Alessandra Maltoni vince il XII Premio Internazionale Navarro

Per celebrare i Navarro nei luoghi in cui vissero la loro più intensa stagione creativa, in armonia con le finalità culturali dei Lions, la dodicesima edizione del Premio Navarro si è svolta nell’incantevole location della Biblioteca Navarriana, presso la Banca Sicana di Sambuca di Sicilia, Corso Umberto I, 111, arredata con preziosi documenti navarriani e dipinti di Pippo Vaccaro su Personaggi Navarriani.

Il Cerimoniere del Club Sambuca Belice Dr. Antonino Ciancimino ha curato il Cerimoniale Lionistico, l’I.I.S.S.”Amato Vetrano” di Sciacca ed il Leo Club Sambuca Belice gestito l’accoglienza degli ospiti, la curatrice scientifica della manifestazione Prof. Gisella Mondino ha coordinato la cerimonia di Premiazione, in sintonia con il Presidente di zona dei Lions avv. Loretta Abruzzo e con il Past President Prof.ssa Teresa Monteleone.

Alessandra Maltoni poetessa e scrittrice di Ravenna, prima classificata  nella sezione silloge edita con la pubblicazione in commercio: “ la poesia cambierà il mondo” edita dalla Zisa è stata  premiata dal Presidente della zona 28 Avv. Loretta Abruzzo.

Premi Speciali a Nuccio Fava, già direttore del TG1 e del TG3, per la sua brillante carriera giornalistica e per la sua passione civile, alla scrittrice italo-americana Marcella Nardi per l’impulso innovativo dato al genere Giallo – legal thriller, alla scrittrice italoargentina Maria Josefina Cerutti, per Vino Amaro, storia emblematica sull’emigrazione italiana e sull’ingiustizia della dittatura argentina.

La giuria composta da emeriti docenti e linguisti hanno ritenuto assieme al Prof. Enzo Randazzo meritevole la silloge “ la poesia cambierà il mondo” del 1 premio, Alessandra Maltoni  Presidente del Lions Club Milano Marittima 100, si è congratulata per l’organizzazione  portando il saluto del suo Club, nel suo intervento ha dedicato il prestigioso premio ai Lions della Romagna.

Alessandra Maltoni vive a Ravenna, di formazione tecnico-scientifica, dal 1994 si interessa con passione alla scrittura di racconti e poesie, nella poesia ha una attenzione non solo culturale, essendo studiosa di fisica quantistica come autodidatta.

Le sue prime liriche sono state pubblicate con Libroitaliano. Nuovi poeti le assegna vari riconoscimenti e pubblica Patchwork poetico, che viene anche tradotto in inglese e spagnolo. Il racconto Domande tra porto e mare vince nel 2010 il premio Il Delfino. Il suo libro edito dall’Istituto italiano di Cultura di Napoli, La punta dei libri un paese sul mare, vince il Premio Internazionale Nuove lettere.

Molte sue opere sono presenti in importanti antologie collettive. Alessandra Maltoni idea il concorso Nazionale “Poesia al Bar”, una metafora tra letteratura e scienza. I suoi libri sono apprezzati e recensiti da molti docenti universitari, tra cui Neuro Bonifazi che introduce Il Lido del mosaico & ballo, premio racconto inedito La Ginestra.

‘Marianna Sirca’ di Grazia Deledda: una storia che brucia di passioni e che spezza le catene del pregiudizio

Marianna Sirca è un romanzo breve del 1915 di quella che è considerata la maestra del verismo romantico, ovvero Grazia Deledda, la cui opera venne subito apprezzata sia da Verga che da Capuana. La storia è incentrata su realtà storico/sociali del primo Novecento e ha per protagonista una giovane donna di origini umili, che diventa ricca grazie all’eredità di uno zio prete. Si innamora di Simone Sole un bandito nuorese povero ma dal carattere forte e deciso che deve saldare il proprio debito con la giustizia; i due decidono di sposarsi ma Marianna chiede a Simone di costituirsi e di scontare la sua pena. Quando tale segreto viene a galla, tutti sono contrari. La casa di Marianna Sirca è sorvegliata dai carabinieri ma Simone sparisce dalla circolazione per non farsi prendere e per non divenire oggetto di scherno da parte degli altri banditi. La ragazza, delusa, lo accusa pubblicamente di viltà e quando il giovane torna per chiederle di ritirare l’offesa, Marianna gli oppone un silenzio ostinato:

Si guardarono, come l’altra volta, in fondo all’anima: e sentivano d’essere un’altra volta pari, pari nell’orgoglio e nel dolore come lo erano stati nella servitù e nell’amore. «Marianna», egli disse, fermo davanti a lei, così vicino che le bagnava le vesti con le sue vesti bagnate, «tu hai detto per me una parola che devi ritirare.» Marianna lo guardava senza rispondere, stringendosi alla porta, decisa a non aprire anche se l’uomo avesse tentato di farle del male. «Rispondi, Marianna; perché non rispondi? Vedi che sono qui e che non sono un vile.» Ella sorrise lievemente, un poco beffarda, guardando lontano e intorno come per scrutare quali pericoli egli aveva attraversato: allora egli le afferrò i polsi, la tenne inchiodata alla porta, parlandole sul viso: «Rispondi! Perché hai detto che sono un vile? Ti ho fatto del male, io? Potevo fartene, quella sera, qui e poi in casa tua, e poi sempre, in qualunque posto, e anche adesso potrei fartene, e non lo faccio, lo vedi che non lo faccio. Lo vedi? Rispondi». Ella lo guardava di nuovo, con gli occhi socchiusi, la bocca stretta, il viso pallido ma fermo. «Tu non mi vuoi rispondere! Altre volte però mi hai risposto. Vile, a me? Che ti ho chiesto, io, perché sia un vile? Ti ho chiesto i tuoi denari, forse? La tua roba, ti ho chiesto? O ti ho chiesto la tua persona? Ti ho chiesto solo amore, e amore tu mi hai dato; ma anche io ti ho dato amore; siamo pari; ci siamo scambiati il cuore. Ma tu volevi di più, da me: volevi la mia libertà e questa non te la do, no, perdio, perché la devo ad altri, prima che a te, la devo a mia madre, a mio padre, alle mie sorelle… Vile, a me?», riprese rauco, delirante di rabbia per il silenzio di lei. «Eri tu che mi volevi vile; tu, che volevi farmi andare in carcere, tu che volevi legarmi a te come un cane al guinzaglio… Tu…» 

Un rapporto d’amore burrascoso, avventato e avversato che sfocia nell’incomprensione e scivola nella tragedia, quello tra Marianna Sirca e il suo Simone, ambientato tra i monti e i boschi aspri e selvaggi di una Sardegna arcaica e profondamente imbevuta dei valori religiosi e della cultura della società contadina. Un finale malinconico. Sono presenti e vivi i temi tipici della scrittrice sarda, ovvero quelli relativi al destino, alla sopraffazione, al dolore, alla morte, alla solitudine, e all’aspirazione alla felicità. Il tutto raccontato con uno stile narrativo leggero, semplice e ricco allo stesso tempo, dove l’autrice analizza soprattutto attraverso il dialogo e i personaggi di supporto (il padre, la domenica di Marianna), la psicologia dei protagonisti principali senza rinunciare a meravigliose descrizioni della sua terra, della natura che è parte integrande del romanzo della Deledda. I cuori dei protagonisti così come le lande silenziose del nuorese, percosse dai gelidi venti invernali ed imbiancate da candida neve, sono solitari. In questo modo viene a crearsi un flusso di immagini ed eventi in stretta simbiosi.
Con Marianna Sirca Grazia Deledda conferma le sue doti narrative raccontando una storia che brucia di passioni, che anela gioia, che spezza le catene del pregiudizio verso certa umanità, che tratta di un territorio ruvido, difficile e percorso da forti contrasti, di pennellate cromatiche intense, di sensazioni olfattivi molto forti che si confondono con gli struggimenti emotivi e gli immancabili colpi di coda del fato.

