Elio Vittorini, traduttore creativo

Wiliam Saroyan, scrittore e drammaturgo statunitense, verso la fine degli anni ’40, fece un viaggio in Italia e decise di andare a trovare Elio Vittorini, che oltre ad essere conosciuto come scrittore era già noto come traduttore di romanzi. Le cronache dell’epoca raccontano che durante il loro incontro, i due furono costretti a colloquiare attraverso l’uso di bigliettini, in quanto Vittorini, non era in grado di parlare l’inglese, pur conoscendone la forma scritta. Tale incapacità è stata rimarcata anche da alcune affermazioni della moglie, Rosa Quasimodo:

La signora Rodanachi (una traduttrice che gli fu presentata da Montale) faceva a Elio la traduzione letterale, parola per parola, che al leggerla non si capiva niente. Lui, poi, a quelle parole dava forma. Sua era la costruzione, l’invenzione; non si legava a quelle parole fredde. Lui raccomandava sempre a lei di fare la traduzione letterale, precisa, […] frase per frase. E poi lui la trasformava in un romanzo. Erano romanzi suoi che traduceva.” (dal Corriere della Sera.it, forum scioglilingua)

Questo limite non ha impedito a Vittorini di diventare il più importante traduttore delle opere dei narratori americani e di portare gran parte della letteratura statunitense nel nostro Paese, in un momento storico in cui il fascismo ostacolava l’espandersi di quelle culture che provenivano da parte di Stati che erano considerati spregiativamente come demoplutocrazie, (ovvero dei regimi  in cui coloro che detengono la ricchezza mobiliare, banche, possiedono anche un peso politico specifico con il quale perseguono i propri interessi personali, camuffandoli per scelte effettuate per il benessere del popolo; in sostanza una plutocrazia che si traveste da democrazia).

Nato a Siracusa nel 1907, Elio Vittorini, scrittore e curatore editoriale, dopo la Liberazione dirige a Milano la rivista il <<Politecnico>> (1945-47), di stampo comunista. Tra i suoi incarichi più importanti : la direzione della collezione letteraria i “Getton”i presso Einaudi, la collezione Medusa della casa editrice Mondadori, e infine, la guida insieme ad Italo Calvino della rivista il <<Menabò>>, edita sempre da Einaudi.

Nonostante Vittorini sia conosciuto come scrittore (Uomini e no (1945), Le donne di Messina (1949), Le Città del mondo, publicato postumo 1969), egli è sempre stato particolatamente attratto dalla letteratura americana, per tale ragione nonostante conoscesse bene la lingua francese, negli anni ‘30 decide di cimentarsi come traduttore dall’inglese all’italiano. La sua attenzione è fortemente polarizzata verso la tecnica narrativa dei romanzieri a lui contemporanei, e dopo alcune sporadiche recensioni, inizia ad occuparsi, con costanza, di letteratura nordamericana, scrivendo alcuni articoli su Faulkner, seguito successivamente da un attento studio su E.A. Poe. Il lavoro da traduttore  lo porta alla conoscenza approfondita dei testi di molti scrittori, come Faulkner, Caldwell, Steinbeck. Uno dei suoi autori preferiti rimane Hemingway con il quale instaura un’amichevole corrispondenza, cosa che alla lunga indurrà lo stesso Hemingway a scrivere la prefazione di Conversazione in Sicilia, per la versione americana.

In Italia, quindi, dal 1930 al 1940 si da vita al “decennio delle traduzioni”, come è stato definito da Cesare Pavese, un lasso di tempo di tempo durante il quale un gruppo di intellettuali veicolano l’ingresso nel nostro Paese, di gran parte della letteratura americana, con l’intento di diffonderla e di riempire quel vuoto culturale che si era creato a causa del dominio fascista.

C’è da dire che, nonostante Vittorini sia stato particolarmente affascinato dagli USA, non ha mai visto da vicino quei luoghi che nel suo immaginario rappresentano una terra  ancora inesplorata e pura. La mancanza di un approccio diretto alle usanze statunitensi e l’aver imparato la lingua inglese da autodidatta, hanno conferito alle sue traduzioni una sorta di voluta imprecisione. I suoi lavori vengono marchiati come infedeli, delineati da un’ approssimazione che va ben oltre il naturale allontanamento dal testo originale, tant’è che alcuni critici negano il valore di traduzioni ai suoi scritti “in quanto si opera un lavoro di acquisizione creativa, che cerca di riplasmare il testo” (Gorlier). Si potrebbe definirle vere e proprie riscritture, considerato le numerose omissioni, aggiunte, interpolazioni, presenti all’interno delle sue trasposizioni. Sostanzialmente Vittorini non può essere considerato un traduttore in senso stretto, in quanto le sue traduzioni sono finalizzate ad esprimere la propria estetica, la prosa, e perché no, anche la visione che egli ha del mondo. Tutto ciò è confermato dallo stesso autore in alcune lettere a Enrico Falqui:

Riguardo agli americani io non rinnego affatto la loro influenza: so che traducendoli ho ricevuto grande aiuto nella formazione del mio linguaggio. Ma allo stesso tempo so di averli tradotti in un mio linguaggio: non preesistente e non fisso; bensì in evoluzione.

