentimenti e visioni:

 

RE CON SECONDA SOSPESA

Ho concepito l’attesa
vietando alle parole
di sciogliersi
sulla bocca,
forzando il pensiero
su binari molli
che percorrono fondali.

Da bambina
mi si è appesa al collo,
ha svelato il suo segreto
e ha umiliato il tempo,
riducendolo a un folle
che predica la fine
troppo presto,
troppo in fretta.

Ormai cresciuta,
mi porta sulla cima
del mondo,
dove ogni uomo,
una volta nella vita,
si lascia morire.

 

Tutto secondo gli accordi è sia un brano di musica classica (all’interno del volume c’è anche un codice QR che rende possibile l’ascolto) che una raccolta poetica che sa di mistero e piccoli svelamenti. L’autore ha lasciato che il verso ispirasse la musica e che la musica ispirasse il verso. Il senso di marcia non conta: si può cominciare con l’ascolto o con la lettura; l’importante è lasciare che l’udito e la vista godano rispettivamente della musicalità del verso, dominio della poesia, e delle ampie spennellate di sensibilità che solo la musica riesce a realizzare. Le poesie ruotano intorno a riflessioni esistenziali, l’autore considera il vuoto quasi come un luogo davvero concreto, non il vuoto aborrito dalla Natura:

Vivo nel vuoto,
perché è l’unico luogo
che mi contenga.
Posso portarci
qualsiasi cosa:
una città intera,
senza che si riempia;
la pioggia scrosciante,
senza che si bagni;
doni su doni,
senza ricevere
alcuna gratitudine.
Posso portarci
il mio volto,
senza per forza
essere riconosciuto.

Santarelli compone il suo spartito poetico seguendo l’assunto che vuole che Musica e poesia accomunate dalla specificità di forme distribuite nel tempo. Entrambe, insomma, hanno il tempo come carattere fondante. Così come entrambe costruiscono il proprio effetto ricettivo su fenomeni di tipo uditivo, di tipo acustico. E questo i poeti, da Dante a Petrarca, da Leopardi a Montale, lo sapevano benissimo: anche nel momento in cui scrivono un metro chiuso, obbligato, per rime incatenate e così via, giocano continuamente sull’anisosillabismo dell’esecuzione. Riccardo Santarelli non è da meno, e regala agli appassionati di musica e di poesia squarci di vita pensata, riflessioni, un mondo interiore in cui tutti le anime sensibili possono riconoscersi, mostrando acutamente e delicatamente come la musica e la poesia siano un binomio essenziale.

 

Riccardo Santarelli è nato a San Giovanni Rotondo nel 1988, si è laureato alla facoltà di Lettere Moderne. Nel 2009 pubblica il suo primo libro di poesie, Frammenti di anti-quotidianità, presso la casa editrice Rupe Mutevole e nel 2016 autopubblica un’altra raccolta dal titolo Il verso della Sorgente.
A fine ottobre 2022, esce la sua ultima raccolta poetica Tutto secondo gli accordi, pubblicata con Eretica Edizioni. Di prossima pubblicazione è l’album musicale Ascendente.

‘L’ultima poesia d’amore’, il nuovo romanzo di Leo Silva Brites

Dal 20 ottobre giunge in libreria il nuovo romanzo di Leo Silva Brites per Instapoeti, marchio del Gruppo Alise Editore. L’ultima poesia d’amore è il titolo con cui lo scrittore sigilla il profondo rapporto che corre tra l’arte e l’amore, rendendolo vivo in una storia di crescita personale e di delicata poesia.

Lungo le sponde del lago di Lugano, un gelato al pistacchio riesce a rompere il sistema di credenze di un ragazzo che ha in odio il mondo intero. Il gusto di assaporare quell’istante assieme a Nadia lo incoraggia ad affrontare sé stesso e il suo passato.

