Carlo Tortarolo, autore de “Lo scultore di uragani’: ‘Viviamo in una civiltà triste’

Carlo Tortarolo ama stupire e provocare, pungolando il politicamente corretto che sempre più spesso corrode la nostra società. Lo fa pungolando il lettore con l’opera Lo scultore di uragani”, Coniglio editore, 2025, con uno stile incisivo e metaforico, che non lascia troppo scampo a scappatoie intellettive.

Lo scultore di uragani è una storia scritta di volta in volta dall’autore insieme al lettore invitato a collaborare alla riflessione di Tortarolo, poliedrica e divertente costruita su saggi pungenti, aforismi alla Leo Longanesi e racconti-parabole evocativi, offrendo ai lettori una chiave di lettura originale per interpretare le sfide della società contemporanea e le sue storture, soprattutto ideologiche.

Frutto di recupero di racconti precedenti, cui si sono aggiunti altri, Lo scultore di uragani, vive di ironia amara, di giochi di parole, di intuizioni illuminanti che descrivono la tristezza della nostra civiltà, dell’Occidente che, come ormai si sente dire da decenni, è come un treno nella notte la cui corsa va sempre più accelerando in direzione del baratro mentre «L’uomo occidentale  è come il passeggero del Titanic che […] (aveva) l’illusione di essere a bordo di una nave inaffondabile». Ma è possibile pensare ad un futuro diverso senza dover ripetere sempre che l’Occidente è morto o sta morendo, esibendosi solo come cantori dello sfacelo dell’Occidente?

Per Tortarolo la strada risiede proprio nel senso di possibilità insito dell’animo umano, nel riscoprire la nostra linfa vitale che ci permette istintivamente di comunicare vita, passione, visione del futura, anche attraverso la letteratura, contro la cultura mortifera post strutturalista.

 

 

1 Perché hai deciso di scrivere questo libro?

Non l’ho deciso. Mi è stato chiesto. L’editore mi ha domandato se avessi qualcosa di pronto e io ho risposto col disordine delle mie prime scritture. Ho recuperato i racconti usciti su Satisfiction, li ho riscritti, ne ho aggiunti altri, e li ho lasciati esplodere insieme.

2 Qual è la principale crisi che stiamo vivendo, la madre di tutte le altre, secondo te?

La crisi della felicità.

Abbiamo trasformato ogni desiderio in un diritto, e ci siamo trovati infelici lo stesso.

Viviamo in una civiltà triste, che ha perso il gusto per le piccole cose, per la serata senza smartphone, per il silenzio non monetizzato.

Siamo in lutto per la morte del presente.

3 È stato complicato pubblicare questo libro?

No. Ho avuto la fortuna rara che Coniglio Editore mi abbia cercato.

La vera difficoltà è stata scegliere cosa pubblicare. I racconti erano la forma giusta: tagliano, scivolano, si possono leggere come mine o come specchi.

4 Ad un certo punto fai dire ad un personaggio: “Vede Gilberti, gli italiani non sono ancora a pronti ad accettare la verità”. Quale verità per gli italiani è la più difficile da mandare giù?

La più indigesta è questa: non siamo mai stati davvero liberi, e non ce ne frega nulla.

L’Italia è un algoritmo emotivo: riesce a coniugare l’essere col non essere, il furto con la retorica, il disincanto con l’autoassoluzione.

La nostra verità è un compromesso che ci consente di sopravvivere senza fare i conti con noi stessi.

5 Quali sono i tuoi punti di riferimento letterari? Tre nomi

Dante, Céline e Longanesi.

Dante per la bellezza che non chiede permesso.

Céline per la dissezione dell’uomo e il furore stilistico.

Longanesi perché sapeva fuggire da ogni forma di banalità come fosse peste.

6 Cosa pensavi o speravi mentre scrivevi “Lo scultore d’uragani”?

Pensavo di fare male. Ogni racconto è un colpo: secco, chirurgico, fastidioso.

Scrivo per disturbare la stasi, per svegliare da quella pseudovita narcotizzata che non ha più bisogno dell’intelligenza umana.

Questo libro è un atto di resistenza contro l’idea di un uomo ridotto a entità gestibile da un’élite di debosciati.

Il libro li disegna. Li espone. Li brucia.

