Guia Zapponi: “Il teatro è un luogo di catarsi e per cercare di capire che cos’è la vita”

Guia Zapponi classe 1977, è una attrice, produttrice e regista milanese. Dopo gli studi teatrali fra la City Lit di Londra e la Scuola del Teatro Stabile di Genova, la vita di Guia si divide fra teatro, cinema e televisione sia sulla scena che dietro le quinte. Artista poliedrica e dal corpus artistico molto nutrito.

Dal 1995 interpreta ruoli principali in teatro tra cui Il postino di Neruda (regia di Memè Perlini), Giulietta e Romeo (regia di Nicolaj Karpov), Olga (regia di Maura Cosenza), La bisbetica domata (regia di Marco Cesobono), Il Rompiballe (regia di Andrea Brambilla), Posta prioritaria (regia di Sara Bertelà),  Tre voli (regia di S. Bertelà), Bash (regia di Marcello Cotugno), Don Chisciotte (regia di Maurizio Scaparro), Theatre Ouvert (progetto teatrale presso il Teatro Stabile di Torino, di Elisabetta Pozzi).

Guia Zapponi nel DON CHISCIOTTE

Dal 2005 al 2012 lavora in televisione per Rai e Mediaset. In Gente di mare è Laura, sempre lo stesso anno in Codice Rosso interpreta Stefania (regia di Riccardo Mosca) e nel 2008 è Lina ne La Squadra (regia di G. Leacche) e nel  2012  partecipa al film tv Il Matrimonio (regia di Pupi Avati). Successivamente interpreta la sorella di Elena Sofia Ricci nel film tv Le due leggi (regia di Luciano Manuzzi 2013) e successivamente partecipa come protagonista nella serie di successo Don Matteo 10 (regia di Jan Michelini 2015).

Guia e Terence Hill in Don Matteo

 

Per quanto riguarda cinema, l’attrice esordisce nel 2004 con il film Non aver paura (regia di Angelo Longoni) successivamente Una talpa al bioparco (regia di Fulvio Ottaviano). Tra i tanti cortometraggi partecipa come Maria Maddalena in Jesus-il Miracolo italiano (regia di Franco Di Pietro). Il suo curriculum è impreziosito da svariati sodalizi artistici: Guia inizia la collaborazione con un maestro del cinema come Pupi Avati partecipando ai film Il figlio più piccolo, Una sconfinata giovinezza, Un ragazzo d’oro e Un Viaggio lungo cent’anni. Lavora con Carlo Verdone nel film Sotto una Buona Stella.

 

 

 

 

 

Guia Zapponi- Sotto una buona stella

Con il regista genovese Ildo Brizi  gira due cortometraggi e un lungometraggio come protagonista assoluta Danza Macabra 2014 che vince quest’anno come miglior film di genere al Terra di Siena International Film Festival. Ha lavorato ad una commedia al femminile in uscita al fianco di Paola Minaccioni, Violante Placido e Claudia Pandolfi dal titolo Alice non lo sa

La sua carriera conta anche alcune esperienze all’estero: Guia è stata protagonista nei  film Sharkskin (regia di Dan Perri 2013)  Nothing like the sun (regia di Nguyen Nguyen) Nine-eleven ( regia di Martin Guigui) Los Angeles 2016 e Zeroville (regia di James Franco 2014).

in Sharkskin

Come regista debutta nel 2007 nel suo primo documentario girato in Mauritania, sostenuto dal Ministero dei Beni Culturali, sui cambiamenti climatici proiettato all’interno della settimana sostenibile dell’UNESCO a Roma.

Guia continua la sua esperienza di regista in teatro firmando la regia teatrale di Cena con Burlesque con ben 200 repliche e produce The Great Carouesel.

Guia Zapponi –The Great Carouesel

Si è cimentata nel cinema con la regia del  suo primo cortometraggio dal titolo Paludi e il suo secondo corto dal titolo Una scatola piena di Luce con Giulia Lazzarini, Sara Bertelà e Ginevra Ghisleni, acquistato da Rai Cinema ha vinto una menzione speciale al Terra di Siena International Film Festival.

Come regista firma tre documentari: Journey To Mauritania, Oman Expedition acquistato da De Agostini e il suo ultimo film Soul Travel prodotto da RS Productions branchia di Rolling Stone Italia è uscito al cinema in tutta italia ad agosto 2021. Proprio con quest’ultimo Guia Zapponi è stata premiata al 25° International Terra di Siena Film Festival nella categoria “Migliore Regia Documentario”.

Nella sua carriera Guia ha prestato il suo volto anche per noti spot pubblicitari e nel corso della sua carriera si preoccupa di curare anche degli aspetti organizzativi e della produzione teatrale e cinetelevisiva. Dal 2008 al 2016 per La Biennale di Venezia si occupata dell’organizzazione del Festival di Venezia nel settore Delegazioni Film.

Guia Zapponi è un’attrice di talento, quel tipo di interprete che lavora non in virtù della popolarità e del successo, ma per amore dell’arte. Un’attrice pensante e generosa, preziosa per il nostro spettacolo.