Ne L’ultima poesia d’amore protagonista è un giovane di nome Abel. Il ragazzo odia tante cose e persone: i turisti, ad esempio. Un sentimento non indifferente se si vive e si ama passeggiare sul lungolago di Lugano. E mentre si cammina, è impossibile nascondere certe occhiate di disprezzo nei loro confronti. Abel ha questi particolari occhi colmi d’odio nei confronti del mondo, odio che si tramuta in paura di guardarsi dentro: il suo stesso sguardo critico gli si ritorce contro. Come sfuggirgli?

La sua vita di camminate per le strade di Lugano, i treni presi senza biglietto, le corse in taxi gli fanno conoscere personaggi unici, folli, in cerca, come lui, di una zona franca di equilibrio tra sé e la vita. Tra questi personaggi ce n’è uno che cambierà per sempre il punto di vista di Abel: Nadia. La ragazza, in coda per gustare il gelato più buono della città, sembra il suo opposto.

Abel infatti, nella lista delle tante cose che disprezza, ha inserito anche il gelato, quello al pistacchio in particolare. Nadia ordina proprio quello, ma con una grazia capace di offuscare la barriera del suo giudizio. L’incontro tra i due splende di bellezza e magia a tal punto da donare ad Abel quel coraggio a lui necessario per affrontare i propri lati più cupi. Abel scopre così che la sua vita, più che una fuga, è una ricerca: il giovane è in cerca di una poesia, l’ultima lasciatagli dalla madre.

In questo viaggio di crescita, amore e realizzazione che comincia con una scoperta disarmante, Leo Silva Brites torna a indagare i temi a lui cari. Abel è un personaggio inconsapevole di possedere un museo pieno d’arte al suo interno. Imparerà a proprie spese come ogni persona incontrata sia un dono speciale, come ogni incontro sia una possibilità per vivere e scoprirsi un po’ di più. Gli basta solo capire come cogliere l’attimo e “restare” nelle emozioni. L’Amore diventa allora un impegno volto a risanare ciò che si è perso, a condividere la propria vita con gli altri con leggerezza.

Leo Silva Brites appartiene alla rete di influencer “Instapoeti”, un social network con oltre 5 milioni di follower. Instapoeti è anche il marchio editoriale più seguito dai giovani sui social. Pubblica romanzi d’amore, poesie e libri di giovani scrittori.

 

L’autore de L’ultima poesia d’amore

Leo Silva Brites nasce nel 1999. È uno scrittore e poeta di origini portoghesi, precisamente di Fatima, cresciuto in Svizzera, nel Canton Ticino. Da bambino sviluppa il bisogno di scrivere per esternare su carta le proprie emozioni. Nel 2019 pubblica In bilico tra cuore e cervello, e nel 2020 Emozioni – Introspezione dell’Amore, due libri di poesie che lo fanno conoscere nel suo Cantone. L’ultima poesia d’amore è il suo primo romanzo, incentrato sul concetto di resilienza che diventa il dolce ricordare, la ricerca di una poesia che affronta il dolore del vissuto.

 

Alise Editore

è la casa editrice fondata a Milano da Alessandro Alise, editore e manager con esperienza decennale in campo editoriale, il cui impegno è quello di pubblicare libri di qualità, titoli suddivisi in collane innovative che spaziano tra diverse tematiche. I suoi brand sono Alise, Eternity e Instapoeti.

Premio Astrolabio, ideato da Valeria Serofilli, quest’anno è dedicato alla memoria di Giorgio Bárberi Squarotti e Renata Giambene

AstrolabioCultura, presieduta dalla scrittrice Valeria Serofilli, con la collaborazione dell’Editrice Ibiskos Ulivieri, Editrice di Empoli, con il Gruppo Internazionale di Lettura (Presidente fondatrice Renata Giambene), con la Libera Accademia Galileo Galilei di Pisa e con il patrocinio della Provincia di Pisa, istituisce la decima Edizione del Concorso Letterario Astrolabio allo scopo di promuovere la parola poetica e il componimento di fantasia e al fine di evidenziare nel panorama letterario attuale opere di autori degne di attenzione.

