La non riforma delle forze dell’ordine italiane-l’abolizione del Corpo Forestale

Tra le tante semplificazioni tentate dal governo Renzi, ce n’è una che sicuramente è tra le peggiori, anche se tra le meno denunciate, a causa del solito disinteresse italiano, che si traduce in vera e propria ignoranza per i dettagli. Si sta parlando del capitolo della riforma della Pubblica Amministrazione a firma del ministro Marianna Madia (ma diciamo a firma Renzi) riguardante l’abolizione del Corpo forestale dello Stato (CfS) come corpo a sé stante, per essere invece inglobato in quello dei carabinieri.

In occasione di tragedie come quella causata ultimamente dalla neve all’hotel Rigopiano e in tutta l’Italia centrale – ammesso che la colpa poi sia stata effettivamente della sola neve e non delle imprudenze e inefficienze umane – si è riacceso il dibattito sull’opportunità o meno di una tale riforma. Ovviamente che i forestali diventino carabinieri, non vuol dire che non sappiano più fare i forestali, ma che svolgono tale compito con la divisa dei carabinieri, invece che con quella verde dei forestali. Fin qui la cosa non cambia, non migliora e probabilmente non peggiora.

Solo fin qui però. Il punto è chiedersi se tale riforma sia inserita in un contesto che le dia un senso un po’ più marcato di quello del fare una riforma che non cambia nulla, né in peggio, né in meglio, perché se così fosse, perché allora farla? La risposta è semplice: il contesto di ulteriori riforme razionalizzanti e semplificative del sistema delle forze di sicurezza italiane non è stato veramente compiuto, ma era necessario, in tipico stile renziano, far invece apparire che la riforma ci fosse, quindi quale corpo abolire? Il più “facile” da eliminare, più facile perché è un corpo di valore numerico abbastanza limitato (7-8000 elementi a livello nazionale), e sicuramente meno conosciuto rispetto a carabinieri o guardia di finanza. Non c’è solo questo però. I carabinieri ottengono la gestione dei reati di competenza del Corpo forestale dello Stato, non tramite i nuovi carabinieri ex forestali, ma tramite il proprio personale. Già, perché gli ex forestali devono scegliere se diventare militari come i carabinieri e riempire buchi di organico o andare in mobilità e poi lasciare.

Oggi si assiste invece all’infondato dibattito per cui è stata l’assenza della forestale a rendere più difficili i soccorsi al Rigopiano e dintorni appenninici, ma appunto i forestali esistono ancora, anche se ora si chiamano carabinieri. Dunque che cosa si sarebbe dovuto semplificare per avere un effettiva semplificazione e maggiore efficienza nei soccorsi?

Innanzitutto polizia e carabinieri, di fatto, svolgono la medesima funzione di ordine pubblico. I carabinieri sono anche altro, sono una forza armata, ma perché una forza armata ha una seconda natura che è quella di tutela della pubblica sicurezza, quando esiste già la polizia? Chi ad esempio vuole fare una denuncia, poniamo contro ignoti, può andare tanto in un commissariato di polizia che in uno dei carabinieri. Cosa cambia? Niente. Anzi no, cambia che si pagano due strutture per gli uffici, quindi doppi comandi, come a dire due teste che comandano un solo corpo (ordine pubblico). Poi abbiamo la guardia di finanza, che si occupa soprattutto di reati fiscali e finanziari. Ottimo, ma essendo comunque reati non basterebbe inglobare la guardia di finanza nella polizia ed eliminare un ennesimo costo di uffici per un ulteriore comando a sé stante?

Per venire infine ai forestali, sono stati aboliti per i motivi che dovrebbero valere altrettanto bene per l’abolizione dei carabinieri e guardia di finanzia, per poi inglobarli dentro la polizia. Soprattutto si sarebbero potuti abolire i corpi di forestali regionali presenti in Italia. Ecco un’altra tipica sorpresa da sistema marcio:il CfS non può coprire le regioni a statuto speciale (Valle d’Aosta, TrentinoAlto Adige/province di Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna), ma non solo, anche le regioni a statuto ordinario hanno i loro forestali regionali meno formati del corpo nazionale (quelli calabresi sono5.887!).Si si vuole semplificare si possono togliere le prerogative delle regioni a statuto speciale in tema di tutela ambientale con una vera riforma costituzionale di un singolo e semplice articolo che faccia subentrare il CfS. Perché poi esistono anche i corpi forestali regionali ordinari? Sono uno dei tanti postifici per raccomandati, che sarebbero altrimenti senza futuro.

