Enzo Biagi intervista Fantozzi, che ormai lo ha raggiunto, sul libro ‘Avanti’ di Renzi

Titolo della puntata di Biagi: Scrivere un libro fa di Renzi uno scrittore? Ospite il ragionier Ugo Fantozzi

Biagi: Fantozzi si segghi la prego.
Fantozzi: Chi? Ioooo?
Biagi: Sì lei Fantocci, venghi, non temi nulla, avanti.
Fantozzi: Allora mi sedio, segghio, siedo.
Biagi: Bene, allora, io sono Enzo Biagi.
Fantozzi: Megacapo direttore di qualcosa?
Biagi: Di nulla, volevo commentare con lei questo nuovo scrittore, Renzi, pubblicherà Avanti.
Fantozzi si alza.
Biagi: Ma che fa, Fantocci? Si segghi, la prego.
Fantozzi: No, vado avanti mi ha detto, no, mi sedio di nuovo allora.
Biagi: Lei lo conosce l’autore?
Fantozzi: Chi?
Biagi: Renzi.

Fantozzi: Pina aiutami ti prego.
Filini interviene: Ma certo che lo conosce, glielo dica ragioniere.
Fantozzi: Ma Ingegner Filini non mi metti in mezzo, la prego.
Filini: Ma su, avanti, glielo dichi, certo che lo conosce, e l’ha sempre votato.
Biagi fa una faccia…
Fantozzi: Votato? No no.
Biagi continua a fare una faccia…
Fantozzi: Allora sì… – poi si arrende – non mi guardi così, la prego.
Biagi: Su Fantocci, mi dica cosa pensa di Renzi. Lei è stato scrittore, Fantocci è un personaggio letterario prima che televisivo, Fantocci nasce di carta, Fantozzi è il romanzo che ha mostrato noi italiani per quello che siamo.
Fantozzi: Ridicoli?
Biagi: Tipo l’autore di Avanti. Su, Renzi è uno scrittore?
Fantozzi: Renzi è uno scrittore e lo sa perché? Perché chi scrive dice cose vere, anche se forse mai accadute, Renzi fa uguale. Racconta, dice cose giuste, poi non le fa, o le fa diverse, o male, o anche le fa come aveva detto, questo è il punto che lo rende simile a me: dice, ma che poi faccia dopo o abbia fatto prima, non conta più.
Biagi: Quindi sarebbe simile a Fantocci?

Fantozzi: Esatto, all’italiano Fantozzi. Fantozzi vorrebbe essere più di quel che è, sia umanamente che lavorativamente, ma è egli stesso causa di ciò che è, ha sposato Pina, ma chi lo obbligava? Si lamenta del posto di lavoro ma perché non lo cambia? L’italiano non cambia anche quando può, finora almeno è andata così. Per questo siamo un popolo che merita e vuole uno scrittore al potere.
Biagi: Ma non capisco, quindi lo stima o no come scrittore?
Fantozzi: Ho detto che è uno scrittore che è italiano come me e gli altri e che gli italiani ne ridono per condivisione, non per estraneità. Renzi e Fantozzi sono la stesa cosa.
Biagi: Quindi cosa direbbe oggi Fantozzi a Renzi?
Fantozzi: Gli direi che alcune proposte del suo passato governo erano… delle cagate pazzesche!

92 minuti di applausi da parte di Biagi.

I punti di vista elettorali: proporzionale e maggioritario

Si potrebbe dire, usando una metafora, che il sistema elettorale, quale esso sia, è il punto di vista, e la democrazia il paesaggio. A seconda del punto di vista il paesaggio sarà diverso. Se dunque il sistema elettorale fosse proporzionale si avrebbe un certo tipo di panorama politico, se ci fosse un sistema maggioritario, ce ne sarebbe un altro.

In sintesi cos’è il proporzionale concettualmente: esso prevede che in base ai voti che prendi, si ha proporzionalmente un numero di rappresentanti in Parlamento. Dunque per il proporzionale la rappresentatività varrebbe più della governabilità, qualora esse fossero in contraddizione. Nell’ ipotesi tuttavia di tre poli, come sembrano essercene adesso, tutti più o meno al 30%, nessuno vincerebbe. Che fare? Il maggioritario, che prevede un premio di governabilità, fa diventare maggioritario colui che vince e/o supera una certa soglia, dandogli cioè un sovrappiù di parlamentari per raggiungere la maggioranza e governare, altrimenti si potrebbe rivotare di nuovo, ma se il risultato non dovesse cambiare, si ritornerebbe al caos, quindi di nuovo al voto, quindi di nuovo al caos etc… Per il maggioritario la governabilità vale quanto e più della rappresentatività, perché il contrario, il caos, è più pericoloso di un premio aggiuntivo.