Oltre alle “classiche” quattro sezioni a tema libero, a cui si concorre con le modalità qui sotto specificate, gli autori potranno inviare lavori ispirati al tema: “Io, nell’ordine naturale, sono nata non per odiare, ma per amare”, tratto da Sofocle, Antigone, v. 523. Le autrici e gli autori che intendono concorrere a questa sezione dovranno specificarlo all’atto dell’invio dei loro componimenti.

 

SEZIONI A TEMA LIBERO

 

Prima sezione:

Volume edito di poesia per un’opera in versi pubblicata a partire dal 2010. Inviare due copie del volume di poesia. Solo una delle copie dovrà recare i dati completi dell’autore, assieme ad un breve curriculum biobibliografico e ad un indirizzo di posta elettronica.

 

Seconda sezione:

Silloge inedita (minimo 10 poesie – massimo 20) in due copie. Soltanto una delle copie dovrà recare il nome e l’indirizzo completo, comprensivo di indirizzo di posta elettronica dell’autore. È gradito un breve curriculum da allegare in busta chiusa.

 

Terza sezione:

Poesia singola a tema libero. Si partecipa inviando da una a tre poesie edite o inedite. È consentito inviare anche poesia già premiate in altri concorsi.

Inviare le poesie in 2 copie di cui solo una dovrà recare i dati completi dell’autore, un breve curriculum e un indirizzo di posta elettronica.

 

Quarta sezione:

100 parole per un racconto, riservata a un microracconto edito o inedito. Tema: libero.

Caratteristiche del testo: Word Times New Roman corpo 12, Lunghezza: non superiore a 100 parole.

La sezione è aperta agli autori di età superiore a 16 anni.

Inviare il testo in 2 copie di cui solo una dovrà recare i dati completi dell’autore, un breve curriculum e un indirizzo di posta elettronica.

 

Per inedito s’intende opera mai apparsa in volume individuale.

 

A partire da questa edizione, è consentito, per tutte le sezioni di concorso, anche optare per

INVIO DELLE OPERE CON POSTA ELETTRONICA.

 

Gli inediti, gli ebook e i PDF dei libri editi possono infatti essere inviati anche per posta elettronica al seguente indirizzo: premioastrolabio7@gmail.com

 

Per la partecipazione con lavori inediti è sufficiente inviare un file anonimo in formato Word .doc oppure PDF.

In un file a parte indicare le proprie generalità e i recapiti, indirizzo e posta elettronica.

 

I concorrenti che intendono inviare libri editi devono allegare alla mail anche un file con l’immagine di copertina, se non presente nel PDF, e specificare nel corpo della mail da quale casa editrice è stato pubblicato, o se si tratta di libro autopubblicato.

 

Per tutte le sezioni è inoltre richiesto l’invio, sempre nella stessa mail contenente il PDF del libro e l’immagine della copertina, della seguente

DOCUMENTAZIONE:

 

Scansione o fotografia chiara e ben leggibile di:

 

° Modulo di partecipazione compilato in ogni sua parte.

° Ricevuta di pagamento della quota di partecipazione

 

Giuria

Presidente Valeria Serofilli (Presidente fondatrice di AstrolabioCultura, poeta e critica letteraria). I Membri di Giuria saranno resi noti in sede di premiazione.

Comitato d’Onore

Pier Paolo Magnani (Assessore alla Cultura del comune di Pisa), Paolo Ruffilli( poeta). Regolamento

Le opere concorrenti, complete di copia del versamento, scheda di iscrizione (reperibile in calce al presente bando), curriculum dell’autore e breve sinossi dell’opera, vanno spedite (evitando l’invio tramite posta raccomandata) al seguente indirizzo:

Segreteria Premio Astrolabio, via Ciardi nr° 2F, 56017 Pontasserchio di San Giuliano Terme (PI)

 

entro e non oltre il 15 maggio 2023 (farà fede il timbro postale).

Si richiede anche l’invio telematico dei testi al seguente indirizzo di posta elettronica: premioastrolabio7@gmail.com .