Tossicità. L’emozione ha sostituito la ragione

Toxic town.
Tossicità.
Tossicità che castra ogni libera determinazione dei rapporti.
Paroloni? Neanche troppo.
L’epoca dell’infantilismo comincia così, sostituendo la ragione con l’emozione per leggere e gestire i fatti del mondo, in uno stato di agitazione emotiva permanente in cui l’opinione autoritaria soppianta l’idea autorevole. Sembra un’insulsa – e un po’ pretestuosa – cantilena, ma in realtà è la traduzione lirica di gran parte dell’incubo psicologico che anima le nostre vite sociali. Un esempio sta nell’ideologizzazione di ogni cosa esistente, atto primo del peggior politicamente corretto.

Corre alla mente l’indescrivibile malignità con cui fu uccisa la povera Giulia Cecchettin, per il quale pochi giorni fa è stato condannato all’ergastolo Filippo Turetta. Proprio in quell’occasione, in quegli ardenti momenti, tra una miriade di esempi, ci fu il terrore nel leggere alcuni pensieri volanti, che tanto volanti non furono, tra social e chatterbox giornalistiche. Qualcosa di cui spaventarsi, poiché capaci di orientarsi su idee e input secondo cui l’omicida in questione – tralascerò ogni aggettivo per dignità – avrebbe agito semplicemente in quanto maschio, figlio scemo e attivo del patriarcato o che non si trattò di un raptus ma, tra le pieghe della lucida follia, s’insinuò cieca e pericolosa la condizione “genetica” secondo cui essere uomo non significa commettere necessariamente un femminicidio, ma che quasi tutti i portatori di pène possono pensare come un femminicida. Una sorta di possessione che magari nasce per avere credibilità verso gli occhi di altri uomini, gli stessi di cui donne, bambini, animali, Lego e Playmobil, benzinai, gelatai, astronauti, insomma, tutto l’esistente umano, subisce il controllo e la possessione.

Una vittima candida, un anno fa, ma subito lo scatto verso il buio ideologico. Rieducazione, cultura, condanna, patriarcato, maschilismo. Censura, cesura, blocco. Decenti e indecenti. Buoni e cattivi. L’orribile bulimia della polarizzazione emotiva. Lo ricorderete sicuramente: una ragazza appena morta, ma qualcuno, anziché implorare estrema giustizia, che fortunatamente in questi giorni è giunta, pensò subito di moralizzare l’esistente, sputando sentenze su tutta la generazione maschile vivente. Ovviamente bianca, eterosessuale e figlia di una “classica” famiglia italiana, come residuo borghese altamente tossico per la nuova immagine di famiglia degenerata, pardon: senza genere alcuno.

Casus belli, l’ennesimo. Mi tornavano in testa questi pensieri, purtroppo utili a dipanare un altro tipo di riflessione sul nostro tempo.
Signori: che schifo. Perché certa privata ossessione personale, confusa per alto parere culturale, dovrebbe essere legge (morale) di tutti?
Occorre solo far capire che le profondità dell’essere umano, siano esse angeliche o infernali, sono spesso imperscrutabili, per quanto vi siano gli strumenti per riconoscere la follia. Troppo spesso la morte si realizza nell’errore dei vivi. In tutte quelle volte che Giulia si sentiva minacciata dal comportamento del Turetta, così come anche la sorella ha avuto modo di confermare.

La provincializzione dell’esperienza maschile – ovvero la riduzione dell’esistenza maschile a fattaccio figlio della peggiore mentalità della provincia italiana negli anni ‘60 – operata da alcuni deliranti scriventi che, terminata l’onda mediatica con cui maturare visibilità e consenso nel grande regno della pubblica emotività, torneranno a scrivere di giardinaggio, di borse o di vacanze sulla neve, è un concepimento assurdo. L’idea secondo cui un uomo debba crescere necessariamente tosto e robusto – in chiara evocazione agli spettri di un fascismo mascolino mai sopito – pisciando sul territorio per marcarlo, incapace di ascoltare le proprie fragilità, di chiedere aiuto, di manifestarsi inferiore o inadatto rispetto a una determinata situazione, e quindi di proseguire nella personale rigidità che lo porta a involvere e quindi a uccidere, è drammaticamente pericolosa per la maturazione sociale. Chi soffia su questo fuoco ha una visione severamente distorta del reale, o, quantomeno, fusa con la personale isteria o connessa a qualche brutta vicenda trascorsa che ha generato un portentoso disturbo post traumatico da stress.