In conclusione si poteva scegliere di accorpare anche polizia e carabinieri, o polizia e guardia di finanza, abolire i forestali regionali, invece… meglio accorpare solo il Corpo forestale dello Stato. E queste sono riforme?

Referendum 17 aprile: perché votare sì

In prossimità del Referendum di domenica 17 aprile, per il quale i cittadini sono chiamati a decidere se le piattaforme che si trovano entro 12 miglia dalla costa possono o meno continuare a estrarre idrocarburi fino a quando i giacimenti saranno attivi, o se dovranno chiudere quando scadranno le loro concessioni, abbiamo chiesto di esporre le ragioni del votare sì a questo Referendum all’avvocato Franco Gisi, candidato M5S alle amministrative della città di Benevento. Di seguito le sue parole:

 

<<L’appuntamento referendario del 17 aprile ha assunto negli ultimi giorni un’importanza che va ben oltre il quesito posto. Da giurista, e per onestà intellettuale, mi corre l’obbligo di chiarire che il popolo italiano non è chiamato ad esprimere la sua volontà circa la possibilità o meno da parte dello Stato di consentire che si proceda ad estrarre petrolio o altri idrocarburi sul nostro territorio. Infatti, il voto riguarda l’abolizione o meno di una norma che permette la proroga automatica delle concessioni di estrazione in mare mediante piattaforme, entro le dodici miglia dalla costa, sino ad esaurimento del giacimento e senza obbligo di smantellamento e bonifica. Ciò che i proponenti del referendum vogliono, invece, è che tali concessioni allo scadere dei dieci anni cessino a prescindere dalla possibilità di ulteriore sfruttamento, lasciando alla regioni interessate la possibilità di decidere in merito al loro rinnovo. Per ulteriore chiarezza, le piattaforme non estraggono mediante trivellazione, non è possibile farlo nei fondali marini, ma ciò non vuol dire che esse non rappresentino un pericolo costante per l’equilibrio degli ecosistemi interessati, oltre all’indubbio impatto negativo per il comparto turistico di regioni che sulla bellezza paesaggistica e sulla cristallinità dei propri mari fondano un’intera economia. Allora, innanzitutto l’invito è quello di andare a votare qualunque sia il voto che si vuole esprimere. Il diritto al voto è la più alta conquista democratica che i popoli della terra hanno raggiunto, spesso con ingenti tributi di sangue, non lasciamo che la rassegnazione, la sfiducia o il disinteresse, ci riportino indietro di secoli ad un esercizio feudale del potere.

Veniamo ora alle ragioni che sostengono il “SI”. La prima , e forse la più importante, è politica nella accezione più nobile del termine. Un “SI” che a prescindere dal quesito così tecnico, vuole esprimere un primo e deciso “no” alla politica energetica perseguita dall’attuale governo. Una politica anacronistica in contrasto con le direttive europee (vedasi HORIZON 2020), in assoluta controtendenza con tutti gli altri paesi occidentali, tra cui anche gli Stati Uniti. Perfino i paesi arabi stanno investendo notevoli risorse nella ricerca e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, il caso più eclatante è quello di Masdar, questo il link per chi volesse approfondire http://www.gruppohera.it/gruppo/com_media/dossier_smartcities/articoli/pagina37.html.