Per agevolare il lavoro della Giuria, si raccomanda ai concorrenti di inviare i propri lavori prima possibile, senza attendere il periodo a ridosso della scadenza.

Possono partecipare al concorso autori italiani e stranieri con elaborati dattiloscritti in lingua italiana redatti su foglio formato A4.

È ammessa la partecipazione a più sezioni versando per ciascuna sezione il relativo contributo. Gli elaborati partecipanti al Premio non saranno restituiti.

Per i libri editi è prevista la cessione, a cura della Segreteria del Premio, di una copia dei testi alla Biblioteca Comunale della città di Pisa.

 

L’esito del concorso verrà comunicato ai soli vincitori e segnalati e ai concorrenti che avranno indicato il proprio indirizzo di posta elettronica.

Per ciascuna sezione inviare € 20 per rimborso spese di segreteria, da versare in contanti in busta chiusa o tramite bonifico bancario sul seguente conto:

IBAN: IT03 T 05034 14026 000000201175 intestato a Valeria Serofilli specificando nella causale “Premio Nazionale di Poesia Astrolabio 2020”.

Si prega di allegare ai lavori concorrenti la scheda di partecipazione, la liberatoria e la fotocopia dell’avvenuto pagamento.

Premi

I primi tre autori classificati verranno inseriti nell’Antologia “C’è un tempo per…” pubblicata da Ibiskos Ulivieri Editrice, con specifico riferimento al Premio Astrolabio. Riceveranno inoltre una targa con l’indicazione del riconoscimento ottenuto.

Al primo classificato di ogni sezione verrà consegnato l’Astrolabio simbolo della Libera Accademia Galileo Galilei, opera dell’artista Vittorio Minghetti.

I concorrenti premiati, inoltre, potranno essere inseriti nel Calendario degli incontri curati e promossi da Valeria Serofilli allo storico Caffè dell’Ussero, al Relais dell’Ussero della Villa di Corliano (http://www.villadicorliano.it/ ), alla libreria Blu Book di Palazzo Blu di Pisa (https://www.turismo.pisa.it/luogo/palazzo-agostini-e-caffe-dell-ussero?context=3906 ) e alla biblioteca SMS di Pisa.

Le opere degli autori premiati o segnalati potranno essere presentate da esponenti dell’Associazione Astrolabiocultura presso alcune scuole e biblioteche del comprensorio pisano.

La Segreteria di AstrolabioCultura comunicherà, a seconda dell’esito dell’attuale pandemia, le disposizioni concernenti la parte conclusiva del Concorso, i cui risultati verranno resi noti i primi di giugno.

I premi dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori o in caso di impossibilità ritirati da un delegato.

La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento.

La Giuria si riserva di apportare modifiche al presente bando qualora se ne presentasse la necessità.

La poesia di Giorgio Caproni per imparare l’italiano e conoscere l’Italia. La proposta di Maria Teresa Caprile

La proposta di Maria Teresa Caprile di richiamarsi alle parole e quindi alle poesie di Giorgio Caproni è una sfida per dimostrare che chiunque e, perché no, anche uno studente italiano, attingendo dal suo ricco vocabolario, può avviare e arricchire la sua conoscenza della lingua italiana e, inoltre, della nostra cultura e società.

Infatti, la produzione letteraria di Caproni (anche quella non meno importante in prosa, che però non viene qui esaminata) riflette totalmente la realtà italiana dell’intero Novecento, a cominciare dai primi decenni del secolo, da lui trascorsi nella natia Livorno, agli anni centrali della sua formazione a Genova negli anni Trenta, sino alla seconda metà vissuta a Roma con uno sguardo attento e spesso dolente su un’evoluzione sempre meno confortante della società.

E così Maria Teresa Caprile giunge alla conclusione nel suo libro pubblicato da Oltre Edizioni,  La poesia di Giorgio Caproni per imparare l’italiano e per conoscere l’Italia che la conoscenza delle rime “chiare” ed “elementari” delle poesie di Giorgio Caproni, formate dal ricco e personale inventario delle sue parole qui puntualmente censite, può rappresentare un’ideale fonte di apprendimento della realtà italiana, non solo linguistica, del Novecento nei suoi molteplici momenti.