Attualmente, sia in caso di voto con i due sistemi elettorali diversi per Camera e Senato, sia in caso di una riforma omogenea tra le due camere, si sta profilando di fatto un sistema proporzionale. Va precisato che il sistema perfetto in astratto non esiste, esistono sistemi più funzionali, a seconda delle circostanze politiche, storiche, istituzionali, sociali che un certo Paese sta vivendo. Dunque non esiste il miglior sistema in assoluto, ma il migliore in un certo periodo.
Il proporzionale può essere sfruttato in due modi: può certificare la predominanza elettorale effettiva di un certo partito, può cioè saldare al potere chi di fatto è vincente, perché fa corrispondere al suo peso, già di suo maggioritario, il numero di seggi corrispondenti. In questo caso il maggioritario è nei fatti, e il proporzionale lo registra e convalida.

Il proporzionale può essere però anche la spia non di una forza, ma di tante debolezze. Si potrebbe prevedere, pur senza averne ovviamente la scientifica certezza, che in Italia il voto dimostri l’esistenza di tre poli politici, PD/centro sinistra, Centro destra, Movimento 5 stelle. Tre poli a circa il 30% l’uno. Così è difficile che uno solo possa governare. Il sistema proporzionale, cioè tot voti si traducono in tot seggi, senza premi di governabilità aggiuntivi, non permetterebbe a nessuno di vincere né di governare appunto. Allora perché sceglierlo? Perché in fondo la possibilità rimanere vivi e con la forza attuale è molto più forte della paura di ridursi tanto a causa di un vincitore unico con il maggioritario: in un sistema maggioritario infatti uno solo è destinato a superare, anche artificialmente il 50% dei seggi, e gli altri ne risulterebbero fortemente, forse enormemente ridimensionati. Essendo tutti per ora deboli alla pari, il sistema proporzionale permettere loro invece di sopravvivere alla pari. Nessuno vince, tutti vincono, cioè in un’ottica politica miope, tutti sopravvivono.

Anche il maggioritario può essere usato in due modi: può dare a chi già di suo è predominante, un premio che ne assecondi la forza elettorale conferendogli un numero aggiuntivo di seggi che traduca la sua forza in governabilità. E’ in fondo un proporzionale di sostanza, perché registra la forza effettiva di uno dei poli, e la governabilità diventa una conseguenza della sua forza, non un privilegio illegittimo e eccessivo in termini di seggi. Può però anche essere usato per far vincere forzosamente la maggiore minoranza, troppo numericamente debole per avere diritto a quel premio. In questo caso, più che un maggioritario sarebbe, giocando con le parole, uno sproporzionale.

Ora, nel nostro panorama politico si hanno effettivamente tre poli, tutti più o meno equivalenti, e un sistema elettorale doppio, uno per la Camera, uno per il Senato. Con una sintesi semplificata li si possono definire entrambi proporzionali. Alla luce di quanto detto non si possono definire i tre poli forti uguali, ma deboli uguali, e per questo più interessati a un proporzionale del secondo tipo. Non che nessuno di loro non punti, se possibile, a vincere e ottenere la maggioranza, ma è davvero probabilissimo che nessuno di loro vinca, tanto vale allora rimanere nei rapporti di forza attuali o leggermente modificati con il proporzionale.

C’è anche un altro dato di fatto, il proporzionale attuale ha una soglia di sbarramento per entrare in Parlamento al 3%, cioè facilita l’entrata in Parlamento dei piccolo partiti, e dunque anche l’entrata in gioco. I seggi di questi piccoli potrebbero essere la differenza necessaria a governare per uno dei due poli, sinistra o destra, essendo i 5 stelle una lista unica volontariamente.
Se si dovese fare un patto serio tra un grande e altri piccoli, la possibilità di raggiunger il 40% (soglia per ottenere il premio di governabilità) non sarebbe più così difficile. Ma un patto può anche essere un ricatto da parte del piccolo, rendendo sì accessibile il premio e il governo, ma poi rendendolo precario nella sua azione ed esistenza stesse.

