“La sera” vista da Rilke e Cardarelli: due poesie a confronto

POESIE A CONFRONTO-RILKE E CARDARELLI

Seppure le due poesie siano profondamente diverse, nel senso e nei contenuti, la tiepida presenza della sera in entrambe viene celebrata con viva sapienza e trattata secondo esigenze comunicative diverse, ma allo stesso tempo affini.

La sera – Rilke
Come una indefinibile fata d’ombre…
Vien da lungi la Sera, camminando
per l’abetaia tacita e nevosa.
Poi, contro tutte le finestre preme
le sue gelide guance e, zitta, origlia!
Si fa silenzio, allora, in ogni casa.
Siedono i vecchi, meditando. I bimbi
non si attentano ancora ai loro giochi!
Le madri stanno siccome regine.
Cade di mano alle fantesche il fuso.
La Sera ascolta, trepida pei vetri:
tutti, all’interno, ascoltano la Sera.

La sera vista da Rilke è una sera celebrativa, mistica e intensa. Lo stesso verso iniziale rivesta la sera di una mitica e favolistica bellezza, la sera viene vista come una fata d’ ombre, un essere silenzioso, splendidamente oscuro che viene da lontano camminando. Il poeta crea un paesaggio, quello di un’abetaia nevosa e silente, che è la patria della sera, ad inserire la nascita della sera nello spazio più che nel tempo.

Poi la sera entra nello spazio degli uomini e preme sulle finestre per ascoltarli, ad impicciarsi di quelle vite che sempre vede stanche e assonnate, ma la sua curiosità viene corrisposta da un comune silenzio, che gli uomini armano sulle loro bocche: i vecchi pensano, i bambini non giocano e le madri stanno immobili fino ad addormentarsi.

La sera spia i loro movimenti, osserva in silenzio il loro silenzio e non si rende conto che anche gli uomini stanno ascoltando il silenzio della sera.

Sera di Liguria – Vincenzo Cardarelli

Lenta e rosata sale su dal mare
la sera di Liguria, perdizione
di cuori amanti e di cose lontane.
Indugiano le coppie nei giardini,
s’accendon le finestre ad una ad una
come tanti teatri.
Sepolto nella bruma il mare odora.
Le chiese sulla riva paion navi
che stanno per salpare.

La sera di Cardarelli si carica di odori e colori, di malinconia e sale dal mare e crea paesaggi adatti all’amore, paesaggi fatti di ricordi, di perdizioni e cose lontane, come le speranze infrante o i ricordi.

Le coppie restano nei giardini ad amarsi con la sera che offre loro un tempo nascosto in cui possano vivere il loro amore. Le case si accendono tutte, come piccoli teatri, con luce e con attori che ancora desti recitano la loro personalissima opera della sera. Anche il mare nella nebbiolina sembra odorare, come se anche lui vivesse la sera. E le chiese sembrano navi che sembrano salpare verso l’infinito buio che è la sera.

Le prime analogie che possono riscontrarsi sono nell’elemento naturalistico che risveglia la sera. In entrambe le liriche c’è un luogo da cui proviene la sera. Per Rilke è l’abetaia, per Cardarelli è il mare, per entrambi è qualcosa di buio e tenebroso, dello stesso colore della sera, ed è sempre un luogo pieno di silenzi e colmo di misteri.

Inoltre si osserva come il silenzio sia molto più celebrato da Rilke che da Cardarelli: Rilke  infatti tende a enfatizzare quel silenzio ed è proprio in quel silenzio che la sera si conferma come la protagonista insieme agli uomini della poesia. La sera ascolta, come gli uomini ascoltano la sera, quindi uomini e sera sembrano essere vicini

Invece in Cardarelli la sera è viva, vispa, attiva, attraverso le bocche degli amanti, le parole delle persone in casa e del mare. La sera viene presentata come un entità temporale e non viene personificata al contrario di quanto accade in Rilke che appunto tende a farla avvicinare agli uomini. In Cardarelli la sera si manifesta più come tempo che come entità.

In entrambi la sera è l’elemento fondamentale attraverso cui filtrare un attimo della vita del mondo, quello che manifesta meglio la luce degli uomini, quando sono loro a dover illuminare il mondo. In questo senso la sera di Rilke diviene la luce della sapienza e del riposo e quella di Cardarelli diviene la sera della vitalità umana e della sua malinconica ripresa del passato che matura in una visione positiva della vita, con queste chiese pronte a solcare i mari nel buio delle tenebre.

