‘Il prezzo del tempo’. La percezione del fattore temporale secondo Ilaria Marchioni

Ne “Il prezzo del tempo, così come si evince dal titolo, Ilaria Marchioni propone un’attenta riflessione su quella che è la percezione del fattore temporale da parte dell’uomo di oggi, figlio della tecnologia e della modernità caotica, soffermandosi su tutti quei meccanismi inconsci che ci inducono ad allontanarci dalle cose realmente importanti e dagli obiettivi che razionalmente vorremmo raggiungere.

Ponendo l’attenzione sull’importanza del momento presente, sul valore di ogni singolo istante, sulla capacità dell’essere umano di auto-osservarsi e sulla consapevolezza di sé che ognuno dovrebbe acquisire, l’autrice suddivide l’opera in tre capitoli inerenti ai tre pilastri sui quali si basa la nostra esistenza vale a dire: i pensieri, le emozioni e il corpo, una triade che non solo costituisce il nostro essere ma che ci pone in collegamento con l’altro.

Ogni capitolo è a sua volta strutturato in paragrafi in cui vengono elencate, in termini di prezzo da pagare, le cause e le credenze inconsce responsabili della perdita di tempo. Riflessioni supportate, a fine paragrafo, da tre sezioni relative a domande di autoconsapevolezza, a strumenti pratici o spirituali per una trasformazione da attuare in autonomia, e ad apprendimenti, decisioni e nuove azioni da appuntare e consultare quando se ne avverte la necessità.

Nel capitolo dedicato ai pensieri si evidenziano, in particolar modo, quei condizionamenti familiari, educativi e religiosi, oltre a quelli legati alla percezione del passato, del futuro e del denaro, che ci impediscono di utilizzare il tempo in modo produttivo.

Analogamente in quello dedicato alle emozioni, si pone l’accento su quegli atteggiamenti e stati emotivi controproducenti, come ad esempio il rancore, l’orgoglio, la paura, la rabbia e le illusioni che, se non gestiti in modo consono, possono vanificare tutti i buoni propositi per una trasformazione interiore. Nella parte relativa al corpo, invece, vengono menzionate le più comuni cattive abitudini tipiche del nostro tempo quali, ad esempio, la fretta, la pigrizia e le dipendenze da cibo spazzatura e farmaci di sintesi che, se prese alla leggera e reiterate nel tempo, possono recare seri danni sia a livello fisico che interiore.

Avvalendosi dunque di una importante esperienza personale e professionale, nonché di concetti appartenenti a discipline come la fisica quantistica, la psicologia, le neuroscienze, le tecniche di rilassamento e meditazione, unitamente ad uno stile di scrittura chiaro e scorrevole, Ilaria Marchioni propone una panoramica dell’argomento molto ben articolata ed esaustiva, in grado di offrire al lettore esempi concreti, ottimi spunti di riflessione e suggerimenti che, se applicati in modo costante e consapevole, possono davvero instradare verso la realtà desiderata: “Il tempo è il nostro migliore alleato per vivere la vita che davvero vogliamo. Allora va difeso, protetto, costruito, indirizzato”.

 

 

Titolo: Il prezzo del tempo

Autore: Ilaria Marchioni

Genere: Saggistica

Pagine: 264

Prezzo: 14,90 €

 

 

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‘Past/Present’, parte il 21 maggio la mostra sul tempo a Lugano presso la Galleria Negrini

Past/ Present, la nuova mostra con cui Michela Negrini prosegue la stagione espositiva della sua galleria a Lugano, riunisce diverse opere che, con i loro riferimenti, chiamano in causa la questione del tempo ed esistenza.

La mostra, una collettiva, si estende oltre i confini abituali delle immagini, nella loro dimensione spaziale e temporale, e nasce da una riflessione su questo particolare tempo “congelato” che stiamo vivendo a causa della pandemia Covid19.