Qui entra in gioco un ultimo fattore, i leader. Leader capaci riuscirebbero a gestire con dignità e competenza sia un sistema proporzionale che uno maggioritario. Non farebbero del proprio comando una priorità, ma cercherebbero di far funzionare il sistema, facendo patti seri, se non dovessero riuscire a superare il proporzionale, o varando un maggioritario che non storpi la rappresentanza delle opposizioni/minoranze nell’altro caso.

 

 

La guerra di Ferruccio

Continua a far discutere l’ultimo libro del giornalista Ferruccio De Bortoli, dedicato al tema dei ‘poteri forti’ italiani, per il passaggio sul caso della Banca Etruria. lo stesso De Bortoli ha sostenuto durante la trasmissione Otto e mezzo su La7 sul caso Boschi che “La Banca Etruria è una storia di massoneria”. Il sottosegretario Maria Elena Boschi ha annunciato querela.

 

Riveli sepolto in un libro di tua mano,
non è uno scherzo non è il fatto quotidiano,
che se lo inventa dalle pagine dei rossi,
ma sono i mille imbrogli dei Boschi

Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i gigli argentati
non più le cazzate dei raccomandati
portati in braccio da quella demente
Così ti calunniava ed era inverno
e come gli altri verso l’inferno
governi triste come chi deve
de Bortoli sputa contro una delle tue allieve.

Fermati Ferruccio, fermati adesso
lascia che il giglio magico ti passi un po’ addosso
dei miei sms in battaglia ti porti la voce
“Chi fece la fonte ebbe in cambio una croce”…

Ma tu non lo udisti e il libro vendeva
con le pagine piene di bava
ed arrivasti a ottener la querela
in un bel giorno di primavera.

E mentre marciavi con la minaccia in spalle
vedesti la Boschi in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la faccia di un altro colore.

Querelalo Maria Elena, querelalo ora
e dopo una querela querelalo ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra e coprire le sue malelingue

“E se lo querelo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore”.

E mentre gli usi questa premura
Ferruccio si volta, ti vede e ha paura
ed imbracciata l’editoria
non ti ricambia la cortesia.
Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in Parlamento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere un avvocato per ogni peccato.

Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in Parlamento
che la tua Banca finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.

“Boschetta mia querelare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Boschetta bella dritta all’inferno
avrei preferito mandartici io quest’in inverno.”

E mentre l’avvocato ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi della tua banca le lire
dentro alla bocca stringevi pressioni
troppo gelate per scioglier Ghizzoni.

Dormi sepolta dal fatto quotidiano
non è Ferruccio non è la mia mano
che ti fan cadere dal seggio dei gigli grossi
ma sono i mille imbrogli dei Boschi.

Lo scrittore Erri De Luca, il governatore della Campania Vincenzo De Luca e la pentastellata Valeria Ciarambino di fronte al potere

Vincenzo De Luca: Entri, entri.

Erri De Luca: Grazie. – si ritrova in un’enorme sala affrescata con le gesta di… guarda meglio, raffigurazioni in stile rinascimentale di Vincenzo De Luca contro i titani, De Luca domatore di cavalli come Ettore, e poi De Luca e… la fondazione di Salerno, con sottoscritto a.D. 0.

Vincenzo De Luca: Lo so cosa si sta chiedendo.
Ma Erri è come inebetito.

Vincenzo De Luca: A. D. 0. Non sta per anno Domini, ma per anno De Luca.
Erri De Luca: Eh!!?? Veramente poi ero perplesso su tutto.
Vincenzo De Luca: Sì, sotto c’erano dipinti barocchi etc… sa, quelle borbonate assurde, non so se capisce il riferimento, ma i Borbone sono spagnoli, mica napoletani, almeno credo, e comunque il mondo è cambiato, ci sono io, non loro, quindi dipinti miei, non loro, li ho fatti coprire con queste nuove opere d’arte. Anche l’arte deve progredire.

Erri De Luca: Non so se gli invasati si possano definire geni.
Vincenzo De Luca: Non cerchi di offendermi, io sono un tipo calmo, non rispondo con insulti, ma non si approfitti.
Erri De Luca: No, non risponde, lei comincia proprio con gli insulti.
Vincenzo De Luca: Non l’ascolto, piuttosto pensi a Van Gogh, un pazzo, si tagliò l’orecchio, ma dipinse da genio.