Altra ragione è che l’industria estrattiva non comporta per il nostro paese nessun vantaggio di carattere economico sia in termini occupazionali che di rendimento puro. Ad esempio il maxi-progetto Ombrina mare, se fosse stato portato a termine, avrebbe creato appena 24 posti di lavoro. Il petrolio estratto, quasi sempre da compagnie estere, può essere per il 90/93% portato via e venduto altrove, oppure rivenduto allo Stato italiano che ha regalato la concessione alle aziende. Si perché dette concessioni sono un vero e proprio regalo in quanto le royalties in Italia sono pari solo al 10% per il gas e al 7% per il petrolio in mare. Sono inoltre esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare: cioè, entro quei limiti è tutto gratis. Il risultato? Nel 2015 su un totale di 26 concessioni produttive solo 5 di quelle a gas e 4 a petrolio, hanno pagato le royalties. Tutte le altre hanno estratto quantitativi tali da rimanere sotto la franchigia e quindi non versare il pagamento a Stato, Regioni e Comuni.

Alla spontanea domanda del perché il nostro governo si ostini a perseguire tale politica energetica, risponde la recente cronaca giudiziariache ha portato alle dimissioni del Ministro per lo sviluppo economico Federica Guidi. In pratica il governo italiano si sta comportando alla stessa stregua di quei dittatori africani che, per mero tornaconto personale, hanno consentito alle multinazionali estere lo sfruttamento indiscriminato delle risorse dei loro paesi, impedendone la crescita e lo sviluppo.

Concludo, invitando tutti i lettori a recarsi alle urne il 17 aprile per affermare un risveglio coscienziale, con un “SI”, il cui primo significato è quello di affermare una volontà decisionale sul futuro del nostro paese. Questo è il primo passo, il secondo ci sarà ad ottobre e chiarirò in un prossimo articolo il perché>>.

Avv. Franco Gisi

Nicola Gratteri, “La malapianta”

Nicola Gratteri

La forza della mafia è direttamente proporzionale alla fragilità e all’incapacità delle istituzioni; questo  lapidario concetto emerge dalla lettura del libro- conversazione con Antonio Nicaso (tra i massimi esperti di ‘Ndrangheta al mondo e storico delle organizzazioni criminali), “La malapianta” del magistrato calabrese antimafia Nicola Gratteri (Gerace, 22 luglio 1958).

Tra i magistrati più conosciuti della DDA, Gratteri è   in prima linea nella dura lotta alla ‘Ndrangheta, la criminalità organizzata calabrese, e per questo vive sotto scorta dal 1989; nel 2009 è stato nominato procuratore aggiunto della Repubblica. Solo un mese fa, per il nuovo Governo Renzi, si  era fatto con  una certa  insistenza il suo nome per la carica di Ministro della Giustizia che però alla fine è stata affidata ad Andrea Orlando.

Già con “Fratelli di sangue”  e “La mafia fa schifo”, Gratteri aveva dato prova di particolare cura e meticolosità per quanto riguarda l’aspetto storico-geografico della criminalità organizzata calabrese, una vera e propria mappa antropologica che scava dentro l’animo e la mentalità dei mafiosi; ne “La malapianta”il magistrato prosegue  la sua indagine su questo fenomeno fondato su  liturgie, alleanze di potere, rapporti massonici, religiosità, onore, codici “morali” ma concentrandosi soprattutto sulla portata internazionale della ‘Ndrangheta e sul  rapporto perverso che intercorre tra  quest’ultima e la politica corrotta.

Gratteri approfondisce la sua inchiesta partendo da un’amara constatazione: la mafia è l’organizzazione più potente al mondo grazie al suo  poderoso controllo su quasi tutta la cocaina d’Europa, e prosegue razionalmente e analiticamente fornendoci dati impressionanti come si legge nella sinossi del libro: la ‘Ndrangheta fattura annualmente  44 miliardi di euro, il 2,9% del prodotto interno lordo. Il “core business” è rappresentato dal traffico di droga : un ricavo di 27.240 milioni di euro all’anno, il 55% in più rispetto al ricavo annuo della Finmeccanica, il gigante dell’industria italiana. A questa spettacolare espansione fa da triste  contraltare il degrado sociale e ambientale della Calabria, prigioniera di una criminalità che la opprime, ne sfrutta famelicamente ogni risorsa e poi l’abbandona impietosamente al suo destino. La crescita e la fortuna di questa malapianta viene raccontata attraverso temi ed eventi cruciali: dalle lontane origini alla stagione dei sequestri di persona, all’espansione sul territorio italiano e all’estero; dalle collusioni con la politica alla conquista della leadership nel traffico di droga, alle vicende dei rifiuti tossici.