Maria Teresa Caprile è stata professoressa a contratto di Letteratura italiana per stranieri presso l’Università di Genova, dove pure è docente dal 2006 nei corsi di Lingua italiana per stranieri, ed è studiosa della Letteratura Italiana, materia nella quale ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l’Università di Granada. È autrice, in collaborazione con Francesco De Nicola, dei saggi-antologia “Italia chiamò”. 150 anni di storia italiana nelle pagine degli scrittori liguri (De Ferrari, 2010), Gli scrittori italiani e il Risorgimento (Ghenomena, 2011), Gli scrittori italiani e la Grande Guerra (ivi, 2014) e della monografia Giorgio Caproni (“Dante Alighieri”, 2012). Ha curato la ristampa dei romanzi La prova della fame (Gammarò, 2016) di Carlo Pastorino e Sissignora di Flavia Steno (De Ferrari, 2017) e l’edizione delle poesie di Riccardo Mannerini (ispiratore di alcune canzoni di Fabrizio De André) in Il viaggio e l’avventura (Liberodiscrivere, 2009).

‘Tempo d’opera’, l’ultima raccolta poetica di Alberto Toni, allievo di Penna e Rosselli

Al momento della sua scomparsa, Alberto Toni stava lavorando a un nuovo libro di versi, del quale aveva già potuto abbozzare la struttura e decidere il titolo. Quella che congediamo per i lettori è dunque una raccolta che si presenta con una evidente omogeneità e compattezza, com’è nella prassi di questo poeta, anche se l’autore non è riuscito a porvi fine. Tempo d’opera è un compendio, forse un testamento; vi sono
compresi tutti i principali temi di un incessante interrogarsi attraverso la poesia, dalla natura e dal senso dell’essere alla meditazione sociale e politica, alla visione etica sui problemi del presente, fino ai fragili equilibri del corpo.

Sono temi che nel loro insieme dialogano fittamente in una rete inscindibile, venendo così a comporre quell’«opera» che resta, infine, il rapporto privilegiato tra vita e scrittura, tra esperienza e pensiero, tra ascolto dell’altro e lavoro su sé stessi, come accade negli autori votati a una sicura consapevolezza della propria presenza e della propria necessità. A questi valori, nel pieno delle derive postmoderne, Toni non è mai venuto meno, facendo ascoltare la sua voce, restando fedele al lascito dei maestri, da Sandro Penna ad Amelia Rosselli, e affermandosi come uno dei poeti di riferimento a cavallo del millennio, non solo in ambito romano.

Più non cedeva all’ombra, che è morte sopra ogni cosa viva. Via, dunque, al riparo sotto il fogliame, al margine pericolante e inquieto, ma vivo, appena raggiunto. Era solo una figura celeste alla luce del primo mattino, spariva dove nessuno aspettava che finisse.

Alberto Toni (1954 – 2019) è vissuto a Roma, dove ha insegnato materie letterarie nelle scuole. Ha esordito come poeta nel 1987 con la raccolta La chiara immagine (premio L’isola di Arturo – Elsa Morante), a cui sono seguite Partenza (1988), Dogali (1997, premio Sandro Penna), Liturgia delle ore (1998, premio Eugenio Montale), Teatralità dell’atto (2004, premio Pasolini), Mare di dentro (2009), Alla lontana, alla prima luce del mondo (2009), Democrazia (2011), Vivo così (2015), Il dolore (2016), Non c’è corpo perfetto (2018). Una scelta delle sue poesie, Selected Poems 1980-2010, è apparsa in traduzione inglese negli Stati Uniti (2014). Ha pubblicato inoltre alcuni libri in prosa: Con Bassani verso Ferrara (2001), Quanto è lungo il sempre (2001), L’anima a Friburgo (2007), Livorno (2016). Come critico letterario ha collaborato a numerose riviste e periodici e ha scritto testi per il teatro.