Erri De Luca: Lei sarebbe come van Gogh?
Vincenzo De Luca: Ahaha, non cadrò nei suoi giochi di parole, voi scrittori le usate perché non avete altro.
Erri De Luca: Che strano, lo avrei detto dei politici?
Vincenzo De Luca: Si sbaglia, dietro le nostre parole c’è altro, ben altro…
Erri De Luca: I secondi fini?
Vincenzo De Luca: Il popolo, che è con me!
Erri De Luca: Quello camorrista sicuramente…
Vincenzo De Luca: Una minoranza quasi inesistente, e poi non ho chiesto io i loro voti. Comunque si sieda davvero. Le offro qualcosa e le dico perché l’ho fatta chiamare. Ecco sì, prenda pure. – e gli avvicinò un bicchiere…

Erri De Luca beve ma poi… sputa tutto: Ma che è?
Vincenzo De Luca: Aceto, un piccolo omaggio al suo libro Aceto, arcobaleno, dove parla di quei tre. La vita è aceto, dolore.
Erri De Luca: Non solo, è senso.
Vincenzo De Luca: E’ la politica a dare senso alla vita delle persone.
Erri De Luca: La politica o il potere?
Vincenzo De Luca: E’ la stessa cosa.
Erri De Luca: E comunque se crede di aver fatto un riferimento colto si considera troppo.
Vincenzo De Luca: No, non c’è n’è mai abbastanza di me, mi creda, c’è troppo poco De Luca in questa regione.

Erri De Luca: Ho un altro parere.
Vincenzo De Luca: Sì lo so, lei è sempre contrario, non importa chi sta al potere, lei odia il potere, ho letto il suo libello, Parola contraria, interessante mescolanza di stupidità mal scritta e invidia fin troppo evidente, lei mi sembra un rancoroso ormai idiota.
Erri De Luca sta per esplodere: Lì parlavo del diritto al dissenso contro la Tav al nord. Sono sicuro del resto che l’idiozia la riconosce come in uno specchio.
Vincenzo De Luca: Comunque vorrei confrontarmi con lei su che cosa sia la politica, proprio partendo dal quest’ultimo libro.

A Erri De Luca parve quasi che ci fosse la possibilità di non dover buttare all’aria proprio tutto delle intenzioni di quell’uomo: – Va bene.
Vincenzo De Luca: Perfetto, inizierei da questo. – Vincenzo De Luca si piega e si rialza con un sanpietrino in mano che tira in testa a Erri De Luca, dicendo – Questo incita a fare lei in quel libro, vero?
Erri De Luca ormai a terra tramortito, nella confusione mentale che lo prende, gli sembra di vedere addirittura una foto in bianco e nero di Salerno dietro il governatore. Sopra c’è Salerno a. D. per dire ante De Luca: tutto bosco, sotto Salerno a. D. per dire anno De Luca 0: una metropoli simile a Berlino. – Io non dico questo, non incitavo alla violenza, infatti sono stato assolto.
Vincenzo De Luca: Anch’io, ma…
Intanto sentono bussare alla porta.

Vincenzo De Luca: Oh, l’onorevole regionale Ciarambino, la nostra chiattona, che ci fa qui? Ha fame? Se vuole può mangiarsi De luca, lo scrittore ovviamente.
Valeria Ciarambino si avvicina velocemente alla scrivania del governatore, ma la stanza è lunga…
Vincenzo De Luca: Ha ricevuto il mazzo di fiori?
Valeria Ciarambino: Come no, li ho portati con me.
Vincenzo De Luca: Come mai?
Ma lei lo ignora.
Vincenzo De Luca: Risponda! Cos’è, non ci vede più dalla fame?
Valeria Ciarambino: Io ho fame della verità!
Vincenzo De Luca: E allora, bella chiattona mia, non sarai mai sazia, a voi grillini la verità basta solo se la cucinate voi.
Ma ormai la Ciarambino è addosso a De Luca.
Vincenzo De Luca: Ma che fai!?
Lei lo prende per la testa e gliela sbatte ripetutamente sulla scrivania fino a ucciderlo.
Erri De Luca cerca di fermarla ma…
Valeria Ciarambino: Sei dalla parte del potere forte, dovevo immaginarlo che eri un’ipocrita – e afferra anche lui, che per un attimo, guardando la Ciarambino urlare a bocca aperta ha davvero paura che lei possa mangiarlo, ma lei si limita a … uccidere anche lui.