Rispetto a Pavese, che del testo originale traspone alcuni termini stranieri, rendendo la traduzione meno familiare per i lettori, Vittorini opera esattamente al contrario: lima al massimo le differenze culturali, cosicché il messaggio sia più fruibile. D’altronde è la prima volta che in Italia ci si avvicina ad autori del calibro di Steinbeck o Hemingway  e probabilmente l’attenzione di Vittorini verso la contestualizzazione di tale opere, estraniandole dalla cultura di partenza e adattandole, invece, alla cultura di arrivo, risulta in fin dei conti una strategia vincente, visto il successo che questi scrittori hanno ottenuto nel nostro Paese.

Italo Calvino: realista visionario?

Il barone rampante

Italo Calvino nasce nel 1923 a Santiago de Las VegasCuba, dove i genitori, una naturalista e un agronomo, dirigono una scuola di agraria e un centro sperimentale di agricoltura. Nel 1925 la famiglia Calvino si trasferisce a Sanremo, dove lo scrittore trascorrerà l’infanzia e l’adolescenza. Nel 1941 poi avviene lo spostameno a Torino, dove decide di  iscriversi alla Facoltà di Agraria: in questo periodo inizia a comporre i primi racconti, poesie e testi teatrali.

Nel 1943, per evitare di essere arruolato nell’esercito di Salò dopo l’8 settembre, decide di entrare nella brigata comunista Garibaldi. Da quel momento inizia la sua gioventù nella Resistenza. L’ambiente culturale di Torino, che Calvino frequenta assiduamente, ed i fermenti politici di contrapposizione al regime, fondono in lui letteratura e politica. Grazie all’amicizia ed ai suggerimenti di Eugenio Scalfari (già suo compagno al liceo), focalizza i suoi interessi sugli aspetti etici e sociali che coltiva nelle letture di Montale, Vittorini, Pisacane. Nel 1943 si trasferisce alla facoltà di Agraria e Forestale di Firenze, dove sostiene pochi esami. Calvino aderisce assieme al fratello Floriano alla seconda divisione d’assalto partigiana “Garibaldi”:   si definirà un anarchico, ma in quegli anni di clandestinità impara ad ammirare gli esiti positivi dell’organizzazione partigiana comunista. Il 17 marzo 1945, quando ormai gli alleati sono in Italia, Calvino è protagonista attivo nella battaglia di Baiardo, una delle ultime battaglie partigiane. Ricorderà l’evento nel racconto “Ricordo di una battaglia”, scritto nel 1974. L’esperienza partigiana sarà alla base del suo primo romanzo, “Il sentiero dei nidi di ragno” e della raccolta di racconti “Ultimo viene il corvo”.

Nel 1945, dopo la guerra, Calvino lascia la Facoltà di Agraria e si iscrive a Lettere. Nello stesso anno aderisce al PCI.IN questi anni inizia a collaborare con il quotidiano “l’Unità” e con la rivista“Il Politecnico” di Elio Vittorini. Nello stesso periodo  si afferma la casa editrice torinese Einaudi(fondata nel ‘33 da Giulio Einaudi) con famosi collaboratori e consulenti, tra cui Pavese eVittorini.
Su suggerimento di Cesare Pavese, conosciuto ormai già diversi anni prima, viene pubblicato nel 1947 il suo  primo romanzo , “Il  Sentiero dei nidi di ragno” e la successiva raccolta di racconti “Ultimo viene il corvo” (1949).

In questo periodo la vita dello scrittore cubano viene scossa profondamente dal dramma del suicidio dell’amico Cesare Pavese, nell’agosto del 1950: in varie lettere e scritti, Calvino mostrerà di non sapersi mai dar pace per non aver intuito il profondo disagio di uno dei suoi primi e più cari amici.

Nel 1952 viene pubblicato “Il visconte dimezzato” – il primo della trilogia “I nostri antenati” –  nella collana Einaudi “I gettoni”, diretta da Vittorini. Si assiste ora al diverso stile di Calvino, che si fa più fiabesco e allegorico, confrontandolo con il precedente stampo neo realista.
Nel 1956 vengono pubblicate le “Fiabe italiane”, un progetto di raccolta, sistemazione e traduzione di racconti della tradizione italiana popolare. Nel ‘57 lascia il PCI, dopo l’invasione da parte sovietica dell’Ungheria.

In questi anni scrive diversi saggi, tra i più importanti “Il midollo del leone” (1955), sul rapporto tra letteratura e realtà. Collabora con diverse riviste, tra cui “Officina”, la rivista fondata da Pier Paolo Pasolini, e dirige con Vittorini la rivista “Menabò”. Il suo nuovo stile, quasi visionario, che sarà destinato ad aprire altre nuove strade nella letteratura italiana, vede la luce anche con i suoi più celebri romanzi, scritti in questo periodo:”Il  Barone rampante” (1957), “Il Cavaliere inesistente” (1959), che completano la trilogia cominciata nel ’52 con “Il visconte dimezzato”.