 

1 Chi sono i maestri del cinema italiano? Quali caratteristiche devono avere secondo lei?

Quando mi viene chiesto chi sono i maestri del cinema italiano mi vengono in mente i grandi del passato De Sica, Fellini, Antonioni, Rossellini e Monicelli. Sono maestri del cinema indiscusso, conosciuti in tutto il mondo. È ovvio che poi ci sono delle persone, comunque, molto in gamba anche oggi e che si potrebbero chiamare maestri. Abbiamo avuto un grande cinema soprattutto in quegli anni. Quello è storia. Ascoltavo proprio l’intervista di un’altra attrice, Monica Vitti appunto, e diceva che in quei tempi spesso i registi non prendevano attori usciti dalle accademie, ma prendevano gente della strada. L’attore era visto come un personaggio non comodo su un set. Per cui non solo erano dei maestri ma, in più avevano una grande creatività. Le caratteristiche che dovrebbero avere secondo me i registi sono sicuramente la creatività, la scrittura- perché il cinema parte dalla scrittura- e una visione, cioè un immaginario. E questi maestri le avevano.  Anzi credo che oggi chiunque faccia cinema deve avere secondo me queste tre caratteristiche.

2 A proposito di maestri, ha lavorato con Pupi Avati, lo trova un cineasta più ruvido o sentimentale? Cosa ha imparato stando a contatto con lui?

Ci sono registi di grande calibro e Pupi Avati è uno di questi. La sua filmografia è abbastanza corposa. Il suo ultimo film, quello su Dante, secondo me è molto interessante. Con lui ho fatto “Una sconfinata giovinezza” un film su una malattia che però non ha avuto a mio avviso il giusto spazio. Lui fa dei film, molto belli, molto difficili ma che magari posso non avere una grande risonanza. Ruvido o sentimentale? Io direi una via di mezzo. La cosa che ho imparato da lui sicuramente il rapporto che ha con gli attori. È molto bravo ad istaurare il rapporto registra-attore. Ha usato persone che non erano attori e li ha trasformati in attori, ad esempio, Katia Ricciarelli. Tanti altri che magari avevano altre professioni. O attori che venivano da tutt’altro cinema, magari, comico, commedia e lui li ha usati nel drammatico. È stato molto bravo da questo punto di vista: sa come parlare agli attori e li conosce. Un aspetto che si dovrebbe tenere conto quando si fa cinema. Perché non è importante solo quale macchina da presa usi o quale luce o qual è il direttore della fotografia o come fai l’inquadratura, ma se  non riesci ad avere una relazione, un rapporto con gli attori, in un certo modo, non riesci a tirar fuori da loro le emozioni, e se non riesci non puoi emozionare il pubblico. È un po’ una catena. Essendo attrice, avendo fatto tanti set, non è solo l’empatia, ma è sapere qual è lo strumento dell’attore, il proprio corpo la propria psicologia. Sapere come parlargli, cosa chiedergli, come chiederglielo. Se sai come parlare e quali emozioni vuoi tirar fuori dall’attore questo cambia il film. Questo l’ho imparato da lui proprio guardandolo e osservandolo. Se avessi fatto più film con lui avrei imparato come usare  al meglio il linguaggio cinematografico. È una persona di grande talento.

3 Cos’è è per lei il palcoscenico Guia? Un territorio neutrale dove si inventa l’uomo, il luogo ideale per essere se stessi, un modo per sfuggire al destino?

Per me il palcoscenico è un luogo in cui esprimersi, in cui attraverso i personaggi si riescono ad esprimere alcune potenzialità ed emozioni. Il teatro è un luogo di catarsi, nel senso che si va a teatro per cercare di capire che cos’è la vita.

4 Il mondo visibile ed invisibile si toccano di più in teatro o al cinema? Ritiene che il teatro sia più veritiero del cinema, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto tecnico, la messa in scena, la recitazione, ecc?

Il teatro  è presenza. Il cinema è visione. Poi, ovviamente la cosa bella è che non tutto deve essere detto, cioè tu metti gli ingredienti e poi lasci anche spazio al pubblico. Veritiero no, perché veritiero è soltanto il documentario, perché ciò che si vede è vero, forse nemmeno quello perché comunque è montato e quindi si fanno delle scelte, non si vede tutto. In questa prospettiva nulla è veritiero, neanche il teatro e il cinema sono veritieri perché sono rielaborazioni della realtà. Se poi parliamo di autenticità allora può esserci in tutto.

5 Guia è stata la regista del documentario Soul Travel, incentrato sul tema del viaggio. Cos’è per lei il viaggio? Perché ha scelto proprio Il vulcano Kilimanjaro?

Guia Zapponi- Soul Travel

Per me il viaggio è come un percorso interiore, per cui io lo vivo così: si può andare alla ricerca di qualcosa, oppure, avere voglia di un cambiamento, quindi intraprendere un viaggio per cambiare alcune cose o per spostarsi comunque da una realtà e vederla sotto un’altra prospettiva. Il mio documentario inizia proprio con un testo filosofico, scritto da Massimo Cacciari nel quale si legge che ci possono essere tanti modi di viaggiare. Ci può essere l’avventura e ci può essere anche soltanto il percorso per andare a fare la spesa che è una sorta di viaggio. Il viaggio che ho inteso in questo film è l’avventura e il cambiamento, quindi il percorso interiore. Avevo scelto due posti: uno era il Tibet e l’altro era la Tanzania. Purtroppo per via del Covid- perché comunque fortunatamente abbiamo potuto lavorare durante il COVID, il Tibet diventava complicato, proprio logisticamente, anche perché le frontiere erano chiuse. La mia idea era di avere una montagna come simbolo da scalare con trekking e il Kilimanjaro che era la seconda possibilità, è stata quella che abbiamo scelto. Se dovessi tornare indietro direi che è stata la scelta più adatta, soprattutto per quello che è successo durante il film, che ha potuto confermare il messaggio che io volevo mandare e cioè che non è importante la meta, ma appunto il percorso e le persone con cui lo tu fai. Un po’ il parallelismo della vita: cioè non è importante arrivare a chissà quali successi. Ognuno ha le sue mete, i suoi sogni… a volte per arrivare a quelle mete si perde una serie di cose e di bellezze che ti dà la vita tutti i giorni. Magari ecco le piccole cose o magari delle cose che puoi fare nel frattempo e che ti regalano comunque delle belle emozioni o belle sorprese. Ho riscoperto che stare insieme agli altri è bello e piacevole, umanamente ti fa sentire bene e utile. Ecco, il Covid ci ha permesso di capire questo messaggio importante.  La meta non è fondamentale, ma tutto il resto dentro questa vita sì: gli amori, le delusioni, le cose, i figli eccetera. Il viaggio sul Kilimanjaro è stata la stessa cosa. Tutti volevamo arrivare alla nostra cima-non era complicato arrivarci, perché ci arrivano tutti con una preparazione minima- ma c’è stato un incendio: il fumo ci ha bloccato, l’ultimo giorno, proprio ad un giorno dalla cima. Questo ha confermato il mio messaggio iniziale abbiamo potuto ammirare tante bellezze, tante cose che ci hanno cambiato e hanno contribuito alla creazione di un bel gruppo.