‘Le sorti dell’incanto’, il sublime della fatiscenza di Luca Crastolla

Luca Crastolla è tra le voci poetiche italiane più interessanti nel panorama letterario attuale. Il poeta pugliese è capace di trasformare le sue fisse, come le chiama lui stesso, in versi raffinati che vogliono essere di rottura dal punto di vista stilistico.
Ne Le sorti dell’incanto, raccolta poetica edita da Gattogrigio nel 2022, Crastolla consolida questa tendenza. Tanto più esatto è il vocabolo, tanto più frastagliata è la sintassi, in quanto la versificazione, nel poeta pugliese, mantiene la sua quota nella voce, parola da cui deriva “vocabolo”. Prima che quest’ultimo si riduca a lemma e a elemento codificale, rivendica il suo ruolo di urlo”.

Le sorti dell’incanto: contenuti e stile

Come scrive Giuseppe Cerbino nella postfazione al libro, prima che quest’ultimo si riduca a lemma e a elemento codificale, rivendica il suo ruolo di “urlo”. Questo singolare aspetto permette di riconoscere nella “voce” di Luca Crastolla una naturale “vocazione” non al racconto e alla didascalia (sempre evitata con accortezza da questo poeta) ma alla “denuncia” assimilando così la lezione di grandi poeti conterranei a Crastolla come Vittorio Bodini, Vittorio Pagano, Antonio Verri e in parte Salvatore Toma.
Da questo humus di premesse germina e si sviluppa questa interessantissima plaquette pubblicata per l’editore Gattogrigio, in cui il tentativo dell’urlo per diventare canto – vale a dire il tentativo di passare dal disagio al sublime della fatiscenza– fiorisce nell “incanto” di cui Luca Crastolla, tuttavia, cerca di descrivere le “sorti” e quindi il percorso.

Il Salento di Crastolla

In questa raccolta visionaria, Crastolla non si perde in orpelli, facili emulazioni e autocompiacimenti retorici, bensì il poeta rivendica il diritto all’essenzialità e alla scarnificazione dell’articolazione verbale.

Servendosi della scomposizione della sintassi, il poeta pugliese riesce ad illuminare la parola nella sua unicità di verbo, impresa che riesce a pochissimi poeti nostrani contemporanei. Crastolla ne approfitta per scrivere del suo Sud, avvolto in un’atmosfera magica e ieratica, dove però Cristo non è passato. Il sud di Crastolla è ben lontano dai luoghi comuni: la descrizione che ne fa l’autore ricorda alcuni passaggi in prosa di Grazia Deledda che ritrae la sua Sardegna.

Si avverte disagio verso la parola definitiva, la parola nel suo problematico sinonimo di termine. La parola, insomma, reca in sé un’idea di approssimazione, e l’approssimazione è garanzia di un discorso sempre aperto; tale concetto abbraccia anche l’incanto di cui parla il poeta, perché l’incanto ha bisogno di sospensione, di penombre non di luce accecante. Come ammette Crastolla stesso, a lui non riesce di rappresentare l’areale delle intensità fragili e degli accecamenti a cui fa riferimento Giuseppe Cerbino. In questa genesi paradossale, l’incanto rima con il tremendo, con ciò che fa tremare, con ciò che si manifesta senza perdere l’ultimo velo o il penultimo.

Cos’è l’incanto?