Non andò nessuno a reclamare i corpi delle vittime, né il popolo per Vincenzo De Luca, né i no tav per Erri De Luca, così nell’ignoranza più completa, i becchini che leggono solo che il cognome di entrambi è lo stesso, li seppelliscono insieme, come fossero parenti.
Sulla lapide il marmista, che deve incidere nomi e date, non sa che lì sono seppellite due persone, pensa ce ne sia una sola, così invece di scrivere, come gli era stato detto:
Erri e Vincenzo de Luca, A.D. 2017
scrive:
Eri Vincenzo De Luca, A.D. 2017

Valeria Ciarambino mai scoperta come assassina di entrambi, diventa governatrice della Campania e nel discorso d’insediamento dice: Il popolo campano è libero da un governatore infame, che ha voluto uccidere il suo omonimo, prima di suicidarsi.

5 anni dopo la stanza del governatore è affrescata con la Ciarambino che sconfigge i titani, doma i cavalli…

Perché i tassisti sono una lobby

Si sta consumando da giorni uno sciopero dei tassisti, motivato dalla protesta contro una mancata regolamentazione del settore di chi, pur usando la macchina per portare in giro i clienti, non ha però un taxi, ma usa la propria auto, oppure offre servizi di noleggio con conducente.

Sia il taxi che queste alternative hanno ragione di esistere nella misura in cui offrono un servizio. Tra i motivi per scegliere un servizio c’è ovviamente, e tanto più in un momento di crisi, un criterio economico. Dunque un cliente valuta quanto costa un taxi e quanto un non-taxi. Chiunque sa che il primo costa uno sproposito. Tutto qua. I tassisti, invece di incolpare la libera concorrenza di chi offre un medesimo tipo di trasporto, però ad un prezzo a volte anche enormemente inferiore, e protestare cercando di far imporre dalle istituzioni un tariffario più alto (alla faccia della tutela del cliente, fanno una battaglia perché il cliente paghi di più) dovrebbero accettare di rinunciare alla loro lobby-monopolio che occupa l’intero settore dell’offerta e può quindi stabilire un prezzo a tavolino, senza che nessuno possa fare concorrenza. E’ questo quello che vogliono i tassisti: un monopolio che permetta loro di mantenere prezzi altissimi.

Altro motivo del contendere è che i tassisti hanno acquistato la licenza ad un prezzo alto per poter lavorare, mentre i conducenti di non-taxi no. A loro sembra un’ingiustizia aver pagato mentre altri non dovrebbero farlo, quindi la soluzione per loro è far pagare anche gli altri, non piuttosto invece smettere di pagare tutti. Non si potrebbe per esempio più razionalmente elaborare un’alternativa: far pagare una minima, davvero minima, quota di entrata a chi diventa conducente alternativo e con queste quote restituire una parte del costo della licenza inizialmente pagato da chi è diventato tassista con la vecchia regola? No, preferiscono mantenere la loro casta: mercato chiuso, prezzi alti e risentimento.

Alcuni tassisti più razionali, invece che cercare di fermare uno degli effetti positivi della globalizzazione dei servizi, hanno deciso invece di assecondarla iscrivendosi a uber taxi, con cui chi vuole dall’app di uber può scegliere il servizio taxi e non il più comune ed economico uber pop. Ma anche qui si ritorna al punto d’origine: il costo, che in un mercato libero è determinato dalla concorrenza. Non piace? Si può andare in Corea del Nord, oppure rimpiangere l’Unione Sovietica, ma una delle cose positive del liberismo è che il cliente conta. Liberismo, non capitalismo selvaggio ovviamente. Perché è certo che le alternative ai taxi debbano avere un quadro normativo di riferimento, è ovvio: la discussione parlamentare in proposito è stata rimandata, non eliminata. Ma qui si protesta non perché il rimando potrebbe indicare assenza di regolamentazione concorrenziale, piuttosto perché non si è messo una regola repressiva a tutto ciò che taxi non è.  E dunque infine una repressione contro i clienti, rei di voler risparmiare.