6 Cosa pensa del cinema italiano?… E delle fiction? Ravvisa in chi fa teatro e cinema d’autore dei pregiudizi  verso queste ultime?

Mi ricordo quando facevo teatro e volevo fare fiction, non dovevo dire che facevo teatro. Ci sono sicuramente i compartimenti cinema, teatro e fiction. Per me un attore può fare tutto.  Sono linguaggi differenti,  oggi hai più possibilità di lavorare bene anche sulle fiction, ma quando io lavoravo su Gente di mare o Codice rosso era tutto molto veloce. Ciak, scena uno, buona, avanti. Se fai teatro fai un mese di prove, lavori molto sul tuo personaggio e non è mai buona la prima. Io come attrice passerei da un linguaggio all’altro senza problemi. Sono un po’ chiusi come mondi e non sono tanto interscambiabili. Con le serie televisive di oggi, forse c’è un po’ più di possibilità di questo interscambio. Ti dico la verità, sono veramente molto positiva sul cinema italiano. Per me è un bel momento. Vedo autori molto interessanti, vedo registi che riescono comunque a fare dei bei film per cui sono molto fiduciosa.

7 Qual è stato l’ultimo film che ha visto?

Io guardo tantissimo cinema, tantissima televisione, mi piace, amo il cinema. L’ultimo che ho visto è stato A Chiara. Poi la Famiglia Addams, ad Halloween, con mia figlia Ginevra che ha 11 anni. Poi ho visto anche Tenet di Christopher Nolan, poi ho visto La Caja Come dire di Lorenzo Virga, che aveva vinto il Leone d’oro. In tv ho visto Revolutionary road di Sam Mendes. Diciamo che guardo veramente tantissimi film e tantissima televisione perché è anche un modo di studiare gli altri. Adesso voglio andare a vedere sicuramente Freaks out- Un film di Gabriele Mainetti. Ed è stata la mano di dio di Paolo  Sorrentino.

8 Regista- Attore è un sodalizio fondamentale per il successo del film. Eppure tra le due figure chi conquista una popolarità immediata è l’attore che sta sullo schermo rispetto al regista che sta dietro. Da cosa dipende a suo avviso? In più è lapalissiano che ci siano più registi uomini che donne. Perché? Quanto è stato difficile affermarsi rispetto a suoi colleghi uomini e in che tipo di ostacoli e preconcetti si è imbattuta ?

L’attore ci mette la faccia e quindi ha una popolarità immediata, il regista ci mette il nome, ma poi dipende anche da paese a paese. Da noi in Italia non so quanta gente esca per vedere un regista o un attore. In America, ad esempio, c’è chi va vedere un film di Nolan anche se molti non sanno che faccia abbia, altri invece scelgono il film perché c’è ad esempio Tom Cruise, Clooney o di Caprio, che sono mondialmente conosciuti.  L’attore tendenzialmente si promuove, si fa vedere anche perché è scelto in base alla sua immagine, corpo e fisicità. Il regista invece deve vendere ai produttori un suo contenuto. Purtroppo, sì ci sono più registi uomini che donne, come in tante professioni. Ci sono anni da convertire perché non abbiamo proprio lavorato come donne, partendo dall’Ottocento e avanti con i secoli. Mentre gli uomini hanno sempre lavorato, si sono create delle posizioni.

Noi ce le stiamo creando adesso e la Rai come altri broadcaster dovrebbe tener presente questo aspetto e dare un pochino più di spazio a registe donne. Ad esempio, quando vado a parlare con i produttori sono tutti uomini, così come le reti sono tutti uomini. La mia idea, quindi, deve valere almeno il doppio rispetto quella dell’uomo, a mio avviso, devi essere molto brava. Se io da donna un giorno dovessi avere una produzione avviata e c’è una donna incita che lavora con me tendenzialmente troverei un modo o comunque spererei che lo stato ci supporti perché queste persone possano lavorare. Io ho lavorato fino quando ero all’ottavo mese e ti dico la verità la Mostra del cinema di Venezia me lo ha permesso e io ne sono stata felice. A me piace lavorare. Noi per di più facciamo lavori per periodo. Io ho scelto per 3 anni di non lavorare e stare con mia figlia. Ma quella è stata una mia scelta ma dopo per rientrare ho fatto e sto facendo tanta fatica. Per di più sono una mamma single, per cui faccio tre volte la fatica che fanno gli altri però ti assicuro mi alzo la mattina e dico anche questa volta ce la faccio a fare questo film. E poi ci sono persone con cui collaboro che sono felici di collaborare con me.

