‘Se questo è amore’ di Eddy Lovaglio: una storia d’amore dagli anni ’80 fino ai tempi del Coronavirus

Se questo è amore, edito da Mondadori, è l’ultimo romanzo di Eddy Lovaglio.

Eddy Lovaglio è una giornalista e scrittrice. Al 2002 risale la sua prima biografia italiana sul tenore italo-americano Mario Lanza, Mario Lanza, una voce un artista (edito da Azzali Editori), per la quale è stata ospite in diversi programmi Rai, oltre a Sky canale 906, BBC e Cultural Channel della TV Nazionale Russa.

Il 28 ottobre 2006, a Roma, riceve il Premio Athanòr per la Saggistica. Nel 2007 esce la biografia sul tenore Rinaldo Pelizzoni (edito da Azzali editori) e nel febbraio 2008 il libro su Renata Tebaldi (edito da Azzali Editori). Nel 2009 pubblica per il Comune di Parma il libro Valerio Zurlini, protagonista discreto, dedicato al noto regista scomparso.

Diversi sono i suoi scritti inclusi in libri di altri autori, sia di saggistica e sia di poesia. Dal 2009 ed ancora tuttora è co-direttore di due testate editoriali e si dedicata a saggi sulla voce lirica.

 

Se questo è amore: Sinossi

Se questo è amore è uscito nelle librerie il 14 Maggio. Il libro è attualmente disponibile in formato ebook ma, nei prossimi giorni, sarà reperibile anche in quello cartaceo.

All’ epoca Sara non poteva sapere che quella telefonata avrebbe cambiato il corso della sua esistenza.

Erano le prime ore del pomeriggio quando una voce dalla timbrica baritonale, austera e autoritaria ma, al tempo stesso, estremamente cortese e rassicurante, dall’altro capo del filo chiese di lei. A rispondere fu proprio Sara ed ebbe l’impressione che non si trattasse di uno dei soliti spasimanti, o millantatori, che cercavano di strapparle un appuntamento, come spesso avveniva. La telefonata fu piuttosto telegrafica. Anzi, forse fu proprio la sua brevità a non permettere a Sara di riflettere e fu così che senza rendersene conto accettò di incontrare uno sconosciuto. Era la prima volta.

Si tratta di un appuntamento di lavoro, pensò. Sembrava un approccio come tanti altri, poteva essere vero, poteva essere falso. Ma aveva la strana sensazione che qualcosa di inspiegabile faceva la differenza.

Il tono della voce dall’altra parte del filo era asettico e professionale, quasi disinteressato. Un avventuriero, un regista, un produttore, un talent scout, un semplice millantatore?

Ogni sorta di ipotesi affollava la mente di Sara durante le ore che la separavano da quell’incontro, si rese conto che aveva accettato l’appuntamento per il giorno seguente ancor prima di aver capito bene il nome dello sconosciuto.

Erano le due del pomeriggio di un giorno qualunque di ottobre e Sara aveva appena compiuto ventuno anni. All’angolo di una chiesa situata nei pressi della piazza principale della città, Sara, sempre puntuale agli appuntamenti, attendeva.

L’aria era fredda e umida, indossava un giaccone bianco di pelle foderato di pelliccia all’interno, una gonna bianca e blu ed un basco blu che lasciava scoperti due occhi smarriti che tradivano l’insicurezza di trovarsi lì. Prima ancora di riuscire a mettere ordine tra l’altalena dei suoi pensieri, un’auto si fermò proprio di fianco a lei. Il conducente, senza nemmeno scendere dall’auto, le fece cenno di salire.

Questo signore non brilla certo in galanteria, ma Sara salì ugualmente.

Seduta di fianco a lui, d’un tratto le prese il panico. Era abituata alle passerelle di Pitti e di Milano, abituata a professionisti e spasimanti d’ogni sorta, ma ora si sentiva come un canarino caduto nelle grinfie di un gatto affamato.

Di fianco a lei c’era un essere impenetrabile, che non riusciva bene a decifrare, trincerato dietro barriere più tortuose delle sue, un orso in trasferta, pensò.