Grazia Deledda: l’essenza della vita nella sua tragicità

Grazia Deledda (Nuoro il 27 settembre 1871 Roma ,15 agosto 1936) nasce in una famiglia decisamente benestante: il padre, infatti, è un procuratore legale e dedito al commercio del carbone. Già all’età di diciassette anni pubblica, sulla rivista “ultima moda” il suo primo racconto dal titolo “sangue sardo”, storia di un amore mai corrisposto, dove la protagonista uccide l’uomo di cui è innamorata. Tuttavia, l’opera con cui si “tuffa” nel mondo letterario e che le darà un certo successo iniziale è “Nell’azzurro”, pubblicato nel 1890. E’ a Roma che scrive “Anime oneste” e “il vecchio della montagna”. Le maggiori, poi, fra le quali ricordiamo “Elias Portolu” (1900), “Cenere” (1904), “Canne al vento” (1913), “Un uomo solitario” (1914), “Marianna Sirca” (1915), possono leggersi come lo sviluppo e la discussione di casi di coscienza. Altre opere si succederanno, con una crescente intenzione autobiografica e introspettiva, e sempre con fortuna di pubblico, fino alla scomparsa dell’autrice, avvenuta a Roma nel 1936. Lascerà un’opera incompiuta: “Cosima”, che i curatori pubblicheranno col significativo sottotitolo di “Quasi Grazia”.

Gli scritti di Grazia Deledda risentono di un clima tardo romantico, esprimendo in termini convenzionali e privi di spessore psicologico un amore vissuto come fatalità ineluttabile. E’ anche, per lei, un’epoca di sogni sentimentali, più che di effettive relazioni: uomini che condividono le sue stesse aspirazioni artistiche sembrano avvicinarla, ma per lo più un concreto progetto matrimoniale viene concepito da lei sola. Ora, però, soffermiamoci in particolar modo sul suo più celebre romanzo, ossia “Canne al vento” (1912).

Ambientato quasi interamente a Galtellì. Alla base del romanzo c’è, secondo uno schema che si ritrova in altre sue opere, una situazione di vita fondata su norme arcaiche e oppressive, talvolta violate dalla trasgressione che genera rimorsi e sensi di colpa. Espiazione e restaurazione dell’ordine infranto chiudono il cerchio. Il romanzo è raccontato attraverso la figura del protagonista, Efix, il servo delle Dame Pintor, che di questa famiglia ha conosciuto il tempo della potenza e della ricchezza e quello del rapido declino. Ora Efix coltiva l’ultimo podere rimasto, i frutti del poveretto sono gli unici proventi delle nobili sorelle: Ruth, Ester e Noemi. Il 10 settembre 1926 le viene assegnato il Nobel per la letteratura: è il secondo autore in Italia, preceduta solo da Carducci vent’anni prima; resta finora l’unica scrittrice italiana premiata. L’ultimo romanzo “La chiesa della solitudine” è del 1936. La protagonista è, come l’autrice, ammalata di tumore.

Sempre e comunque ricordare la sua Sardegna, la sua saggezza, la sua autenticità, e le sue verità  che hanno fatto ipotizzare un accostamento a Verga per quanto riguarda la stagione verista e a D’Annunzio per il decadentismo. Ma la Deledda non può essere etichettata, come ha fatto parte delle critica, in quella che è stata definita con un certo snobismo, la letteratura della Sardegna, il suo automodello sardo è universale, intriso di poesia e tragicità tipicamente russa (la lotta tra bene e male in primis)la sua terra è resa un luogo mitologico e misterioso, dove la natura è un microcosmo psichico (perfettamente in linea con la concezione della natura degli altri grandi scrittori del Novecento) all’interno del quale si consumano i drammi dell’essere umano, il quale però può trovare nuova linfa nella fede, e soprattutto nella pietas cristiana, nella partecipazione alla mortalità, naturalmente non senza correre dei rischi.

Anche il particolare uso della lingua che fa la scrittrice, ha aperto dibattiti e riflessioni; La Deledda fa emergere la distanza tra la cultura nazionale e quella locale, ma fondamentalmente perché lei stessa sente di appartenere maggiormente a quest’ultima, al dialetto sardo e ai suoi toni colloquiali, in quanto la stesura in italiano presentava per lei non pochi problemi.

Non aveva il dono della “buona lingua” Grazia Deledda ma proprio per questo ha inaugurato una nuova fase narrativa, quella che rifiuta l’omologazione e conserva la propria identità, portando ad una stratificazione della lingua che fanno di questa straordinaria donna ed autrice dal volto autorevole,una personalità  fuori dal comune, contemporaneamente dentro e fuori  il contesto letterario novecentesco europeo.

 

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