Sono stata a Confindustria per ritirare il magazine in cui ero presente una mia intervista, scritta da Stefano Rudilosso, un grande professionista con cui mi piacerebbe collaborare sul mio prossimo film ambientato nel territorio comasco. Ci sono molte persone con cui sto collaborando al mio prossimo film soprattutto voglio ringraziare Flavio Artusi, produer e assistente alla regia, Giovanni Stilo, per la parte di scrittura iniziale e Lucio Montecchio e Dario Sonetti, professori universitari collaborazioni scientifiche per la scrittura del prossimo film. Ci sono tanti uomini e poche donne che hanno ruoli importanti. Secondo me l’involuzione di marcia ci sarà ed è una questione cultura. Dovremmo affermare i nostri diritti con determinazione. Ci sono molte registe donne brave. Anche attrici che stanno facendo film come registe, la Gerini, la Golino che li fa già. Da questo punto di vista sono molto fiduciosa, perché se ci possono essere registi uomini ci possono essere anche registe donne. La cosa migliore è essere considerati essere umani qualsiasi sia il genere, la razza ecc. I preconcetti in cui mi sono imbattuta sono tanti. Una donna deve sempre stare attenta a tante cose, perché si deve promuovere, deve essere piacente, ma dall’altra parte c’è la tua vita, le tue cose, le relazioni con chi vuoi tu. Sono fili molto labili. Non mi interessa né della fama né dei soldi se poi io mi guardo allo specchio e sono felice con me stessa quello che ho fatto va bene. È faticoso come attrici, non è una cosa solo mia, l’abbiamo vista con il Me too e non è solo nel cinema ma ovunque dall’azienda, alla musica, in qualsiasi settore. Ognuno dentro ha i suoi valori e fa delle scelte. Quando hai la possibilità di scegliere è già una grande cosa.  Quando avevo 19 anni e sono andata a Roma avevo per fortuna al mio fianco avevo il mio ex compagno che credeva in me: mi disse che sarei diventata una brava attrice, di studiare e che il resto lo avrebbe fatto la vita Non entrare in certe spirali perché potresti pentirtene. Io l’ho seguito, per fortuna avevo lui. Una ragazza potrebbe anche perdersi. Invece a volte bisogna avere la forza di dire no.

Ho fatto lo stabile di Genova poi sono passata al cinema con una consapevolezza differente. Magari non sono diventata famosa a vent’anni ma non so neanche se certi escamotage possano portare alla fama, forse sì o forse no. Alla fine, ognuno fa i conti con se stesso e la cosa più importante è conoscere se stessi e fare ciò che è nella tua natura, ciò che ti dice la tua voce interiore in modo tale che tu vivi serena con te stessa. Io, Guia, non giudico e non mi interessa. Voglio essere una persona onesta, pulita e leale. Ho combattuto con le mie paure, con le mie fatiche. Ognuno fa un suo percorso, che è unico, ognuno ha il suo modo di crescere ed imparare le cose, di fare gli errori. L’80% della mia vita è il mio lavoro. Quella è una parte importante e quindi devi condividerla con una persona che magari ha fatto un percorso simile oppure lo comprende. Ma se due persone si supportano in qualsiasi caso, lavorativo o sentimentale, è una bella relazione. Tornando alla questione lavorativa, dico che ci sono molti produttori a credere nelle donne per cui si deve provare e se una strada non va bene chiuderla e intraprenderne un’altra.

9 A cosa sta lavorando e quali sono i suoi progetti futuri? 

Sto lavorando ad un film ed è una storia stupenda secondo me. È il mio primo lungometraggio ed è la mia prima esperienza come regista in questo senso. È una storia pazzesca che ho inventato e parla della relazione tra essere umano e piante. Anche su temi di attualità come ambiente e sostenibilità. Poi c’è una parte di invenzione perché non è scientificamente provato quello che andremmo a raccontare nel film. La storia parte da un continente straniero: la Costa Rica e poi giriamo il film tra Milano e Como. E’ un thriller, ci sarà all’inizio una bella scena in Costa Rica per proseguire poi Italia. Il Film mi piace molto, ci sto lavorando da un po’ e dovremmo a dicembre finire la prima stesura della sceneggiatura e iniziare la produzione l’anno prossimo.

 

 

 

 

Intervista all’attrice Barbara di Bartolo: ‘In un mondo ‘ideale, l’attore dovrebbe lasciare che sia il regista a lanciare la sfida’

L’attrice romana Barbara di Bartolo, viso dai lineamenti delicati, dal carattere deciso e determinato, e dal talento cristallino, accresciuto dallo studio e dalla dedizione, simboleggia quel pezzo di teatro, di cinema e di televisione italiana verso il quale è impossibile provare un pizzico di nostalgia e anche una “sana invidia”, dove la bravura e un volto, una voce, un corpo che dicono qualcosa, vengono premiate.

Barbara di Bartolo infatti oltre ad aver lavorato con personalità importanti del mondo dell’arte e dello spettacolo, ha lavorato come modella, prendendo parte a pubblicità e viaggiando molto, cosa che le ha permesso di affinare la conoscenza delle lingue, la quale all’epoca era appannaggio di pochissimi.

Ha esordito giovanissima nel 1992 nel in Nessuno di Calogero e in tv nel cast fisso della prima soap targata Mediaset Camilla, per la regia di C. Nistri, dopo essere apparsa in alcuni spot pubblicitari e nel videoclip di Claudio Baglioni Dagli il via di cui è protagonista.

È stata testimonial di importanti campagne pubblicitarie internazionali diretta negli anni da registi come Gabriele Salvatores e Jean-Jacques Annaud.