 

Qual è il segreto della felicità? Non vorreste scoprire anche voi come fare della vostra vita un’opera d’arte?, “Quel desiderio – come scrisse Calvinoche spinge una rosa ad essere una rosa”. Sara, la protagonista di questo romanzo, ha un incontro fortuito col destino: si chiama Marcello. La sua vita improvvisamente subisce un radicale cambiamento, Sara distruggerà e ricostruirà la sua vita e la sua personalità. La tensione corre sul filo in un gioco di specchi tra intelletto e sentimenti. La lettura è intesa in chiave metaforica.

Se questo è amore è un romanzo psicologico che punta sull’interiorità dei due personaggi, attratti entrambi dalla mente umana e dai suoi straordinari meccanismi. Narra di una storia d’amore che potrebbe sembrare tossica e ossessiva, poiché la protagonista non riesce ad elaborare un pensiero critico e distaccato da quello che le sta accadendo e vive in bilico tra il razionale e l’irrazionale, tra l’introspezione e la ricerca del se.

Ma poi qualcosa accade. Sara vive una vita al di fuori di schemi preordinati e ciò le consente di comprendere l’ordine mondiale degli eventi e di capire il senso della vita stessa. Ambientato nel Nord Italia, il romanzo narra delle vicissitudini singolari di una vita trascorsa tra l’affascinante mondo delle top model e del cinema, dagli anni Ottanta ai giorni nostri, fino al tempo del Coronavirus

L’autrice, Eddy Lovaglio, ha pubblicato soprattutto biografie perché ama l’altrui vissuto dal quale si può imparare molto. Pertanto anche i suoi romanzi rispecchiano questa caratteristica e cioè la narrazione di una vita.

Sara, la protagonista di  Se questo è amore, vive una vita al di fuori di schemi preordinati e ciò le consente di comprendere l’ordine mondiale degli eventi e di capire il senso della vita stessa, soprattutto in un momento storico come questo dove siamo più distanzi fisicamente ma possiamo essere più uniti idealmente e spiritualmente.

 

https://www.mondadoristore.it/Se-questo-e-amore-Eddy-Lovaglio/eai978883166966/

 

Hannah Arendt e Martin Heidegger: l’intenso legame sentimentale tra i più grandi pensatori del ‘900

Hannah, la riconciliazione è qualcosa che nasconde in sé una ricchezza che noi dobbiamo diffondere fino alla svolta in cui il mondo oltrepassa lo spirito della vendetta. Così scrive Martin Heidegger da Messkirch ad Hannah Arendt, il 6 maggio del 1950. Ci sono voluti oltre vent’anni di silenzio perché il filo spezzato di quell’antico affetto si riannodasse su iniziativa di Hannah stessa. Il carteggio epistolare fra i due amanti, conosciutisi all’università di Marburg nel 1925, quando un trentaseienne professore, sposato e con due figli, restò incantato dall’intelligenza di un’allieva diciannovenne, molto restituisce di quello che fu una relazione nata sul canovaccio di un amore irrealizzabile, tanto distanti apparivano fra loro.

Tuttavia le lettere ci mostrano come sia accaduto per i due amanti d’oltrepassare questo impossibile, vivendosi un affetto diventato storia nella Storia, la cui traccia è riuscita a sopravvivere alla Storia stessa e alle sue colpe.

E forse è proprio questo ad aver salvato un rapporto tra due intelligenze travagliate dal finire nel pattume delle miserie umane e resta intatta per il lettore la sfida di oltrepassare la freddezza del dato di fatto che fa di Heidegger soltanto un filosofo sostenitore del regime nazista e di Hannah Arendt una filosofa ebrea in fuga. Oltre il mero dato, infatti, diventa possibile scoprire che due come loro, dicevamo distanti anni luce da ogni punto di vista, siano riusciti ad accogliersi reciprocamente.

Il carteggio: un viaggio nell’affettività di Hannah Arendt e Martin Heidegger

La prima parte del carteggio, datato 1925/1932, è un viaggio nella sfera dell’affettività di un uomo e una donna che si intreccia inevitabilmente con la speculazione filosofica. Un viaggio nell’intimità con tutte le conseguenze del caso per chi legge e cioè scoprirsi a spiare in punta di piedi, come intrusi non invitati, quella condivisione di pudori che appare così lontano da un tempo che sembra aver dimenticato la bellezza di un amore vissuto come attesa dell’altro.

Quando la bufera sibila intorno alla baita, trascorro una pausa di tranquillità sognando l’immagine di una fanciulla che con l’impermeabile, il cappello calcato fin sopra i grandi occhi quieti, entrò per la prima volta nel mio studio e, timida e riservata, diede una breve risposta a tutte le domande- ed è allora che riporto l’immagine agli ultimi giorni del semestre – e solo allora capisco che la vita è storia.