Se l’incanto rima con il tremendo, richiama il sublime kantiano (La notte è sublime, il giorno è bello) qui piegato alla constatazione delle umane caducità. Ma se tutto cade, l’intensità è la propensione dell’indole e, insieme, l’arnese della parola con cui si dà profondità al millimetro, con cui si sdolorano gli esiti della fuggevolezza. Da questo punto di vista l’intenzione di catturare ogni singola sfumatura del nostro animo, di un luogo, di un paesaggio, per poi consegnarle all’eternità e all’universalità, è simile a quella portata avanti da Dostojevskji, sebbene in modo molto più drammaticamente mistico.
Nella poesie di Crastolla si ritrovano la sintesi di paesaggi e di immagini e una dialettica umana che fa da ponte tra il mondo del ricordo e il mondo contemporaneo, tra un mondo che si palesa e uno che si nasconde. Una testimonianza è data dalle poesie L’appezzamento ha i confini sul pube e La stretta attigua che separa dall’isola, le quali mostrano come la poesia non sta solo nel testo, semmai nel suo agire rivelando l’inespresso e l’invisibile, dando forma alle visioni alle voci di Dio e dei nostri demoni.
Ne Le sorti dell’incanto, l’idea muta in corpo, ci apre un nuovo cammino, ignoto, affascinante, inquietante. Come Verri, anche Crastolla
lotta contro il provincialismo culturale, e ambisce a confrontarsi con la grande letteratura italiana e internazionale per riuscire a racchiudere il mondo dentro una raccolta poetica, dimostrando la potenza che possiede la scrittura di creare e ricreare, perché essa non simula la vita ma è la vita stessa.
Cosa incanta? Ciò che incanta è il senso di attesa che si può percepire da un volto, un sapore, un suono, un odore, un luogo che possono lasciare l’amaro in bocca, insieme ad un senso di infinitezza e desiderio di mistero. Mistero che abita le terre percorse dal poeta, il quale le presenta al lettore con piglio antropologico, sociale, musicale, etnologico. Trasuda fascino il Salento di Crastolla, caratterizzato dal simbolismo della taranta – il ragno che morde e avvelena – e dalla potenza estatica e della musica e della danza.
Rispetto a L’ignoranza della polvere, sua prima raccolta, Crastolla qui compie un passo ulteriore, rendendo la sua raccolta più unitaria e configurandola come un dialogo tra antichità e modernità: chiama a raccolta poeti e lettori per segnalare la situazione di pericolo in cui si trova l’essere umano quando è incapace di parlare, di essere nel mondo, quando si riduce alla nozione di essere, accettata dalla filosofia occidentale che identifica l’essere con l’oggettività, ovvero, alla maniera di Heidegger, con la semplice-presenza, e il poeta stesso quando smette di essere poeta e veste i panni dell’ideologo markettaro.
La poesia stessa è incanto perché, semplicemente, accade e non va accompagnata da didascalie e rivela l’identità dell’ essere umano che, in quanto ragionevole, si sottrae alla natura, e costituisce la “guida” della condotta umana.
Ritornando al sublime, Crastolla consente di andare ad arricchire il dialogo tra sublime e modernismo, e su tutti quei tratti del sublime tradizionale che sono inglobati nel modernismo, assumendo forme diverse, ma mantenendo un legame con il passato. Ed ecco che da questo punto di vista un dialogo con il passato è possibile. Nello specifico ciò è possibile grazie al valore conoscitivo dell’esperienza sublime, dell’aspetto retorico e dell’idea di irrappresentabilità.
Non a caso gli elementi del sublime modernista che presentano delle caratteristiche inedite rispetto alla tradizione sono l’immanenza, la riscoperta del mondo reale e la ri-semantizzazione e riscrittura, oltre che di affermazione della creazione letteraria come gesto sublime, caratteristiche, chi più, chi meno, presenti nell’opera di Crastolla.

L’autore

Luca Crastolla nasce nel 1974 a Fasano dove risiede. Laureato in Scienze dell’educazione, attualmente lavora come educatore psichiatrico. Nel 2018, per Controluna Edizioni Poesie, pubblica la sua prima silloge dal titolo “L’ignoranza della polvere”. Il suo nome compare nell’antologia “Paesaggi liberi” raccolta di poesie pubblicata nel 2018 a tema la violenza sulle donne, e nel 2019 nell’antologia “Nel corpo la voce” sempre per Controluna. Il libro scelto fa parte de “I Poeti“ una collana di poesia diretta ad Andrea Casoli per Gattogrigio Editore.
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