Il privato inonda il pubblico. Il fatto privato diventa pane per la maggioranza, invertendo il principio che fu di Orwell, che nel frattempo è stata azzerata nel suo ragionare criticamente. La vetrinizzazione spietata in cui ogni dimensione umana finisce nella vetrina pubblica, la life politics, cosiddetta, ovvero la terribile sensazione di osservare tutto secondo un assassinante voyeurismo e su quello fondare la propria opinione. Un nozionismo che incolla pezzi di dichiarazioni dei leader, articoli della stampa, chiacchiere fugaci in amicizia, cuciti in fretta, senza il filtro di un ragionamento sopra le cose, di un approfondimento.

La democrazia liberale è malata, così come ha notato il politologo Luigi Di Gregorio, stimatissimo amico, che su questo tema ha scritto pagine scientificamente memorabili e degne di attenzione trasversale (Demopatìa. Sintomi, diagnosi e terapie del malessere democratico, Rubbettino). È malata poiché viene fagocitata dal dubbio, dalla sua stessa essenza; quel dubbio che nutre la santa libertà, quella libertà individuale alla base dei processi del governo delle nostre società. Il dubbio che una forma di libertà e tolleranza, di giustizia sia effettivamente di alta qualità tale da produrre ulteriore maturazione civile; lo stesso che, però, raggiunta una definizione di concessione individuale e sociale, prosegue nella sua opera, non si arresta, e cresce, cresce fino a ipertrofizzarsi, fino ad annientare ogni lucida razionalità, ogni valore profondo, ogni principio morale legato al Bene, nella direzione, invece, di una moralizzazione del Giusto. La stessa che fornisce, indistintamente, doveri etici e principi prêt-à-porter che possono essere impiegati in ogni parte del mondo, senza differenza, inquadrando un solo tipo di uomo universale.

La stessa moralizzazione del Giusto – quel giusto “ideologico” che non inquadra il concetto di giustizia nel più nobile senso del termine e che non tiene conto di differenze demoetnoantropologiche ma che costituisce un dogma universale – venduta come unico accesso a una degna libertà, civile e matura, realmente emancipante e che prevede che, nella gestione della cultura di massa, che l’uomo sbagli a prescindere, sia pericoloso di nascita, sia un errore di programmazione della postmodernità. Un mostro o presunto tale.

Il Giusto vuole la rieducazione di chiunque nasce con un pisello. Il Bene, che non appartiene a questo presente – se non nella trasmutazione materialistica, che dalla felicità conduce alla gratificazione istantanea, dalla libertà porta alla concessione continua – dei buoni profeti della riprogrammazione coatta, contrariamente, era già il pacchetto con cui formare un individuo degno dell’amore e del rispetto, dell’onore, certamente, senza essere un nazista duro e puro incapace di ascoltare le proprie fragilità.
Ecco la nuova decenza: quella di chi chiede scusa per essere maschio e quella di chi vuole formare, introducendo l’idea della scuola come supplemento all’educazione familiare, se non come sostituzione, che genera una nuova edificante brava persona. Una decenza rassicurante per chi la pratica, che crea riconoscimento tra i buoni, tra le fila della maggioranza, tra quelli che non costituiscono parte dell’emergenza democratica.

Da quando si è deciso di rendere sempre meno virile il maschio che la fragilità ha conquistato tutto, infestando le dimensioni
Mi ribello con tutta la mia forza a questo cesso profondo alla Trainspotting.

Se questa è libertà, se la decenza conduce a un riconoscimento generale tra i buoni, non resta che essere indecenti, quindi liberi. Libertà in che senso? Non è una costante emanazione di concessioni, ma partecipazione a se stessi, al tempo e al reale. Così da realizzare, nell’individualità, un pensiero critico e dare una forma reale all’autodeterminazione.

Roberto Michelangelo Giordi, autore de Il bello, la musica, e il potere: “Nessun atto creativo può venire dal potere”

Il concetto di bello, il politicamente corretto, la funzione dei media sono i temi principali contenuti nell’incandescente saggio di Antonello Cresti e Roberto Michelangelo Giordi, “Il bello, la musica, e il potere”, pubblicato quest’ anno da Mariù edizioni.