La famiglia e soprattutto le donne che fomentano la collera dei loro uomini  rappresentano la scorza durissima dell’organizzazione criminale calabrese, di questa malapianta resa fertile negli anni dalle purtroppo famose e lontane stagioni di sequestri di persona, dalla capillare espansione in Italia e all’estero (non a caso i mafiosi si definiscono degli “imprenditori”), di infiltrazioni negli appalti, e ovviamente di collusioni con la politica, considerata purtroppo una mafia istituzionale, l’altra faccia della “piovra”.

fratelli di sangue

Momento cruciale  è stato senza dubbio la strage di Duisburg, la ‘Ndrangheta ha attirato su di sè i riflettori di tutto il mondo, alla domanda di Gratteri su chi avesse deciso che bisognava smetterla con quella faida che si era protratta sino in Germania, Nicaso risponde: <<Dopo la strage i boss più importanti della ‘Ndrangheta si sono riuniti a Polsi, in occasione della festa della Madonna della Montagna. Da un’indagine a Seminara, siamo venuti a sapere della presenza a Polsi, in qualità di pacieri, delle famgle Alvaro e Gioffrè. Da sms inviati da persone oggetto di indagini a San Luca abbiamo avuto conferma della pace che era stata siglata dai clan coinvolti nella faida.Gente che prima aveva paura di mettere il naso fuori dall’uscio ha cominciato a farsi vedere in giro, senza timore di essere ammazzato>>.

L’ aspetto che  più di tutti  colpisce e scuote le nostre coscienze, a parte, naturalmente, quello umano e  personale  del grande magistrato quando si racconta alla giornalista Paola Ciccioli, è la citazione letteraria con cui Gratteri spiega  cos’è la mafia, e che non deve essere combattuta, come sosteneva anche Sciascia, sulla scia dell’emotività, quando siamo davanti ad una tragedia e, a quel punto, non si può fare a meno di intervenire (la politica ha fatto questo).  Ne riportiamo un passo:

La ‘Ndrangheta raccoglie in sè la religione della famiglia, espressa chiaramente ne “I Malavoglia” di Verga, che è sempre stata al centro del modo di essere del calabrese, come del siciliano. Ciò che conta è il legame di sangue, il senso del clan familiare. Come ha scritto Silvia di Lorenzo, “lo Stato è un padre nemico e castrato, di fronte alla Madre.mafia fallica e onnipotente, i cui figli non riconoscono il diritto, ma il legame di sangue, non la legge paterna, impersonale e uguale per tutti, ma la fedeltà di stampo materno […].”

E in Italia i diritti sono stati trasformati in favori , sistema che ci contraddistingue dalla società mitteleuropea..tutto torna, purtroppo.

Nicola Gratteri combatte ogni giorno questa guerra, tra miti da sfatare,uno su tutti il famigerato codice d’onore che vuole che bambini e donne siano intoccabili, (ma la mafia non guarda in faccia a nessuno, in realtà) e clientelismo, non ha mai voluto lasciare la sua terra, e in questo libro è riuscito a trovare parole di speranza e di amore per la parte onesta e bella della sua terra. L’uomo che al telefono invece di rispondere “Pronto?” risponde “Chi è?”, e questo la dice lunga sulla sua storia personale, che ha sempre odiato i prepotenti, che non si è mai pentito della sua scelta, afferma con fermezza la necessità di lottare contro questo fenomeno con forti mezzi: il carcere duro, la confisca dei beni, l’impegno delle istituzioni, la riapertura dei penitenziari sulle isole di Pianosa, Favignana, l’Asinara, Gorgona, chiusi dopo le stragi di Palermo, migliorare l’attuale legislazione antimafia.

 

 

 

 

 

 

 

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