Barbara di Bartolo ha avuto ruoli rilevanti anche nella fiction, come la serie di successo La squadra, dove ha interpretato il ruolo di Miriam Russo, nelle fictions targate Mediaset Il bello delle donne, in cui è la figlia dell’indimenticabile Virna Lisi, e Don Luca accanto a Luca Laurenti.

In Un posto al sole X, nel 2006 è Chiara Reali, personaggio intenso che si presenta al pubblico in doppia veste.

Tuttavia ciò che colpisce di più della carriera di Barbara di Bartolo è il modo in cui l’attrice si è cimentata sia nel dramma che nella commedia, consapevolmente e tenacemente, senza pregiudizi, né sottovalutazioni, approcciando ai vari generi con sensibilità, scegliendo il proprio percorso artistico. Non a caso l’attrice è anche cantante: ha infatti debuttato nel musical nel 1998 come co-protagonista accanto a Massimo Ranieri.

foto di scena di Alfredo Capozzi ‘Un posto al Sole’

Nel 2001 vince una borsa di studio per corsi di perfezionamento per attori presso il Teatro Eliseo di Roma per il progetto del regista Marco Carniti de La Nuova Compagnia di Giovani dell’Eliseo a seguito del quale il regista le assegna il ruolo di Rosalina nella commedia cantata Pene d’amor perdute di Shakespeare.

Il nome dell’attrice è legato indubbiamente a quello di Giuseppe Patroni Griffi, regista sia teatrale che cinematografico, nonché scrittore, dotato di un grande senso dello spettacolo come dimostra, su tutte, l’innovativa e spiazzante opera Metti, una sera a cena.

Patroni Griffi, nell’adottare un linguaggio moderno e solido, è entrato di diritto tra i più importanti autori della drammaturgia italiana contemporanea, contribuendo ad eliminare la frattura esistente in Italia tra intellettuali e scena teatrale; è un privilegio e un piacere aver intervistato una testimone ed interprete di una stagione artistica che un po’ ci manca.

1 Ha lavorato con nomi importanti del nostro cinema, tra cui spicca il regista Giuseppe Patroni Griffi, come vorrebbe ricordarlo e perché è stato importante per il teatro e il cinema italiano?

Conobbi Peppino quando ero poco più che ventenne, mentre lui era un regista di fama  che aveva già lasciato i clamori del cinema per dedicarsi totalmente al teatro. Avevo tentato di entrare all’Accademia Silvio D’Amico dove recitai “Il mio cuore è nel Sud” di Giuseppe Patroni Griffi. Non mi presero, sebbene avessi all’attivo già un film, una fiction e alcuni spettacoli di Teatro.

Quando mi recai alle audizioni per ’Questa sera si recita a soggetto’ non volevo pensare al fatto che aveva diretto anche dei mostri sacri del Cinema internazionale. Ero li per recitare Pirandello e perché il regista cercava attori in grado di cantare. Quando Patroni Griffi mi prese, per me cominciò la vera strada del Teatro: le tourné in giro per l’Italia, e recitare con Alida Valli, Giustino Durano, Franca Valeri e molti altri.

Non ricordo di averlo mai sentito parlare di stesso in termini di cineasta, tuttavia Peppino era permeato di Cinema, persino nella sua scrittura drammaturgica; basti pensare che tra i suoi film più acclamati c’è ‘Metti, una sera a cena’, testo teatrale che aveva già riscosso successi con la regia di De Lullo. Trovo eccezionale anche il fatto che il film, nonostante le due ore di durata e i dialoghi sofisticati, regga ancora al passare del tempo. Quelle tematiche che resero il film  ‘un caso’ scandaloso erano scritte per la Compagnia dei Giovani dell’Eliseo, ma Patroni Griffi ne fece a tutti gli effetti una trasposizione cinematografica, dimostrando di esser padrone di quel mezzo. Bastano le prime note del tema musicale composto dal maestro Morricone per essere catapultati  immediatamente nelle sonorità del film. E poi le collaborazioni con La Capria, il suo contributo come sceneggiatore. Più in generale riusciva a trattare le tematiche a lui care, scandalose per quel periodo tempo, rendendole in qualche modo universali. Fu un vero pioniere in molti ambiti.

2 Lei è anche cantante, cantare è anche un po’ recitare? Qual è stato iò suo approccio al canto?

Non trovo molta differenza in generale tra l’interpretare un testo recitato e uno cantato, per me sono  la stessa cosa da un punto di vista ’emozionale’, cambia la tecnica vocale.

Ho iniziato a cantare da adolescente esercitandomi sui vinili di Barbra Streisand, Liza Minnelli, Whitney Houston ecc. quando trovare una base musicale non era facile come adesso: non c’era internet e nemmeno le scuole di musical in Italia. Perciò o andavi a studiare all’Estero o rimanevi con ciò che offriva il territorio. Questo forse mi ha anche  permesso di avere una certa libertà interpretativa, di sperimentare anche vari stili, di avvalermi di ciò mi serviva di volta in volta studiando con diverse tipologie di insegnanti.

Ad ogni modo non mi sono mai considerata una cantante a tutti gli effetti. Anche se a ben guardare non ho nell’ambito del musical, mai eseguito ‘cover’, ma sempre brani inediti, scritti per musical originali.

3 Il suo nome è associato a personaggi perlopiù drammatici, tuttavia lei si è anche cimentata con la commedia. Come è stato? E secondo lei, è veritiera la massima di Buster Keaton secondo cui “Un commediante fa cose divertenti; un buon commediante fa divertenti le cose”?