Come ha affermato giustamente un anonimo conducente di queste alternative, tutti coloro che usufruiscono di servizio alternativo al taxi, non userebbero i taxi, se queste alternative non ci fossero: si deve mettere in testa che il taxi costa troppo, quindi o si paga di meno il trasporto in auto, o non si prende proprio l’auto. Dunque neppure questa concorrenza sta rubando in realtà così tanti clienti ai tassisti, perché non erano loro clienti.

Un esempio valga più di mille parole. Sono di Roma. Dovevo andare alla stazione termini partendo da Roma nord. Per chi non è di Roma, informo che sono venti km scarsi di percorso: costo benzina verde all’epoca era diciamo 1.65 euro al litro a Roma, con la mia macchina che fa circa 18 km al litro avrei speso praticamente il costo di un litro di benzina, se invece avessi preso l’autobus, avrei pagato 1,50 euro di biglietto. Il taxi mi è costato 40 euro.

In generale si può dire che una corsa con uberpop (il servizio low cost di uber) va dai 5 ai 10 euro di media. Quand’è che capita un costo così con un taxi? Spesso poi i taxi non accettano pagamento elettronico, i taxi non fanno preventivi e in ogni caso la spesa è fuori controllo, nel senso che più ci mettono a portare il cliente, più si paga, mentre con uber si può richiedere un preventivo e con quello decidere e se si accetta, poi quello è il costo, a prescindere dalle variabili a cui sarà soggetta la corsa. E’ questo il tipo di servizi che rendono il servizio taxi sempre più obsoleto.

L’evoluzione dei mezzi digitali e della globalizzazione dei servizi ha, nelle alternative ai taxi, una sua interessante e moderna applicazione. Forse questo farà totalmente sparire il servizio taxi tradizionale, ma la soluzione non è fermare il progresso, quanto piuttosto reimpiegare e reinventare chi da quel progresso viene più colpito che aiutato, cioè i tassisti. Da sempre la modernità fa scomparire qualcosa e comparire un’altra, più comoda per le presone e in questo caso per le loro tasche. Il gas farà scomparire i carburanti tradizionali, internet ha infinitamente rafforzato il telelavoro, l’automazione sostituirà certi lavoratori. E allora? Non sempre si deve dire “viva il progresso”, il progresso va misurato sulla base dei criteri molto pratici: sostenibilità ecologica, economica, comodità, benessere generale della persona. Quando tutto questo è rispettato, allora combatterlo è sia antistorico che antisociale. Combattere è mancanza di vergogna, tipico delle caste.

Congresso PD: ultima chiamata per un partito senza identità

Non c’è pace in casa PD e dopo una direzione infuocata si è scelta la strada del congresso per cercare di trovare stabilità ed equilibrio persi da tempo. L’impressione è che tra ipotesi di scissioni, segretari in pectore, reggenti e tesi annacquate, in realtà non se ne ricaverà nulla di nuovo. Il segretario uscente, dopo aver clamorosamente fallito alla guida del Paese, si ripresenterà e vincerà a mani basse.

Sì, perché la novità del partito della rottamazione sta proprio nel fatto che nonostante il fallimento di una classe dirigente, a dire il vero non particolarmente brillante, non c’è alcun cambio di direzione. Dopo la bocciatura del referendum più pasticciato della storia repubblicana, che rappresentava il vero core business del vecchio governo, Matteo Renzi avrebbe dovuto mollare, dando seguito a quanto aveva sin lì sbandierato. Nulla di tutto questo è avvenuto.

Così il treno del PD, che era già deragliato alla Leopolda, continua a non imbroccarne una e continua a preferire il clima salottiero alla radice di sinistra che dovrebbe essere la vera ragion d’essere della forza politica.

La sinistra del partito, complice nel voto di numerosi provvedimenti antipatici, ora dichiara guerra ed è pronta ad andare via, ma verso cosa? In realtà il quesito è tutt’altro che banale. Nell’ipotesi che all’indomani del congresso “precoce” si consumi la scissione e nasca una nuova forza politica, potrà mai allearsi con l’ex nemico di congresso?

Lo scenario non è affatto idilliaco e, mentre a destra si consumano le corse a chi la spara più grossa e i grillini si interrogano sul sesso degli angeli e sulla beatificazione della Sindaca di Roma, gli italiani corrono il serio rischio di non avere un Parlamento agibile politicamente neanche nella prossima legislatura. Per togliere le castagne dal fuoco al PD occorre un congresso serio ed un passo indietro significativo di colui che è stato l’artefice dell’implosione del partito.