Scrive Heidegger alla diciannovenne Hannah il 1 maggio 1925:

Carissima! L’amore sarebbe ancora grande fede, che sorge con esso nell’anima, se non gli rimanesse che questo da tenere in serbo, da aspettare e custodire? Questo aspettare l’amato -è la cosa più meravigliosa- perché in esso l’amato rappresenta proprio il “presente”. Con questa fede, lascia che io abiti il luogo più intimo e puro della tua anima.

E ancora in una lettera di pochi giorni dopo:
E cosa possiamo fare, se non unicamente – aprirci l’un l’altro –e lasciar essere ciò che è. (…) Sereni di essere ciò che siamo. E tuttavia ciascuno vorrebbe “dire” all’altro e aprirsi; ma potremmo dire soltanto che il mondo non è più il mio e il tuo – ma è diventato il “nostro” e che quanto facciamo e cerchiamo di raggiungere non appartiene a me o a te, ma a noi.
(…)

Ti ringrazio per le tue lettere – perché mi hai accolto nel tuo amore- mia carissima. Sai che questa è la cosa più difficile che un uomo debba sopportare? Per tutto il resto ci sono vie, aiuti, confini e comprensione- soltanto qui tutto significa: essere innamorato= essere sospinto all’esistenza più autentica.

L’intimità secondo Heidegger

Trapela con una spietata chiarezza cosa sia intimità per Heidegger: viversi per ciò che si è, senza quell’ansia di caricare la relazione di aspettative di perfezione che inquinano la promessa di un mutuo donarsi. E’ tutto già perfetto, perché quel noi ha come perimetro e sostanza una sola immagine: quella dell’amata per ciò che già è e non per ciò che ci si aspetta che sia.

Molto spesso in queste lettere Heidegger ripete una frase attribuita a Sant’Agostino: Voglio che tu sia ciò che sei. Non di più, non di meno e una profonda gratitudine le verga: qualcosa di straordinario sta accadendo e cioè la possibilità, che sembra avere del miracoloso, di stare accanto all’amata mentre si dischiude, con le incertezze della giovane età, alla vita.

Non è soltanto un sentimento, è una fede incrollabile che affonda le radici non in un ideale, ma nella solidità di ciò che lei è già e di tutto quello che è la sua storia. Soltanto questa fede, promette Heidegger, resiste alle intemperie del destino, che non mancheranno. Il perché della felicità è, dunque, questo: Che l’amore c’è, che può esserci. Cioè che ha la forza invincibile di un’esperienza, senza limitarsi ad essere mera promessa.

L’amore tra Hannah Arendt e Martin Heidegger e l’incalzare della Storia

Non è facile per Hannah amare il suo professore; avere a che fare con la sua solitudine creatrice, che impone lunghe assenze per dedicarsi anima e corpo alla speculazione. Esperienza grandiosa e infame allo stesso tempo interrompere i rapporti in questi momenti, come lui stesso ammette -scusandosi- nelle lettere. Ma Hannah Arendt ha la sua vita da vivere e l’incalzare degli eventi, nella Germania nazista, la porterà a prendere commiato dal suo professore, con il quale i rapporti erano rimasti anche dopo il primo matrimonio di lei, fallimentare, con Günther Anders, mentre lui aveva proseguito con la sua vita di marito e padre di due figli.

L’ultima lettera del primo periodo data nell’inverno del 1932/33 quando Hannah chiede ragione delle “dicerie” sull’antisemitismo di Martin:

Le dicerie che ti inquietano sono calunnie, del tutto simili ad altre esperienze che mi sono toccate negli ultimi anni. Che difficilmente io abbia potuto escludere gli ebrei dagli inviti di istituto risulta dalla circostanza che negli ultimi quattro semestri non ho avuto nessun invito in istituto. Che poi io non saluti gli ebrei è una calunnia così maligna che me la ricorderò per il futuro.