I due autori indagano dialogando tra loro, senza lesina provocazioni e sarcasmo, sul rapporto tra arte e potere in Occidente. Il mondo globalizzato ha davvero perduto la percezione del bello? Qual è il rapporto tra la bellezza e il potere e in che modo l’Occidente vive oggi il suo rapporto con le Arti e con la Musica in primo luogo? La riflessione portata avanti da Cresti e Giordi, si snoda attraverso l’analisi storica dell’esperienza estetica occidentale per arrivare a toccare le problematiche della realtà in cui viviamo. Il disinteresse verso la bellezza è infatti allo stesso tempo causa ed effetto della crisi di valori della nostra società, e solo recuperando e valorizzando le nostre vituperate identità profonde potremo traghettarci fuori dal non senso, verso la luce di una nuova, antica, umanità.

Il saggio si snoda come un dialogo appassionato che si legge tutto di un fiato e che induce a pensare “altrimenti”. La bellezza è il potere che ha costruito regni e personaggi, è l’ispirazione dell’artista, la fede del credente, la virtù morale dell’uomo greco, è il sentimento di piacevole orrore che suscita il sublime: che attrae e spaventa al contempo. La bellezza è arte, natura, uomo. Vale ancora questo concetto? si chiedono gli autori? L’auspicio è certamente quello di tornare a parlare di bellezza attraverso una strutturale riforma del potere o un ribaltamento dello stesso.

 

 

1 Come è nata l’idea di scrivere un saggio a quattro mani? Chi ha preso l’iniziativa?

L’idea è partita da Antonello il quale mi ha proposto di dialogare sul declino della musica in Occidente. Io ho rilanciato la mia volontà con l’intento di sottolineare la relazione tra bellezza e potere. 

2 Avete avuto difficoltà a pubblicare il saggio? Cosa non funziona nell’editoria italiana?

Per questo libro nessuna difficoltà. La casa editrice “Edizioni Mariù” è molto legata alla critica sociale e al recupero di una dimensione estetica. Credo che il maggiore problema dell’editoria contemporanea sia quello di non avere il coraggio di raccontare storie originali e persuasive.

3 Nel saggio, alla domanda di Cresti, se è il potere a generare l’arte, lei ha risposto in modo affermativo, e ha chiesto a sua volta quale bellezza potrebbe mai donare il potere del capitale. Non crede che perlomeno il capitalismo possa donare la libertà di scelta a differenza della dittatura?

Più che altro il potere dà un senso all’arte, la legittima, ma non la genera. Nessun atto creativo può venire dal potere poiché la creazione è un atto spontaneo ed anarchico. Noi ci siamo chiesti “quale potere ci domina oggigiorno?”. Entrambi conveniamo che a governarci sia esclusivamente la legge del capitale, la quale, a differenza di quella divina e di quella del Re, di un’oligarchia o di una democrazia, è una legge senza pensiero. Forse è l’uscita dall’umano e dal divino, quella che oggi vive la nostra società, alla base della diffusione del brutto. Quando il capitale domina su tutto l’individuo smarrisce la sua doppia natura, divina e umana. Il capitalismo riduce tutto a merce e concedendoci soltanto un’illusione di libertà. 

 4 Si può bilanciare la crescita della tecnica e del mercato promuovendo la cultura e la tradizione, il valore della bellezza, la priorità dell’essere sull’avere, l’amor fati come accettazione della vita, proponendo la funzione sociale del capitalismo?

Per bilanciare il potere del capitale occorrerebbe ridonare centralità alla dimensione collettiva: basterebbe soltanto riportare in auge le teorie di Keynes, tanto demonizzate oggigiorno e stimolare la reale funzione pedagogica della scuola e dei mezzi di comunicazione.

 5 La modernità ormai vuol dire considerare la realtà come il riflesso di un’ideologia. Perché questo è pericoloso secondo lei?

Credo che la storia del mondo sia sempre stata contraddistinta dal dispiegamento di ideologie. Personalmente mi sono sempre tenuto lontano dalla passiva accettazione dell’ideologia che impone il potere. Non mi illudo certo di sottrarmi ad esse: sottrarsi significa stare fuori dal mondo come individui, ma criticarle fortemente, finché questo è possibile, lo farò sempre. Ecco, per fortuna posso dire ancora liberamente di sentirmi molto distante dall’ideologia del neoliberismo che nega la sua stessa natura ideologica e di dominio.