Una delle numerose conseguenze della pandemia è il cambiamento della nostra percezione del tempo. Lo spazio della vita quotidiana ha subito enormi limitazioni. Il virus, inatteso, ci ha bloccati. Abituati a guardare al futuro, oggi viviamo nell’incertezza. Prigionieri del presente, la vita è diventata sopravvivenza, senza proiezione, se non quella individuale. Dopo anni di progresso, viviamo i limiti del presente e l’impossibilità di immaginare il futuro: grande contraddizione della nostra epoca.

La mostra esplora, attraverso il lavoro di quattro artisti – Elisabetta Benassi, Liliana Moro, Melik Ohanian, Namsal Siedlecki –  le molte implicazioni dell’esperienza del tempo, della sua essenza e della sua percezione.

Namsal Siedlecki Trevis Maponos 2020

Attraverso il recupero e la trasformazione di materiali e di simboli, Elisabetta Benassi, presso la Negrini, osserva criticamente l’eredità culturale, politica e artistica spesso controversa dei nostri tempi, per esplorare il rapporto tra passato ed epoca contemporanea, interrogandosi sulla condizione e l’identità del presente. In mostra Atlas Shrugged, un lavoro del 2018 che si inserisce nell’esplorazione di un mondo in cui  l’idea di comunità è sparita  e in cui regna “l’individuo sovrano”.

Qui, le nozioni di “proprietà di sé” e di “sovranità assoluta” dell’individuo su se stesso e in relazione al mondo sociale sono centrali. Concetti-mito del liberalismo del XIX secolo, all’individuo sovrano è riconosciuto un valore assoluto e autonomo nel raggiungimento del proprio destino, rispetto alla sfiducia nella società e in qualsiasi progetto di emancipazione universale.

Nel dibattito contemporaneo, il modello di un soggetto sfrenatamente liberista – completamente a suo agio in un mondo dove ogni passione collettiva è offuscata e solo la volontà individuale e le iniziative private hanno un valore – ritorna sotto forma di ideologia invisibile e indiscutibile.

In questo preciso momento storico di “sospensione” temporale e privo di proiezione collettiva,  questo lavoro ci propone una possibilità immaginaria di sottrarsi al caos del mondo reale, con i suoi limiti e conflitti, con le suo contraddizioni tra salvezza individuale e catastrofe collettiva.

In mostra presso la Galleria Negrini, anche opere inedite di Liliana Moro: grandi sculture in ceramica bianca candida, a forma di melagrana. Simbolo primitivo del ciclo morte-vita, del continuum su cui si basa la nostra esistenza, il frutto ne rappresenta l’energia vitale. Negli ultimi anni la ceramica è tornata molto spesso nel lavoro di Liliana Moro, anche per realizzare forme prese dal mondo naturale, come per esempio la frutta.

Per queste composizioni, l’artista ha utilizzato la ceramica, partendo dall’origine del materiale, cioè la terra, il fango ed i minerali che la compongono. Riflettendo sulla centralità della scelta del materiale quale parte fondamentale del processo creativo, Liliana Moro ci porta a riflettere sul tempo del materiale, elemento fondamentale che restituisce forma alla terra, scandendo i tempi di realizzazione e sul fascino dell’attesa, di asciugature e cotture.

Liliana Moro Still life 2020 dettaglio

Ponendo l’accento sul tempo modellatore, o – come scrive Marguerite Yourcenargrande scultore” – capace di dare forma sempre, anche quando il materiale siamo noi, queste sculture tonde, coronate di foglie,  con un’apertura circolare ci permettono di avvertirne la cavità,  il vuoto che c’è dentro.

E come Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, anche Liliana Moro procede per  “sottrazione di peso”, alleggerendo il frutto, scavando nel suo tempo passato e  bloccandolo in un tempo presente, impotente, in cui solo la relazione col nostro sguardo può proiettarlo nel futuro.