Assolutamente sì, l’ho riscontrato a un certo punto proprio in seguito a un rifiuto quasi istintivo di calarmi in personaggi troppo tragici per dare più spazio a quel mio lato bambino e leggero che ama ridere. Ancora una volta mi è venuto in soccorso il Teatro e mi è servito anche per lavorare a fianco di alcuni personaggi più squisitamente comici del nostro star- system televisivo. Oggi far ‘ridere il prossimo’ è una medicina che amo condividere anche nella vita di tutti i giorni e non ne potrei più fare a meno.

4 Chi sono i dilettanti della finzione?

Beh, i dilettanti ci sono sempre stati solo che una volta avevano ruoli marginali, oggi invece gli affidano ruoli da protagonisti. Non è tanto il dilettantismo a dover preoccupare –c’è sempre tempo per migliorare – quanto il fatto che non si migliorino, che non ne sentano la necessità.

Questo tuttavia crea una sorta di ingiustizia all ‘interno della nostra  categoria perché a qualcuno viene chiesto l’impossibile ad altri il ‘minimo sindacale’.

foto di scena ‘Amore di Tango’ regia Lindsay Kemp

5 Quali sono le qualità più importanti che dovrebbe possedere un attore? Insomma non dovrebbe mai essere doppiato, deve essere versatile il più possibile, deve essere capace di improvvisare, metterci del suo, sfidare il regista o seguirlo pedissequamente?

Dipende da che tipo di attore si vuole essere. Un attore che lavora  a volte si deve persino fingere non troppo intelligente, non troppo qualificato. Parlo sempre dell’ambito italiano naturalmente. A volte è meglio, anzi spesso  consigliato, dimezzare il curriculum o limitarlo a una pagina. (Lo so, ciò accade in molti altri ambiti lavorativi)

Diciamo che in un mondo ‘ideale’ l’attore dovrebbe lasciare che sia il regista a lanciare ‘la sfida’. E se lecondizioni lo consentono, osare certo, a me la creatività a me ha quasi sempre ripagato.

6 Ha preso parte ad una serie televiva di successo come “La squadra”, che ricordi ha di quel periodo, come si lavorava?

Si lavorava benissimo, sempre con i tempi televisivi, quindi rapidi, ma direi ottimamente. Io in quel periodo ero anche a Roma per le prove di’ Pene d’amor perdute’ di Shakespeare per la regia di Marco Carniti nell’ambito del progetto della Nuova Compagnia dei Giovani dell’Eliseo.

Un periodo splendido ed intenso. Quando arrivavo sul set di Piscinola a Napoli in realtà non avevo il tempo materiale per conoscere i colleghi fuori dal lavoro. Perciò interpretare il ruolo di Miriam è stato come fare una full immersion in una sorta di seconda vita. A distanza di parecchi anni  la fiction è tutt’ora replicata in tv e i social hanno permesso di incontrarsi con i fans di questa serie che continua a generare blog e dibattiti. Ho scoperto quanto il mio personaggio fosse amato e ciò, anche se con qualche ritardo temporale, ha ripagato l’impegno messo nel fare mie quelle emozioni negative del personaggio di Miriam, vittima di violenza domestica. Tema sempre attuale.

7  Ha scansato molti pericoli durante la sua carriera? Perché secondo lei è importante dire anche dei no? Mi riferisco anche ad aspetti intelettuali e psicologici.

In realtà non ho scansato molti pericoli, perché sin dagli esordi –ancora minorenne –mi ero costruita una sorta di piccola corazza per evitare appunto di essere sopraffatta da un mondo che può far paura sotto alcuni punti di vista. Diciamo che tendo a non trovarmi in certe situazioni a prescindere e lo faccio indistintamente e democraticamente.

Per il resto la vita ti pone delle scelte e dei bivi e a me è toccato dover rinunciare a qualcosa, scegliere tra la strada del cinema o del teatro o viceversa. Ad esempio mi sono trovata a dover scegliere tra due mie sogni nel cassetto: essere protagonista di un film di un regista impegnato come Citto Maselli o debuttare come cantante  in un musical diretto da Patroni Griffi e misurarmi in scena con un artista del calibro di Massimo Ranieri.

Non so cosa sarebbe accaduto se avessi recitato ne ‘Il compagno’, sicuramente un’opportunità mancata e serbo nel cuore il provino fatto con Maselli in cui scoprii una vera maestria nel dirigire gli attori.

Durante le prove di ‘Hollywood’ Patroni Griffi mi concesse di recarmi a Dresda per qualche giorno dove girai diversi spot in pellicola con Jean-Jacques Annaud, ma dovetti un pò insistere. Insomma non è affatto facile districarsi quando ci sono in atto determinate forze, ma c’est la vie!

8 “L’Italia conta oltre cinquanta milioni di attori. I peggiori stanno sul palcoscenico”, diceva Orson Welles, cosa ha da dire in sua difesa?

In difesa di Orson Wells non c’é da dire nulla, si difendeva bene da solo. Un maestro di tale foggia non si può contraddire (ride); certo i suoi erano livelli difficili da pareggiare.

9 Come ha influito la globalizzazione sul mondo dello spettacolo e della comunicazione ad esso collegata? Cosa non le piace?

L’aspetto positivo l’ho menzionato a proposito del fatto che i social avvicinino agli altri, aiutino alla condivisione, dall’altra parte per lo stesso motivo l’eccesso ha influito aumentando il fenomeno della sottocultura. La tecnologia secondo me non aiutano affatto l’essere umano a sentirsi meno solo.

Sotto molti punti di vista tornerei volentieri al Novecento quando gli attori facevano gli attori e il pubblico faceva il pubblico.

10 Progetti in corso?

Negli ultimi anni ho potenziato il mio inglese e ne ho visto i risultati in ambito lavorativo. Perciò sto perseverando su quella strada, ma non parlo mai dei miei progetti, per puro spirito scaramantico. Vedremo cosa riserva il futuro globale, mi auguro il meglio per tutti noi, viste le conseguenze devastanti della pandemia e quanto ne ha risentito il settore spettacolo. Ma siamo fiduciosi.