6 Parliamo di dibattito: di fatto un solo argomento monopolizza l’informazione, per un tempo determinato, rendendola mono-tematica e risolvendola in un’onnipresente narrazione emergenziale. Perché l’informazione è così opaca e induce l’utente al meccanismo del cherry Picking?

Credo che la monopolizzazione sia legata alle logiche di intrattenimento: più l’audience cresce più aumenta lo spazio per le pubblicità e di conseguenza il capitale.

 7 Le masse secondo lei sono felici o infelici? O la pensa come Leopardi secondo il quale una massa felice è composta di individui non felici?

Un popolo dominato non è attivo e quindi non può essere veramente felice. In pratica è il potere a rendere infelici le masse, quale più quale meno. L’arte, un po’ come la religione, viene in soccorso ai popoli per riscattarli dalla loro miserevole condizione esistenziale.

 8 A proposito della narrativa: nel libro manifesta il desiderio di leggere un romanzo attuale scritto in terza persona. Troppa autoreferenzialità e incapacità da parte degli autori di celarsi dietro i loro personaggi e commercializzare magari il loro privato, magari spinti anche dalle stesse case editrici?

In effetti tendo a sopportare sempre meno le storie troppo autoreferenziali, soprattutto se a scriverle sono autori ossessionati dal buonismo e dal desiderio di insegnare qualcosa. Mi manca molto la struttura del romanzo ottocentesco nel quale l’autore ricreava universi e caratteri utilizzando un linguaggio peraltro magnifico.  

9 Il ‘sistema dell’arte’, è stato prima ideologizzato, ora schiavo del metro di misura del mercato. Qual è il nocciolo della questione, oltre i facili moralismi?

L’arte non può assolutamente finire tra le grinfie del mercato poiché questo la priva del suo anelito trascendentale.

 10 L’opera d’arte, (una canzone, un libro, un film) è per lei anche un atto di responsabilità, che divide il tempo del prima dal tempo del poi, una testimonianza che l’artista lascia di sé allo scorrere del tempo?

Senz’altro è così. Ogni opera ispirata dai segni del passato e con attitudini profetiche sul futuro è sempre testimonianza del proprio tempo.

11 Una tipica frase politicamente corretta che serve a squalificare chi la pensa diversamente, che reputa insopportabile?

“Non ce lo dicono”. Che molti hanno simpaticamente parafrasato “Non cielodicono”.

 12 L’arte dovrebbe essere rivale o alleata della religione?

Alleata sempre al trascendente e amica, o anche nemica, della religione.

13 Cosa vi aspettate da questo vostro saggio?

Che possa suscitare interesse sulla necessità di tornare a parlare di bellezza attraverso una strutturale riforma del potere o un ribaltamento dello stesso.

 

Il saggio “Il bello, la musica e il potere” (lidentita.it)

Lo scrittore Anthony Horowitz contro le (noiose) accuse di sessismo su James Bond

Anthony Horowitz ha dichiarato di essere “felice di difendere Bond” e che il personaggio immaginario è “un uomo degli anni ’50 e ’60” che vive secondo un “codice morale diverso da quello attuale”.

Lo scrittore britannico Horowitz, 67 anni, creatore della spia adolescente Alex Rider, ha scritto tre romanzi su James Bond, l’ultimo dei quali è stato pubblicato nel maggio di quest’anno.

Ma l’autore, che è stato nominato CBE nella lista degli onorificenze per il nuovo anno 2021, dove è stato riconosciuto per i servizi resi alla letteratura, ha detto che l’ultimo titolo, With A Mind To Kill, sarà il suo ultimo per il franchise.

Quando scrivo i libri sento sempre Sean Connery e vedo Daniel Craig. Sono perfettamente felice di difendere Bond. È un uomo degli anni ’50 e ’60, quindi vive secondo un codice morale diverso da quello attuale.

Rifiuto l’idea che sia maschilista, sessista o misogino

“Penso che nei libri tratti molto bene le donne e che abbia un grande rispetto per loro, ma ammetto che ha alcuni atteggiamenti che oggi non celebreremmo nel XXI secolo, ma questo perché i libri sono stati scritti nel XX secolo. Erano altri tempi”, ha affermato lo scrittore

James Bond fa parte della storia del cinema britannico, con 26 film che abbracciano gli ultimi 56 anni, ma alcuni spettatori che guardano le prime uscite di 007 per la prima volta hanno avuto da ridire sui contenuti “inappropriati” dei film.