Le accuse di antisemitismo ad Heidegger

Ci si immagina tutta l’inquietudine che ha portato la Arendt a chiedere lumi; trapela il sentore di una ferita aperta dal si dice, dal raccogliere voci sparse che stridono con quello che lei sa di Martin. Il carteggio riprende soltanto nel 1950. Hannah ormai vive e lavora in America ed è lei a mettersi in contatto per prima con Heidegger, il quale comincia la lettera che segna la ripresa dei rapporti, con queste parole:

Cara Hannah, sono lieto di avere l’occasione di proseguire adesso, in un periodo più tardo della vita, il nostro iniziale incontro come qualcosa che rimane.” E quello che rimane, scriverà più tardi Hannah in una lettera del 1967, “è dove si può dire: inizio e fine sono sempre ancora la stessa cosa.

Non se lo scriveranno mai esplicitamente cosa è rimasto di quel primo incontro. Sappiamo soltanto, attraverso le considerazioni filosofiche nelle lettere, che non di relazione si è trattato, ma di una vera e propria appartenenza.

Nel silenzio di ciò che non è scritto, azzardiamo che forse la memoria di quell’antico pudore, di quella grazia nell’essersi reciprocamente donati offrendosi l’un l’altro senza riserve, deve aver lasciato traccia come un’impronta pesante scolpita nella roccia degli eventi se è riuscita a resistere a dubbi, parole non dette e macerie di un odio che ha fatto scorrere troppo sangue.

La Hannah Arendt che ricuce i rapporti è una donna radicalmente diversa. Come scrive lei stessa in una lettera, dopo aver incontrato Martin, stavolta con la moglie Elfride, di cui possiamo immaginare – e non dobbiamo fare neppure un eccessivo sforzo, perché nelle lettere è accennato – il disappunto nel sapere quanto sia stata importante per il suo Martin:

Non mi sono mai sentita una donna tedesca, e ho smesso da molto tempo di sentirmi una donna ebrea. Mi sento quello che sono in realtà, una donna che viene da lontano.

Scriverà Heidegger più in là, quasi sfogandosi:

Per quali inferni deve ancora passare l’uomo, prima di riuscire a capire che non è lui a produrre se stesso?

Sanno entrambi che è lungo ogni sentiero che passa per la prossimità, come scrive il maturo professore in una poesia posta in calce ad una lettera alla Arendt.

E in effetti, si coglie appieno questa difficoltà: farsi vicini, almeno nel loro caso, ha avuto il drammatico significato dell’esperienza di una lunga e dolorosa lontananza. Chiaramente il tenore delle lettere, dal 1950 fino al sopraggiungere della morte della Arendt nel 1975, è diverso, così come sono diversi entrambi.

Adesso sono solo due filosofi di chiara fama e due persone che a fatica si stanno riprendendo dalla Storia a scriversi e nello scambio cordiale di pensieri e incoraggiamento reciproco per il proprio lavoro, sembra sopito quel quieto e profondo amarsi giovanile, pur rimasto custodito in qualche anfratto della memoria. Nonostante le parole scritte, il non detto è il protagonista assoluto di questa relazione nella maturità e per certi versi non sembra assurdo ritenere che lo sia stato anche nel primo periodo. Il non detto è il linguaggio del pudore (e della poesia, scrive Hannah Arendt in una lettera del 1967 a Martin, riprendendo Klopstock).

Cosa succeda dentro questo silenzio simbolico, regno assoluto dell’inesprimibile dove la parola – debole e parziale- non è ammessa a cittadinanza e il rischio di non riconoscersi resta alto, è difficile, appunto, dirlo.

 

Livia di Vona

‘Marianna Sirca’ di Grazia Deledda: una storia che brucia di passioni e che spezza le catene del pregiudizio

Marianna Sirca è un romanzo breve del 1915 di quella che è considerata la maestra del verismo romantico, ovvero Grazia Deledda, la cui opera venne subito apprezzata sia da Verga che da Capuana. La storia è incentrata su realtà storico/sociali del primo Novecento e ha per protagonista una giovane donna di origini umili, che diventa ricca grazie all’eredità di uno zio prete. Si innamora di Simone Sole un bandito nuorese povero ma dal carattere forte e deciso che deve saldare il proprio debito con la giustizia; i due decidono di sposarsi ma Marianna chiede a Simone di costituirsi e di scontare la sua pena. Quando tale segreto viene a galla, tutti sono contrari. La casa di Marianna Sirca è sorvegliata dai carabinieri ma Simone sparisce dalla circolazione per non farsi prendere e per non divenire oggetto di scherno da parte degli altri banditi. La ragazza, delusa, lo accusa pubblicamente di viltà e quando il giovane torna per chiederle di ritirare l’offesa, Marianna gli oppone un silenzio ostinato:

Si guardarono, come l’altra volta, in fondo all’anima: e sentivano d’essere un’altra volta pari, pari nell’orgoglio e nel dolore come lo erano stati nella servitù e nell’amore. «Marianna», egli disse, fermo davanti a lei, così vicino che le bagnava le vesti con le sue vesti bagnate, «tu hai detto per me una parola che devi ritirare.» Marianna lo guardava senza rispondere, stringendosi alla porta, decisa a non aprire anche se l’uomo avesse tentato di farle del male. «Rispondi, Marianna; perché non rispondi? Vedi che sono qui e che non sono un vile.» Ella sorrise lievemente, un poco beffarda, guardando lontano e intorno come per scrutare quali pericoli egli aveva attraversato: allora egli le afferrò i polsi, la tenne inchiodata alla porta, parlandole sul viso: «Rispondi! Perché hai detto che sono un vile? Ti ho fatto del male, io? Potevo fartene, quella sera, qui e poi in casa tua, e poi sempre, in qualunque posto, e anche adesso potrei fartene, e non lo faccio, lo vedi che non lo faccio. Lo vedi? Rispondi». Ella lo guardava di nuovo, con gli occhi socchiusi, la bocca stretta, il viso pallido ma fermo. «Tu non mi vuoi rispondere! Altre volte però mi hai risposto. Vile, a me? Che ti ho chiesto, io, perché sia un vile? Ti ho chiesto i tuoi denari, forse? La tua roba, ti ho chiesto? O ti ho chiesto la tua persona? Ti ho chiesto solo amore, e amore tu mi hai dato; ma anche io ti ho dato amore; siamo pari; ci siamo scambiati il cuore. Ma tu volevi di più, da me: volevi la mia libertà e questa non te la do, no, perdio, perché la devo ad altri, prima che a te, la devo a mia madre, a mio padre, alle mie sorelle… Vile, a me?», riprese rauco, delirante di rabbia per il silenzio di lei. «Eri tu che mi volevi vile; tu, che volevi farmi andare in carcere, tu che volevi legarmi a te come un cane al guinzaglio… Tu…» 

Un rapporto d’amore burrascoso, avventato e avversato che sfocia nell’incomprensione e scivola nella tragedia, quello tra Marianna Sirca e il suo Simone, ambientato tra i monti e i boschi aspri e selvaggi di una Sardegna arcaica e profondamente imbevuta dei valori religiosi e della cultura della società contadina. Un finale malinconico. Sono presenti e vivi i temi tipici della scrittrice sarda, ovvero quelli relativi al destino, alla sopraffazione, al dolore, alla morte, alla solitudine, e all’aspirazione alla felicità. Il tutto raccontato con uno stile narrativo leggero, semplice e ricco allo stesso tempo, dove l’autrice analizza soprattutto attraverso il dialogo e i personaggi di supporto (il padre, la domenica di Marianna), la psicologia dei protagonisti principali senza rinunciare a meravigliose descrizioni della sua terra, della natura che è parte integrande del romanzo della Deledda. I cuori dei protagonisti così come le lande silenziose del nuorese, percosse dai gelidi venti invernali ed imbiancate da candida neve, sono solitari. In questo modo viene a crearsi un flusso di immagini ed eventi in stretta simbiosi.
Con Marianna Sirca Grazia Deledda conferma le sue doti narrative raccontando una storia che brucia di passioni, che anela gioia, che spezza le catene del pregiudizio verso certa umanità, che tratta di un territorio ruvido, difficile e percorso da forti contrasti, di pennellate cromatiche intense, di sensazioni olfattivi molto forti che si confondono con gli struggimenti emotivi e gli immancabili colpi di coda del fato.