Nel 1962 conosce una traduttrice argentina Esther Judith Singer con cui si sposa nel 1964 e con la quale si trasferisce a Parigi nello stesso anno. Nel 1963 pubblica “La giornata di uno scrutatore”, romanzo che lo riporterà a scenari neo realisti. In questi anni Calvino mostra interesse per il neo nato gruppo di Intellettuali “Officina 63”, ma non ne aderisce, non condividendone infatti l’impostazione di fondo.
Sempre nel 1963 esce, nella collana einaudiana “Libri per ragazzi”, “Marcovaldo ovvero le stagioni in città”, una serie di racconti incentrati sulla figura di Marcovaldo: qui si instaura la più importante riflessione che Calvino opera sui rapporti tra uomo e tempi moderni.
Nel 1966 perde  un altro amico, nonché figura determinante per la sua formazione: Elio Vittorini. Gli dedicherà il saggio “Vittorini: progettazione e letteratura”, in cui traccia nel saggio il pensiero d’un intellettuale aperto e fiducioso, in dissonanza col pessimismo letterario di quegli anni, della decadenza e della crisi.

A Parigi entra in contatto con lo strutturalismo e la semiologia di Roland Barthes: l’attenzione che questa scuola critica rivolge a come sono strutturati e “costruiti” tutti i testi letterari si rivelerà decisiva decisivi per lo sviluppo della narrativa calviniana, soprattutto negli anni Settanta.
Calvino in questo periodo costruisce il suo apparato “filosofico”, anche grazie alle frequentazioni con movimento OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle, Laboratorio di letteratura potenziale), in cui è presente anche Raymond Queneau, autore de “I fiori blu” e degli “Esercizi di stile”.

Questi incontri e influenze propizieranno il “periodo combinatorio” dell’autore, in cui si mostrerà strettamente dipendente dalla riflessione strutturalista sulle forme e le finalità della narrazione. Infatti da questo periodo escono fuori,  nel 1965 “Le cosmicomiche” e nel 1967 “Ti con zero”, una serie di racconti “fantascientifici” e paradossali sull’universo; nel 1972 pubblica poi uno dei suoi romanzi più celebri,  “Le città invisibili” e nel 1973 “Il castello dei destini incrociati”, racconti basati appunto sul gioco combinatorio e sulla sperimentazione linguistica, aprendo cosi nuovi e inesplorati campi.

Nel 1979 è la volta di “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, un metaromanzo (e cioè un romanzo sul romanzo stesso): nessuno mai aveva realizzato una cosa del genere, almeno non in Italia e non nel modo in cui lo fa Calvino.

. Nel 1983 pubblica i racconti di “Palomar”, che altro non sono che una rielaborazione narrativa di alcuni suoi articoli pubblicati in quegli anni su “Repubblica” e il “Corriere”, in cui il protagonista, un uomo di nome Palomar, con le osservazioni sul mondo porta il lettore a riflettere sull’esistenza umana e sul valore della parola. Nel 1984 lascia, dopo quasi quarant’anni,  la Einaudi e passa a Garzanti, presso cui pubblica “Collezione di sabbia”.

Nel 1985 viene invitato dall’università di Harvard a tenere una serie di conferenze. Inizia così a preparare le sue lezioni, ma viene colto da un ictus nella sua casa a Roccamare,presso Castiglione della Pescaia. Muore pochi giorni dopo a Siena. I testi vengono pubblicati postumi nel 1988 con il titolo “Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio”. In ogni lezione Calvino riflette sui valori programmatici della letteratura futura partendo da quelli per lui cruciali e determinanti: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e l’ultima, solo progettata, Consistenza.

Oltre alle “Lezioni americane” escono postumi anche i seguenti tre volumi “Sotto il sole giaguaro”, “La strada di San Giovanni”, “Prima che tu dica pronto”.

 Il contributo di  Italo Calvino alla letteratura italiana, e forse mondiale, risulta innegabile: da molti è stato riconosciuto infatti come uno dei grandi innovatori, capace di combinare influenze, trame, visioni, per giungere a nuove concezioni della letteratura, soprattutto per quanto riguarda il rapporto dell’uomo alla luce dei tempi in cui vive, evidenziandone disagi, drammi, a volte anche felicità e comportamenti visionari.

Quello che colpisce maggiormente  della sua  vita letteraria, è la straordinaria  abilità di essersi espresso sia in termini strettamente legati all’uomo, sia  alle sperimentazioni sulla narrazione,  a vere e proprie “visioni” sull’universo e sulla nascita della vita, al limite tra il metaforico, il fantastico e l’ironico.

Alcuni definiscono i suoi romanzi come i primi romanzi “d’avanguardia”: dare questo tipo di etichette, soprattutto quando ci si riferisce a certi pilastri del pensiero letterario, può essere, oltre che riduttivo, anche poco pertinente. Meglio, forse, considerare Calvino soprattutto per quello che ha rappresentato nelle generazioni di scrittori successivi, le influenze che oggi risultano a lui innegabilmente riconducibili: in questo modo non si correrà il rischio di restringere il campo dell’esistenza di un autore, che, probabilmente è e sarà, senza tempo.

  

 

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