Da sempre, la ricerca artistica di Melik Ohanian indaga il mondo dell’immagine e il suo potere allegorico e la dimensione spaziale e quella temporale possono essere identificate quali nodi centrali di tutta la sua poetica. In mostra alla Negrini nuove opere della serie Tomorrow Was. Senza indicazioni di tempo, né di spazio, questa serie medita su un possibile domani.

Queste fotografie non si propongono di cogliere un istante preciso, bensi’ di speculare in un modo riflessivo su di una narrativa personale dello spettatore. Ciascuno, posto di fronte a questi fragmenti di vita, sarà portato ad anticipare il proprio rapporto col mondo.

In mostra alla Negrini anche opere della serie Portrait of Duration – Cesium Series , un lavoro che presenta i passaggi dallo stato solido a quello liquido del Cesio 133, elemento il cui decadimento radioattivo è stato usato a partire dal 1967 per stabilire la durata del secondo universale negli orologi atomici. Registrando il suo processo di trasformazione, ciascuna fotografia rappresenta il tempo attraverso la materia, e restituisce in modo speculare lo stato della materia a un certotempo T.

Melik Ohanian investiga così l’osservazione e la rappresentazione della misura del tempo, e in particolare della sua unità di riferimento: il secondo. Sebbene il tempo rimanga un concetto relativo e astratto, queste immagini ne costituiscono “un ritratto attraverso la rappresentazione della materia che lo definisce “in una sorta di “tautologia fotografica”, come l’ha definita l’artista.

Invece che semplicemente indicare o misurare il tempo, ce lo mostrano. Invitandoci a esperire il tempo attraverso il suo scorrere e quindi la sua misurazione, Ohanian propone uno scenario cosmico sospeso tra poesia e scienza. È “una ricerca di uno stato di consapevolezza”: un’oscillazione tra scenari cosmici e mentali, che richiamano i paesaggi surrealisti di Max Ernst.

Gli ex voto hanno rappresentano fin dal paleolitico un elemento di legame col divino, cui l’uomo sirivolge alla ricerca di forza e conforto. Questa antica forma di preghiera, in cui predominante è la presenza di figure umane, è portata in mostra grazie al lavoro di Namsal Siedlecki: una scultura in argento nata da alcune scansioni 3d che l’artista ha realizzato in Francia nel 2019, a Clermont Ferrand, nei cui pozzi votivi negli anni 60 sono stati ritrovati una serie di reperti archeologici risalenti al 50 a.C.. Ex-voto scolpiti in legno di faggio e gettati in acqua come offerta ad una divinità dei Galli, Maponos.

Elisabetta Benassi Atlas Shrugged 1

Gettate invece nella Fontana di Trevi sono le monete d’argento usate per realizzare questa scultura. Nella fontana, ogni anno vengono gettati circa 2 milioni di euro di monetine, di cui per vari motivi l’8% non riesce ad essere cambiato.

L’artista affascinato da questo insieme di desideri, intrappolati in una sorta di limbo quasi come se non si fossero compiuti ne ha comprato circa 500 kg.

Siedlecki presso la Galleria Negrini, si sofferma sull’idea che in oltre 2000 anni l’umanità continua a ripetere lo specifico rituale di gettare qualcosa in acqua cercando un aiuto soprannaturale. Questi due desideri di due epoche distanti, entrambi legati all’acqua, qui si uniscono in un unico desiderio potenziato all’interno del liquido di una vasca galvanica.

Marcel Proust, una vita per la letteratura: la più vera forma di vita

Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922) è un nome che evoca un concetto tanto caro a noi esseri umani, il tempo. Tempo che è stato cercato, rincorso, cristallizzato da Proust, uno dei più grandi scrittori che la letteratura abbia mai partorito, che ha vissuto per la letteratura, che l’ha definita la forma più vera di vita. Nessuno come Proust  ha approfondito con tale finezza la psicologia con un grande senso della relatività, una sorta di meccanica quantistica che gli consente di rappresentare a più livelli lo stesso personaggio facendo vivere al lettore un’intensa esperienza conoscitiva, come dimostra il suo capolavoro Alla ricerca del tempo perduto.