‘Capogiro’ di Arnaldo Frateili: quando il bisogno d’amore è affanno sentimentale

Con il romanzo Capogiro, lo scrittore, poeta, giornalista, critico teatrale e cinematografico, Arnaldo Frateili si mette in fila nella piccola ma armata pattuglia dei critici-narratori, volendo inventare un personaggio da romanzo caratterizzato da abulia. Tuttavia sarebbe più opportuno parlare di velleità intesa come impulso che deraglia, bisogno di felicità e di bontà, ma incapacità di conseguirla. In questo senso Benedetto, il protagonista di Capogiro, è un semi-abulico, un velleista sui generis, in quanto si distingui da altri personaggi abulici del Novecento per una personale sofferenza e per un oscuro bisogno di felicità e desiderio di dolcezza e perché, se la sua vita è eticamente fiacca, egli cerca almeno di consolarla con l’amore e all’amore chiede un momento di pienezza. Benedetto dunque non crede che all’amore e solo per questo egli tradisce la moglie con una ragazza priva dei vecchi freni morali, anche lei bisognosa di un amore che le sollevi i sensi ad una sorta di incanto sensuale e sentimentale.

Lo stile penetrante di Frateili

Benedetto è un professore di scuola media, ma questo non è che un dato esterno nel romanzo e vale solo ad indicare che egli è un uomo di cultura, con qualche raffinatezza mentale, Ha sposato una ragazza del vicinato, la figlia di un borghese che si chiama Innocenza che ha dato al marito due figli, Lauretta e Gino, il quale ad un certo punto del romanzo muore. E questa morte è una delle tante cose delicate e umane di Capogiro. Benedetto si innamora poi d una ragazza, Alina, coetanea di sua figlia Lauretta ma nell’amore che egli prova per lei, è come sospinto per caso, principalmente perché il suo cuore è vacante e ha bisogno di qualcosa che neppure lui sa cosa sia: tenerezza, desiderio di sogno, anelito ad una vita schietta ed intensa. Con la moglie non si sono capiti, sono ormai indifferenti, vivono lontani, sebbene sotto lo stesso tetto. Alina si innamora segretamente del professore, ma questo sentimento si rivela ad un tratto, provocato da un fortuito incidente e con quell’improvvisa veemenza e quasi follia che questi amori solitari svegliano nelle fanciulle.

Con Capogiro Frateili ha avuto la mano felice nel muovere, nelle prime scene del romanzo, dei sentimenti e nel collocarne  e suggerirne altri, di Benedetto, di Innocenza e di altre figure minori, servendosi di una tecnica a sezioni, di evidente derivazione cinematografica. Più in là Frateili abbandonerà questa tecnica, restringendo l’interesse del romanzo quasi tutto nell’amore di Benedetto e di Alina. Il titolo Capogiro probabilmente è stato scelto dall’autore proprio in virtù dello stato dominante del protagonista: quel turbamento dei sensi e dell’anima vorticoso ed improvviso che in un uomo di quarant’anni può provocare un amore tardivo ma che sia il solo vero ed intenso. Benedetto è colpito da questa specie di amore e ne patisce tutte le torbide vicende e le ingenue esaltazioni. Ma egli non è un puro sensuale, della propria sensualità si vergogna, quando ne sente l’impulso, ma non se ne può liberare, aspira a spirituali unioni ma ricade nel senso e si tormenta tra opposte forze che non sa dominare; e in questo gioco, si svolge tra situazioni e scene non tutte ugualmente felici, il suo amore per Alina.

Tuttavia la situazione di crisi psicologica di Benedetto non assume un tono drammatico; un vero e proprio conflitto etico egli non lo raggiunge; la sua crisi è, più che una malattia, uno stato influenzale, un affanno di sensi con risoluzioni patetiche e improvvise disperazioni. Anche le visioni di paesaggio e di campagna, spesso immediate e fresche, che Frateili descrive, con uno stile pastoso e penetrante, sono piuttosto descrizioni a sé, staccate dallo stato d’animo del protagonista. Ma una bella scena, forse quella in cui vibra un polso più forte è l’episodio della clinica: le parole di Innocenza quando scende falla sala operatoria in barella, l ostato d’animo sconvolto di Benedetto, il presentimento di Lauretta, costituiscono un punto culminate in Capogiro, un punto di luce.

Per un momento si pensa che il cuore di Benedetto, attraverso questa prova, si riavvicini alla sua donna silenziosa e sofferente in segreto e potrebbe rappresentare l’inizio di una risoluzione, ma Frateili ha tenuto la scena nel suo limite episodico, senza farne la chiave di volta di una risoluzione della crisi di Benedetto, che sarebbe forse stata una banale risoluzione. Attraverso Capogiro, come in uno spaccato, è possibile scorgere l’intimità di una famiglia borghese di oggi, sebbene non sia una famiglia tipica, dipinta da Frateili senza preconcetti moralistici.

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