In caso contrario militanti e elettori resteranno tutti in fila alla Leopolda ad osservare un binario morto mentre attendono l’arrivo di un treno che non esiste più.

Quella certa idea di politica che manca tanto alla sinistra

Mentre nel mondo si addensano fosche nubi e gli equilibri internazionali rischiano di saltare definitivamente, qui in Italia a sinistra si cerca di trovare il bandolo della matassa e una identità che da troppo tempo sembra essere smarrita.

Sgomberiamo subito il campo da possibili equivoci o fraintendimenti: non è il momento storico per pensare a scissioni o alla nascita di nuovi soggetti politici di sinistra. Il tempo stringe e alle porte si affacciano scenari che non promettono nulla di buono. È bizzarro che oggi a pensare ad una possibile scissione dal PD siano proprio coloro che nel lontano 2007 si ostinarono a voler dare vita, mediante quella che all’epoca fu definita una vera e propria fusione fredda, ad un organismo che racchiudesse al proprio interno i DS e la Margherita.

Da allora sono trascorsi 10 anni durante i quali la politica è cambiata profondamente. I Ds nel 2007 erano il primo partito in Europa per numero di iscritti, se ne contavano poco più di 615 mila, mentre la Margherita contava al suo interno, secondo le statistiche ufficiali, circa 430 mila iscritti. Dalla fusione dei due partiti nasceva, dunque, un soggetto da più di un milione di militanti.

Le statistiche implacabili ci raccontano invece di un PD che oggi non raggiunge neanche i 400 mila tesserati. È importante riflettere su questi numeri perché quando si parla di congressi, primarie, politiche di governo e di politica in generale non si può non pensare che i primi interlocutori debbano essere gli iscritti che si devono poter riconoscere nelle scelte del proprio partito.

All’indomani delle vocazioni maggioritarie, dei patti del Nazareno, delle politiche economiche poco chiare, dei provvedimenti contro i lavoratori e dei governi trasversali, il cittadino non trova più un modello di sintesi nel partito e vive un senso di smarrimento, incarnato suo malgrado dal rottamatore Renzi.

Un tempo il partito, nella sua rigidità dogmatica, rappresentava una risposta affidabile in grado di narrare una visione del mondo che poteva essere condivisibile o meno, ma rappresentava qualcosa di unico a cui moltitudini di uomini e donne dedicavano la propria vita.

Oggi tutto questo non esiste più. È difficile, ad esempio, capire quale sia esattamente la linea economica che guida il governo, o comprendere le esatte strategie in materia di sviluppo. Il manifesto dell’inadeguatezza della classe dirigente sta tutto in un ministro dell’economia che non conosce il prezzo di un litro di latte. Siamo ai titoli di coda dove traspare l’immagine di un PD salottiero molto più orientato agli accordi sotto banco che alla ricerca di un vero consenso.

L’incapacità, l’approssimazione e l’incompetenza, che hanno infettato tutte le forze politiche, hanno partorito il mito della casta e generato la voglia di fuga dei cittadini alla ricerca di un altrove al di fuori dei partiti che purtroppo non può esistere. Nel frattempo si sono distrutte le sentinelle presenti sui territori con figure inadeguate che ricoprono ruoli di primo piano nella vita delle comunità e che incarnano alla perfezione la mediocrità del sistema partitico nazionale. Un rampantismo inedito, in particolare a sinistra, che ha spazzato via scuole di formazione e la salita nei gradi della struttura partitica per lasciare spazio a giovani arroganti assetati di potere.

Ora è il momento della responsabilità. Il PD ha il dovere di rimettersi in carreggiata e di fare una scelta definitiva di campo aprendosi a tutte le forze della sinistra democratica. Un tempo le tesi congressuali servivano a questo. Tutto il resto è una commedia chiamata Leopolda.

Di fatto, la democrazia per funzionare ha bisogno dei partiti e i partiti per esistere necessitano della militanza. Se mancano questi elementi il sistema si collassa e nascono forze antisistema che sono destinate ad assumere una rilevanza sempre maggiore.