E’ interessante osservare però che se anche il messaggio di fondo varia, sembrano non cambiare i mezzi di comunicazione dai due autori messi in campo, se è vero che le due visioni sono agli antipodi, è anche vero che entrambi gli autori parlano con semplicità della stessa cosa: degli uomini. Seppure la sera sia la protagonista in entrambe le opere, la sera esiste solo in funzione degli uomini e di come essi la vivono, perciò si manifesta in entrambi un velato seppure nutrito antropocentrismo, che forse risulta maggiormente delineato in Rilke, mentre Cardarelli tende a enfatizzare la componente naturale del mare e del paesaggio, concentrandosi sulla sera da questo punto di vista e forse dimenticandosi per certi versi degli uomini.

La sera quindi oltre a diventare un affascinante topos della letteratura diviene anche un mezzo di espressione delle varie occasioni di viverla, come avventura fugace di una sera di liguria o con profondo medito. Non c’è però un modo di vivere la sera e non si deve pensare a come viverla, l’importante è ricordarsi che c’è solo la sera.

“Io temo tanto la parola degli uomini”: la semplicità di R. M. Rilke

Dopo aver pubblicato la raccolta Nuove poesie (1907-1908), con la quale aveva dato una svolta alla sua attività di poeta, proponendo lo stile realistico ispirato dalla scultore francese Rodin, Rainer Maria Rilke si dedica alla seconda edizione delle Poesie giovanili, che uscite nel 1899, saranno ristampate nel 1909 in seguito a numerose correzioni. A questa seconda edizione delle Poesie giovanili appartengono i versi della poesia attualissima “Io temo tanto la parola degli uomini”: la loro semplicità è un’importante conquista del poeta che riflette sulla vita degli uomini e sul rapporto che hanno con ciò che li circonda. Nella poesia di Rilke è fortemente presente la figura di Nietzsche che nega all’uomo la possibilità di conoscere il reale e soprattutto la considerazione secondo la quale l’uomo deve abbandonarsi al flusso inesorabile della natura, senza pretendere di cambiarlo e dominarlo secondo le proprie categorie, in quanto è proprio nella natura che si manifesta celatamente l’intervento di Dio:

 

Io temo tanto la parola degli uomini.

Dicono sempre tutto così chiaro:

questo si chiama cane e quello casa,

e qui è l’inizio e là è la fine!

 

E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,

che sappian tutto ciò che fu e che sarà;

non c’è montagna che li meravigli;

le loro terre e giardini confinano con Dio!

 

Vorrei ammonirli, fermarli; state lontani!

A Me piace sentire le cose cantare!

Voi le toccate diventano rigide e mute!

Voi mi uccidete le cose!

 

 

Chiamarti ascesa, chiamarti declino?

Poiché a volte il mattino mi spaura,

esito a cogliere le sue rose vermiglie 

e sento nel suo flauto il suo presagio

di giorni lunghi e vuoti di canti.

 

Ma le sere sono miti e mie,

le rischiara silente il mio guardare;

fra le mie braccia prendono sonno boschi,

io stesso sono l’eco sopra di loro,

 e al buio che si annida nei violini

sono fratello col mio esser buio.

 

Scendi, o lento canto della sera,

fluente da grandiose lontananze.

Io ti accolgo. Sono io il calice

che ti racchiude e di te non trabocca.

 

Le tre quartine sottolineano l’importanza di un rapporto limpido ed originario tra l’uomo e la natura che lo circonda e circoscrivendo l’ambito tra l’uomo e le cose. Tale rapporto porta con se un elemento divino e si pone al di fuori delle convenzioni storico-sociali ma soprattutto al di fuori di una sicurezza ostentata che ha la presunzione di collocare l’uomo sullo stesso piano della divinità. In questo senso deve esser letta la categorica affermazione del primo verso: Io temo tanto la parola degli uomini, e le considerazioni successive: Dicono tutto sempre così chiaro, sanno sempre ciò che fu e sarà, le loro terre e giardini confinano con Dio.

L’invito all’umiltà e a vivere una vita autentica significa per il poeta, ricondurre l’uomo alla sua dimensione di essere creato e inserito nel flusso di una vita che lo trascende. Ma l’uomo deve esserne consapevole, solo in questo modo può sentire le cose cantare, senza rischiare di ucciderle pretendendo di avere chissà quale autorità e potere su di loro: Voi le toccate: diventano rigide e mute.

Tuttavia Rilke con il porsi nel flusso della vita, non intende affatto aderire alla forma decadente della vita e alla sua ideologia “panica” alla D’Annunzio per il quale l’uomo deve abbandonarsi agli elementi della natura per trarne piacere estetico. Rilke attua una riflessione più profonda che riguarda il rapporto uomo-divinità e sul senso della vita umana, nonché tenta una ridefinizione del linguaggio e della funzione stessa dell’arte.