Proust nasce  ad Auteil, elegante sobborgo di Parigi  in una famiglia dell’alta borghesia (il padre, Adrien, noto medico, la madre Jeanne Weil, figlia di un agente di cambio israelita), cresce in un quasi morboso attaccamento verso la madre (descritto anche nella sua opera) in un ambiente ovattato dalle più tenere cure da parte della famiglia. Egli è molto legato anche alla nonna materna, Adèle Weil, ed è stata proprio la sua morte, nel 1890, a spingere il romanziere a scrivere la celebre pagina sulle “intermittenze del cuore”, quegli inviti della memorie, quel risorgere di un tempo perduto che ci rende felici in quell’attimo.

Trascorre spesso le estati a Illiers, luogo d’origine della famiglia paterna (la  celebre Combray del romanzo). Nel 1882 comincia a frequentare il liceo Condorcet, dove fa buoni studi e stabilisce solide amicizie con giovani che poi lasceranno un nome nel panorama letterario del loro tempo: Fernand Gregh, Daniel Halévy, Daniel de Flers. Nel 1889 – 90 è ad Orléans per il servizio militare: sono gli anni della sua amicizia affettuosa con Gaston de Caillavet. Tornato a Parigi, frequenta i corsi di Albert Sorel all’Ecole des sciences politiques e quelli di Henri Bergson, che da poco ha pubblicato la sua tesi sui Dati immediati della coscienza, alla Sorbona. Laureato in lettere nel 1892, si reca  spesso, d’estate, sulle spiagge normanne, Trouville e soprattutto Cabourg, che diventerà nel romanzo Balbec.

Inizia negli eleganti e raffinati salotti parigini, la sua attività di scrittore; collabora con giornali come “Le Gaulois” e con riviste come “Le Blanquet” e “La Revue Blanche”, sempre assente dalla Biblioteca Mazarine dove è stato assunto nel 1895 come addetto non retribuito. Proust vive ora la sua scintillante stagione mondana, conosce scrittori dandy, artisti e grandi dame, nobili come Robert de Montesquiou, musicisti come Reynaldo Hahn che metterà in musica alcune sue poesie e diverrà, nel romanzo, l’ispiratore di Vinteuil, il pittore Blanche e l’acquarellista Madeleine Lemaire che illustra il suo primo volume, I piaceri e i giorni, uscito nel 1896.

Avvicina anche Oscar Wilde, di passaggio a Parigi. Di questi anni è anche l’inizio del primo romanzo autobiografico, Jean Santeuil, che uscirà postumo nel 1952. Tra il 1896 e il 1897 uno scrittore decadente ed anch’egli omosessuale come Proust, Jean Lorrain, lo attacca con critiche volgari e allusioni in un paio di articoli e considera I piaceri e i giorni “eleganti e squisiti piccoli nulla, vanità, flirts per procura”. Ne viene fuori un duello alla pistola, per fortuna senza danni. Importanti eventi spingono intanto lo scrittore a una riflessione più approfondita sui grandi temi che già occupano la  sua mente. Nel 1894 scoppia il caso Dreyfus e Proust, diventato sostenitore dell’ufficiale ebreo accusato di tradimento, vive questi eventi con assoluta partecipazione e ne trae nuovi spunti di riflessione etica e socio-politica.

Nel 1900 si reca a Venezia e a Padova dove rimane profondamente colpito dagli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Traduce, intanto, alcune opere dell’inglese Ruskin (La Bibbia d’Amiens, Sesamo e i Gigli che usciranno tra il 1904 e il 1906) ed affina il suo gusto estetico. Tra il 1903 e il 1905 muoiono il padre e la madre. Proust vive i due eventi con profonda angoscia, ma trova in essi l’occasione per lasciare spazio ad una più libera manifestazione di sé, il modo di far cadere fra l’altro le ultime remore che finora lo hanno spinto a tener nascosti i suoi costumi omosessuali.