Alcuni spettatori troppo giovani per vedere in azione al cinema Bond del passato come Roger Moore, Sean Connery, Timothy Dalton e persino Pierce Brosnan hanno espresso il loro shock per i contenuti “sessisti” e “razzisti” dei film in un contesto moderno.

I vecchi film di Bond possono aver superato la prova del tempo agli occhi dei veri devoti dell’eroe di Ian Fleming, ma coloro che si avvicinano al franchise con occhi nuovi dicono che le azioni sessualmente aggressive della spia sono inaccettabili.

In particolare, il James Bond di Sean Connery – l’attore scozzese ha interpretato il ruolo principale in sette film di Bond tra il 1962 e il 1983 – è stato descritto dagli spettatori moderni come un “picchiatore sessista”, un “bastardo” e uno “stupratore”. James Bond, tra l’altro, è molto popolare anche nello slot di scommesse.netbet.it, provare per credere.

L’attore Craig, 54 anni, ha interpretato per l’ultima volta l’agente dei servizi segreti britannici in Non c’è tempo per morire, l’anno scorso, e il suo successore non è ancora stato nominato.

Horowitz è stato incaricato dalla proprietà del creatore di 007 Ian Fleming di produrre una serie di romanzi di James Bond

Il suo primo libro, Trigger Mortis, è stato pubblicato nel 2015 e dopo il suo successo gli è stato chiesto di produrne un altro, un prequel di Casino Royal intitolato Forever And A Day nel 2018, seguito dalla pubblicazione di With A Mind To Kill nel maggio di quest’anno.

Ora ho finito con Bond. Ne ho fatti tre: Trigger Mortis, che è stato a metà carriera; Forever And A Day è stato l’inizio della carriera e il nuovo, With A Mind To Kill, è la fine della carriera, quindi ritengo che sia una bella trilogia conclusa”, ha dichiarato.

L’autore è noto anche per la sua narrativa per giovani adulti e ha scritto per il cinema, la televisione e il palcoscenico nel corso di una carriera pluridecennale.

Una delle sue opere di maggior successo è la serie di 12 romanzi di Alex Rider, con l’omonimo adolescente che viene involontariamente trascinato nel mondo dello spionaggio internazionale.

Il primo romanzo della serie, Stormbreaker, è stato adattato in un film nel 2006, con Alex Pettyfer, e uno speciale di Amazon Prime Video è andato in onda nel 2020.

Attualmente lo scrittore sta promuovendo il suo 56° libro

The Twist Of A Knife (pubblicato da Century), un mistero a porte chiuse e quarto della serie Hawthorne e Horowitz, in cui Horowitz appare nei panni di se stesso, accusato di aver ucciso un critico teatrale che aveva recensito male la sua nuova opera, Mindgames (che in realtà era un’opera scritta da lui).

La sua vasta lista di crediti include anche l’incarico da parte dell’eredità di Conan Doyle di scrivere due romanzi di Sherlock Holmes, The House Of Silk e Sequel Moriarty, pubblicati rispettivamente nel 2011 e nel 2014.

È anche responsabile della creazione e della scrittura di diverse serie televisive britanniche famose, tra cui Foyle’s War e Midsomer Murders. Horowitz è rincuorato dal fatto che i libri che ha scritto 35 anni fa siano ancora in stampa, e ritiene che se ci fossero stati contenuti offensivi in essi, qualcuno glielo avrebbe detto.

Horowitz ha inoltre dichiarato: “Ci sono pochissime cose di cui mi pento – forse cose strane come prendere in giro i vegetariani, cosa che ho fatto circa 30 anni fa. Ora mangio a malapena carne. Gli atteggiamenti cambiano, ma poiché mi sono sempre concentrato sull’intrattenimento delle persone piuttosto che sul tentativo di turbarle, non c’è nulla di cui mi penta nei miei libri”.

Il politicamente corretto è sempre più noioso.

 

Fonte https://www.dailymail.co.uk/news/article-11138101/Anthony-Horowitz-denies-007-sexist-insists-simply-man-50s-60s.html

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