Pierpaolo de Mejo, nipote di Alida Valli e tra i realizzatori del documentario a lei dedicato: ‘Mia nonna non era scontrosa, solo riservata’

Pierpaolo de Mejo è un giovane regista e attore, nato in una famiglia di artisti, suo padre infatti è Carlo de Mejo, attore attivo nel cinema dalla seconda metà degli anni sessanta (ha preso parte, tra gli altri a Teorema di Pasolini), figlio della grande attrice Alida Valli e di Oscar de Mejo, compositore di musica jazz.

Pierpaolo ha collaborato alla realizzazione di un documentario, selezionato nella sezione Classics di Cannes 2021, su sua nonna insieme al regista Domenico Verdasca e al supporto dell’attrice Giovanna Mezzogiorno, voce narrante nel film, per celebrare i 100 anni della nascita della diva italiana, suo malgrado. Già, perché Alida Valli era una donna schiva, timida, riservata, amava il suo lavoro, l’arte, ma non la mondanità. Se oggi Alida fosse viva e avesse 20-30-40-50 anni non avrebbe un profilo social e sarebbe restia alle interviste.

Pierpaolo de Mejo

Ma probabilmente non è questo il motivo per cui Alida Valli è stata in parte dimenticata, seppur rappresenti un bel pezzo di storia del cinema per i registi con cui ha lavorato e anche della Storia stessa, in quanto testimone dell’esodo istriano, in quanto nata a Pola il 31 mag 1921: in questo senso il documentario mostra un quadro completo e mai visto prima della vita di una giovane e bellissima ragazza di Pola Valli, che diventò in poco tempo una delle attrici più famose e amate del cinema italiano e internazionale.

Alida Valli infatti portando con sé il ricordo delle sue origini istriane, ma soprattutto è stata e forse è tuttora sentita come non italiana, primo motivo per il quale a molti è quasi sconosciuta. Il secondo motivo, è legato al pregiudizio e all’ideologia: la cronaca di quel tempo, dopo la caduta del fascismo, voleva Alida Valli amante di Mussolini, calunnia dalla quale l’attrice si è sempre difesa.

Alida Valli è poco ricordata non perché fosse riservata, protettiva verso i suoi affetti e indipendente, come giustamente sottolinea il nipote Pierpaolo de Mejo; lo sono state anche altre attrici, italiane e non, come Greta Garbo, Silvana Mangano, Claudia Cardinale, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Romy Schneider, ma Alida Valli paga lo scotto di essere nata a Pola e l’accostamento del suo nome a quello di Mussolini, nonché al celebre omicidio di Wilma Montesi, fatto che all’epoca fece molto scalpore, in quanto il suo compagno, Piero Piccioni, noto musicista jazz, venne ingiustamente coinvolto nella vicenda dai media.

Il contesto storico e il sottotesto politico e di cronaca hanno gravato molto sull’immagine dell’altera e umile attrice dalle nobili origini, compromettendone la forza del ricordo. Tuttavia grazie a questo documentario che mette insieme tanto prezioso materiale (diari, lettere, filmati inediti, testimonianze), e all’impegno del regista e di Pierpaolo di Mejo che in comune con la nonna ha la timidezza, viene restituita un’Alida Valli bellissima, tormentata, ironica, intensa, versatile, credibile in film drammatici e lirici quali il capolavoro Senso di Visconti, passando per l’angosciante e disperato Il grido di Antonioni, l’esistenziale e precario La prima notte di quiete di Zurlini, il poderoso Novecento di Bertolucci, il mitologico e tragico Edipo re di Pasolini, il sentimentale e melodrammatico I miracoli non si ripetono due volte, L’inverno ti farà tornare, basato un fatto realmente accaduto, la trasposizione dei libro di Bernanos, I dialoghi delle camerlitane, di Balzac, Eugenia Grandet e di Solinas, La grande strada azzura diretto da Pontecorvo, fino ad arrivare ai gialli quali il capolavoro dello spionaggio Il terzo uomo di Orson Welles, Il caso Paradine di Hitchcock e agli horror La casa dell’esorcismo, Lisa e il diavolo, Occhi senza volto, Inferno e Suspiria.

Alida Valli, partendo dalle pellicole dei cosiddetti telefoni bianchi, dal Feroce Saladino di Bonnard, La casa del peccato, Mille lire al mese e Oltre l’amore di Gallone, Piccolo mondo antico di Soldati, dai film di Camerini, Mattoli e Alessandrini, è stata protagonista del cinema italiano e internazionali nelle veste più svariate, dimostrando di amare le sfide e anche i personaggi più meschini e diabolici, oltre che di calarsi perfettamente nel dramma sia quella che vita sul sociale che quella sentimentale ed esistenziale, e nella commedia.

Non è diventata la Ingrid Bergman italiana come auspicava il produttore hollywoodiano Selznick, Alida Valli diventò Alida Valli, elegante, fotogenica, insofferente alle imposizioni e italianissima, tanto che nel 2004, la Croazia decise di premiarla come grande artista croata, lei rifiutò il premio affermando: “Sono nata italiana e voglio morire italiana”.