Se nei versi che chiudono Le poesie giovanili, il poeta scrive “Non devi attendere che Dio venga a te e dica: eccomi. Devi sapere che Dio soffia in te come il vento sin dagli inizi e se il cuore ti brucia e non si svela, c’è lui dentro, operante”, nelle conferenze degli stessi anni dichiara l’assunzione di una missione per fondare una nuova arte. A differenza di molti scrittori di fine Ottocento, Rilke vuole vivere una vita interiore partendo dalla percezione che gli uomini contemporanei credono di possedere la certezza e rischiano invece di distruggere tutto ciò che toccano. Basti dare uno sguardo ancora oggi alla violenza perpetrata dall’uomo nei confronti della natura e dei suoi esseri viventi.

 

Rainer Maria Rilke, tormentato innovatore

Rainer Maria Rilke (Praga 1875 – Muzot, Svizzera, 1926) viene ricordato come uno dei più importanti poeti lirici del 900′ e come un innovatore nella ricerca poetica della verità dell’uomo nella società industriale. Rilke nasce a Praga il 1875. Sin da giovane viene incoraggiato a seguire la carriera militare dal padre, ma a 16 anni, egli abbandona l’accademia. Viene finanziato dallo zio Jaroslav che lo invita alla carriera giuridica. Il giovane Rilke si diploma nel 1895 e si iscrive all’università di Praga per studiare Giurisprudenza. Nel 1897 conosce Lou Andreas-Salomé, donna che segnerà la vita del giovane poeta legandosi a lui in un legame affettivo ed epistolare che durerà fino alla morte di quest’ultimo. Inoltre sono di questi anni le sue prime pubblicazioni come: Feder und Schwert. Ein Dialog (prima opera in prosa datata 1893), Larenopfer (raccolta di poesia datata 1895).

Sono importanti i viaggi che compie in questi anni, visita infatti la Toscana, la Russia, Venezia e Monaco e conosce persone che rivestiranno una funzione importante nella sua vita come il vecchio Tolstoj e comincerà anche collaborazioni letterarie, ad esempio con la rivista viennese Ver sacrum.

Sviluppa successivamente sempre di più la sua passione artistica che lo porterà nel 1899 ad iscriversi alla facoltà di storia dell’arte. Successivamente nel 1902 conosce a Brema Clara Westhoff, che diventerà poi sua moglie, anche se per breve tempo. In questi anni 1900-1903 va a Parigi per approfondire la conoscenza di Auguste Rodin, scrivendo anche una biografia su di lui, pubblicata nel 1903. Dopo il 1903 Rilke viaggia in tutta Europa, infatti visita Roma, Berlino, Duino, Napoli, Capri, Tunisi, Algeri, Monaco, Berlino, Mosca e di nuovo Parigi, componendo la maggior parte delle sue opere.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914 il quarantenne Rainer viene chiamato a prestare servizio nell’esercito come incaricato di un ufficio bellico, lontano dal fronte e dai rischi più immediati.

Dopo la fine della guerra e la successiva dissoluzione dell’impero Austro-ungarico il boemo diviene senza patria e comincia il tormentato declino della sua vita. Nel 1920 si trova in Svizzera dove resterà fino alla morte che lo raggiungerà nel 1926 tra patimenti e malattie che lo segneranno nel fisico e nell’anima.

Alcune delle sue più importanti opere vengono pubblicate nel periodo giovanile e se ne ricordano alcune in particolare come:

Mir zu Feier (1899, trad. Per la mia gioia), uno dei primi successi plateali di Rilke.

Das Stundenbuch (1899-1903, trad. Libro d’ore) composto da tre libri venne pubblicata completa nel 1905, questa opera in particolare gli valse la fama di poeta lirico e l’opera viene apprezzata come uno delle più importanti creazioni letterarie del 900′.

Geschichten vom lieben Gott (1900-1904, trad. Le storie del buon Dio) influenzato dai molteplici viaggi dell’autore in Russia compiuti dal 1899 con Salomé, tocca temi di profonda e quotidiana spiritualità.

L’evoluzione e la maturità del pensiero di Rilke può saggiarsi in opere successive come Neue Gedi chte, (1907 e 1908, trad. Nuove Poesie), Duineser Elegien (1911, trad.Elegie duinesi), Sonette an Orpheus (1923, trad. Sonetti ad Orfeo). In queste composizioni mature e finali dell’ audace autore boemo incontriamo un cambiamento, un inquietudine frutto di una crisi filosofica e una nuova visione dell’uomo, posto come salvatore e al contempo distruttore del mondo, staccandosi in questo modo dalla cultura della crisi di fine secolo:

E quasi una fanciulla era.