Lottando contro la sua fragile salute, contro gli attacchi d’asma, lo scrittore francese procede all’ elaborazione della sua opera centellinando  le sua forze per portarla a buon fine, rinunciando al ‘mondo’ che amava per non sprecare nemmeno un po’ della sua vitalità, avvalendosi delle sue inquietudini per affinare la conoscenza di se stesso e degli altri. Fino alla morte Proust non vive che per la sua opera, in una triste relegazione. Il racconto è interamente soggettivo e mescola l’autobiografia ai ricordi di un osservatore.

Proust ha dato vita ad un nuovo flusso narrativo rifondando il romanzo su basi diverse rispetto a quelle della tradizione ottocentesca-naturalista. Il romanzo novecentesco disocculta la realtà, mettendo in rilievo la visione onoica e deformata della realtà dei suoi protagonisti. La crisi del Positivismo, la “rivoluzione epistemologica” provocata dal pensiero di Bergson, Nietzsche e Freud, la diffusione di teorie fisiche, come la relatività di Einstein, l’irrompere della concezione dell’inconscio, il crescente senso di disadattamento e di alienazione dell’intellettuale negli anni dell’Imperialismo, della guerra e del dopoguerra, con la sua crisi di identità hanno introdotto nuove tematiche nell’immaginario degli scrittori: la nevrosi in Svevo, la memoria, appunto, in Proust, la malattia in Thomas Mann, la dimensione onirica in Kafka, “l’uomo senza qualità” in Musil, l’inettitudine in Svevo, Tozzi e Pirandello.

Proust è senza dubbio uno dei maggiori rappresentanti del romanzo moderno, in quanto oltre che un autore di crisi è anche un autore in crisi. Irrequieto ed emotivo, Proust, amante del mondo aristocratico, uno snob vittima del suo snobimo e dandismo, affronta temi drammatici in maniera cerimoniosa; come ha giustamente notato Anatole France, Proust <<si diverte a descrivere allo stesso modo lo splendore desolato del sole morente e le vanità irrequiete della sua anima snob>>.

La profonda emotività ed irrequietezza di Proust, non derivano solo dal carattere sensibile dello scrittore, ma hanno radici precise: è bene porre l’attenzione sull’importanza dell’ identità in Proust e più specificamente sul connotato ebraico il quale funge da rivelatore di quell’atteggiamento di sfiducia e di autocritica che spesso sfocia dell’autostroncatura. L’ebraismo, dunque, come ha constatato lo studioso Alessandro Piperno, appare nel mondo proustiano, come “sintomo e sinonimo d’una mancanza ancestrale”, come “mancanza d’abissalità”, di quella “assenza di profondità” di cui i razzisti ariani hanno spesso accusato gli ebrei.

la tomba di Proust

L’ansia di piacere e di essere stimati in effetti costituiscono il marchio del vizio congenito degli ebrei, ma Proust (per metà ebreo e per l’altra cattolico) vuole allontanarsi da questo atteggiamento altrimenti non sarà possibile essere libero e sincero. L’ansia di cui soffre Proust semmai è quella dello scrivere e di voler cogliere ogni singola sfumatura delle cose, nel volter rappresentare la tragedia in luoghi suggestivi e bellissimi. Tuttavia lo scrittore francese ha sempre desiderato di sentirsi pienamente accettato da quella società nella quale invece non lo accolse mai se non in modo superficiale (come la sua famiglia del resto che gli era ostile anche in virtù della salute precaria dello scrittore, dato che soffriva di asma),  facendo ostruzionismo al suo mestiere di scrittore.

Anche la scrittura di Proust risulta indefinibile, incompiuta, che ci svela un Proust fustigatore di atteggiamenti non autentici, che ci lascia scoprire la verità attraverso un’incessante ricerca.

 

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