Alida Valli nel film Senso di Visconti

 

 

1 Quando ha deciso e perché di realizzare un documentario su sua nonna Alida Valli?

In realtà devo ringraziare il regista Domenico Verdesca che mi ha aiutato e supportato in questo bellissimo e faticoso lavoro, perché temevo di essere troppo coinvolto emotivamente e di non dare il mio contributi in modo obiettivo. Penso che fosse arrivato il momento di dedicare un documentario a mia nonna per farla conoscere meglio agli appassionati di cinema e non, mettendo a disposizione del regista l’archivio privato di mia nonna. Molti ancora non la conoscono, non penso che le sia stata resa “giustizia” Alida Valli rappresenta un pezzo di storia del cinema italiano e la sua vita professionale, secondo me va raccontata; non perché è mia nonna ovviamente, e senza entrare nell’ambito strettamente personale, nel gossip, dimensione che mia nonna ha sempre tenuto lontana dai riflettori.

2 Pensa che sia riuscito ad avere il giusto “distacco” o si è sentito estremamente coinvolto nel girarlo?

Grazie al regista e a Giovanna Mezzogiorno che ha prestato la sua voce al racconto, credo di sì. Inizialmente pensavo di essere troppo dentro alla storia, poi ho avuto il giusto distacco anche grazie alle altre importanti personalità che sono presenti del documentario, testimonianze preziose di mostri sacri del cinema italiano e internazionale come Charlotte Rampling, Vanessa Redgrave, Piero Tosi, Bernardo Bertolucci, Dario Argento, Margarethe von Trotta, Lilia Silvi, Carla Gravina, Roberto Benigni, Bernard Bertolucci…Ritengo che con la VeniceFilm e Kublai Film in associazione con l’Istituto Luce Cinecittà e Fenix Entertainment in collaborazione con Rai Cinema si sia realizzato un ottimo lavoro.

3 Ritiene che il cinema italiano onori la memoria di sua nonna?

Sinceramente, credo di no! (sorride)

4 Perché soprattutto i giovani dovrebbero conoscerla secondo lei?

Perché Alida Valli è la storia del nostro cinema, ha avuto successo anche all’estero, ha preso parte a film importanti, per scoprire la sua timidezza spesso e purtroppo scambiata per scontrosità e snobismo, per la sua indipendenza, per il suo non voler essere trattata come una diva da sfruttare dall’industria hollywoodiana. Infatti pur di non farsi schiacciare da quel “sistema”, preferì pagare una penale molto alta. In America aveva girato Il caso Paradine con Gregory Peck e diretto da Alfred Hitchcock, dando grande prova anche come attrice di noir.

5 Ad Alida Valli piacerebbe il cinema di oggi?

Penso di sì, mia nonna era molto curiosa. Non a caso ha girato molti film, tutti diversi tra loro. Si pensi a La prima notte di quiete con Zurlini, agli horror Suspiria e Inferno con Dario Argento, al Grido con Antonioni, a Un’orchidea rosso sangue di Chereau, ad un altro horror in Italia, La casa dell’esorcismo, partendo dal cosiddetto cinema dei telefoni bianchi fino ad Edipo re di Pasolini. Lei si divertiva molto a misurarsi con generi diversi.

6 Tre film con protagonista sua nonna che secondo lei hanno fatto la storia del cinema?

Diciamo subito Senso di Visconti perché va sempre citato, per non scontentare nessuno, Novecento di Bertolucci e un film che pochi conoscono ma che è considerato uno dei migliori horror della storia del cinema, ovvero Occhi senza volto del francese Georges Franju, un film moderno che tratta del tema della scienza avveniristica e che ha aperto la strada a molti altri, dove mia nonna veste i panni di una “cattiva”.

7 Qual era la più grande dote cinematografica di sua nonna? Ed umana, che poi fa da corroborante anche per la recitazione?

D’istinto direi la fotogenia e lo sguardo magnetico, quegli occhi di ghiaccio che bucano lo schermo, ma pensandoci meglio, la costanza, la serietà. La grande capacità di mantenere la concentrazione per tutta la durata delle riprese, in virtù del fatto che come si sa, a volte si gira direttamente l’ultima scena e poi la prima, ci sono pause, ecc…Ecco Alida non perdeva mai la concentrazione e il senso della misura. Dal punto di vista umano direi la dignità, il temperamento e la riservatezza.

8 Nonostante sua nonna facesse di tutto per smitizzare la propria immagine, lei, guardando i suoi film e quell’epoca la considera una diva?

Certo in riferimento al mio concetto di diva, ovvero, paradossalmente un’antidiva, un’attrice che fa di tutto per tenere fuori dalla propria carriera di attrice il privato. Una donna misteriosa e affascinante che non si prende troppo sul serio, autoironica, non scontrosa, soprattutto con i giornalisti, come si potrebbe pensare. Una donna che non amava la mondanità, né andare alle feste che spesso fanno parte di questo lavoro. Difendeva la sua vita privata e i suoi affetti.

9 Anche Lei si occupa di cinema, a cosa si dedica nello specifico e quali sono i suoi obiettivi?

Ho studiato regia e sceneggiatura cinematografica all’Università, ho lavorato con mio padre in teatro, ho fondato una compagnia teatrale che porta il nome di mia nonna, ho diretto il film Come diventai Alida Valli e preso parte ad un film, Black Star – Nati sotto una stella nera. Ho girato un corto con Giulio Brogi, Pedone va a donna, selezionato per il Festival del Cinema di Roma e Cuore con Giorgio Colangeli, grazie al quale ho vinto il bando del Nuovoimaie. Ho sempre respirato arte a casa mia, soprattutto grazie e mio padre che mi ha trasmesso questa passione.

10 Un tratto particolare che ha in comune con sua nonna?

Mi ritrovo nel suo sguardo, intravedo la sua timidezza e riservatezza che sono anche tratti della mia personalità.

 

https://zeitblatt.com/interview-with-pierpaolo-de-mejo-grandson-of-alida-valli/

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