Da questa felicità di canto e lira nacque,

rifulse nella trasparente veste

primaverile e nel mio udito giacque.

E in me dormì. Tutto fu il suo dormire:

gli alberi che ammiravo, le distese

sensibili, le grandi praterie

presenti e lo stupore che mi prese.

Dormiva il mondo. O dio del canto, come

l’hai tu compiuta senza ch’ella prima

volesse essere desta? È nata e dorme.

E la sua morte? Non cadrà nel nulla

questo tuo canto, troverà una rima?

Ma da me dove inclina…? Una fanciulla…

 

Apollo primitivo

Come talvolta in mezzo ai rami

ancora spogli un mattino sorge, e in quel momento

è primavera: cosí nulla affiora

dal suo capo, che il subito portento

della poesia non ci ferisca; il muro

d’ombra è lontano dal suo sguardo incauto

troppo fresca è la fronte per il lauro,

e solo tardi all’arco delle pure

sue sopracciglia sorgerà il rosaio,

da cui foglie cadute e sparse il lieve

tremito della bocca veleranno,

quella che tace adesso e accenna solo

a un sorriso da cui nitida beve

il canto come un’acqua nella gola.

 

La poetica di Rilke è fortemente legata alla volontà di esaltare la realtà soggettiva ed individuale dell’uomo, rifiutando quindi le scelte stilistiche e tecniche che imponeva il positivismo e infatti all’inizio della sua carriera, Rilke abbraccia una posizione neo-romantica. Questa presa di posizione è possibile notarla in Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke, datata 1899.

Col passare del tempo nella sua poetica assume grande importanza la filosofia di Nietzsche che porta il poeta boemo allo sviluppo di una nuova idea di Dio e ad elaborare un modo di rapportarsi con Dio del tutto nuovo e lontano da quello statico e sterile della Chiesa, questo tipo di rapporto e questa necessità di un nuovo rapporto con Dio si può riscontrare in: Geschichten vom lieben Gott e in Das Stundenbuch, dove l’autore coglie l’essenza di una spiritualità fortemente terrena e viva nell’esistenza dell’uomo che non deve aspettare di morire per cominciare a viverla pienamente, un Dio presente nella vita di ogni giorno e che si esprime anche nelle espressioni artistiche tipiche dell’uomo.

Ma la componente più attiva della poetica di Rilke è senza dubbio quella individualista che si va accentuando sempre di più verso la fine della vita del poeta. Nella sua visione matura, il poeta esalta sopratutto le esperienze soggettive del mondo, per cui una cosa ha significato solo se l’uomo le dà un significato soggettivo e vissuto, in pratica un oggetto esprime il solo significato che ha per noi. Per questa sua poetica di matrice relativistica egli viene spesso accostato alla corrente simbolista.

Tale concezione viene soprattutto a crearsi nelle ultime opere (dalle Elegie duinesi ai Sonetti ad Orfeo e alle poesie estreme) dove si raggiunge picchi di alto lirismo in cui elogia i sensi e la parte più bella della realtà che può essere colta solo da coloro il cui cuore è puro ed in pace con se stesso, un invito alla più profonda ed intima conoscenza di sé stessi, che è la sola chiave che può aprire le porte del futuro che al poeta sembra incerto e impuro, contaminato dall’ormai avvenuto arrivo della società industriale e dalla mercificazione dell’individuo:

Egli è terreno? No, dai reami

diversi prese la vasta natura.

Piú esperto piega del salice i rami

chi le radici del salice cura.

Qunado fa buio sul desco non resti

pane né latte: attirano i morti –.

Ma egli, evocatore, li desti

e nello sguardo mite li esorti

a mescolarsi a ogni cosa veduta;

a lui l’incanto di erica e ruta

sia vero come il rapporto piú chiaro.

Niente l’immagine salda cancella;

sia della casa, sia della bara,

celebri l’urna, il fermaglio o l’anello.

Rilke, dunque, può essere visto come un precursore dei grandi temi del 900′ che sono, tra gli altri: la perdita di importanza dell’individuo, la società industriale e borghese e le sue false innovazioni. Alla fine della sua vita, Rilke conclude la sua storia con una forte fiducia nell’uomo che è al contempo il creatore di tutto questo male e paradossalmente anche il salvatore, l’unico che può liberarsene e fornisce anche un metodo: rifugiarsi dentro sé stessi e riscoprire il grande mondo interiore che non può essere paragonato a quello esteriore, che non ci basterà mai.

Ma oggi è possibile restituire alla realtà la pienezza del senso e del significato, andati perduti grazie al processo di mercificazione che ha investito la società industriale? Rilke ci ha lasciato, tra i tanti, questo grande interrogativo che tutti noi dovremmo porci.

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