La non riforma delle forze dell’ordine italiane-l’abolizione del Corpo Forestale

Tra le tante semplificazioni tentate dal governo Renzi, ce n’è una che sicuramente è tra le peggiori, anche se tra le meno denunciate, a causa del solito disinteresse italiano, che si traduce in vera e propria ignoranza per i dettagli. Si sta parlando del capitolo della riforma della Pubblica Amministrazione a firma del ministro Marianna Madia (ma diciamo a firma Renzi) riguardante l’abolizione del Corpo forestale dello Stato (CfS) come corpo a sé stante, per essere invece inglobato in quello dei carabinieri.

In occasione di tragedie come quella causata ultimamente dalla neve all’hotel Rigopiano e in tutta l’Italia centrale – ammesso che la colpa poi sia stata effettivamente della sola neve e non delle imprudenze e inefficienze umane – si è riacceso il dibattito sull’opportunità o meno di una tale riforma. Ovviamente che i forestali diventino carabinieri, non vuol dire che non sappiano più fare i forestali, ma che svolgono tale compito con la divisa dei carabinieri, invece che con quella verde dei forestali. Fin qui la cosa non cambia, non migliora e probabilmente non peggiora.

Solo fin qui però. Il punto è chiedersi se tale riforma sia inserita in un contesto che le dia un senso un po’ più marcato di quello del fare una riforma che non cambia nulla, né in peggio, né in meglio, perché se così fosse, perché allora farla? La risposta è semplice: il contesto di ulteriori riforme razionalizzanti e semplificative del sistema delle forze di sicurezza italiane non è stato veramente compiuto, ma era necessario, in tipico stile renziano, far invece apparire che la riforma ci fosse, quindi quale corpo abolire? Il più “facile” da eliminare, più facile perché è un corpo di valore numerico abbastanza limitato (7-8000 elementi a livello nazionale), e sicuramente meno conosciuto rispetto a carabinieri o guardia di finanza. Non c’è solo questo però. I carabinieri ottengono la gestione dei reati di competenza del Corpo forestale dello Stato, non tramite i nuovi carabinieri ex forestali, ma tramite il proprio personale. Già, perché gli ex forestali devono scegliere se diventare militari come i carabinieri e riempire buchi di organico o andare in mobilità e poi lasciare.

Oggi si assiste invece all’infondato dibattito per cui è stata l’assenza della forestale a rendere più difficili i soccorsi al Rigopiano e dintorni appenninici, ma appunto i forestali esistono ancora, anche se ora si chiamano carabinieri. Dunque che cosa si sarebbe dovuto semplificare per avere un effettiva semplificazione e maggiore efficienza nei soccorsi?

Innanzitutto polizia e carabinieri, di fatto, svolgono la medesima funzione di ordine pubblico. I carabinieri sono anche altro, sono una forza armata, ma perché una forza armata ha una seconda natura che è quella di tutela della pubblica sicurezza, quando esiste già la polizia? Chi ad esempio vuole fare una denuncia, poniamo contro ignoti, può andare tanto in un commissariato di polizia che in uno dei carabinieri. Cosa cambia? Niente. Anzi no, cambia che si pagano due strutture per gli uffici, quindi doppi comandi, come a dire due teste che comandano un solo corpo (ordine pubblico). Poi abbiamo la guardia di finanza, che si occupa soprattutto di reati fiscali e finanziari. Ottimo, ma essendo comunque reati non basterebbe inglobare la guardia di finanza nella polizia ed eliminare un ennesimo costo di uffici per un ulteriore comando a sé stante?

Per venire infine ai forestali, sono stati aboliti per i motivi che dovrebbero valere altrettanto bene per l’abolizione dei carabinieri e guardia di finanzia, per poi inglobarli dentro la polizia. Soprattutto si sarebbero potuti abolire i corpi di forestali regionali presenti in Italia. Ecco un’altra tipica sorpresa da sistema marcio:il CfS non può coprire le regioni a statuto speciale (Valle d’Aosta, TrentinoAlto Adige/province di Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Sardegna), ma non solo, anche le regioni a statuto ordinario hanno i loro forestali regionali meno formati del corpo nazionale (quelli calabresi sono5.887!).Si si vuole semplificare si possono togliere le prerogative delle regioni a statuto speciale in tema di tutela ambientale con una vera riforma costituzionale di un singolo e semplice articolo che faccia subentrare il CfS. Perché poi esistono anche i corpi forestali regionali ordinari? Sono uno dei tanti postifici per raccomandati, che sarebbero altrimenti senza futuro.

In conclusione si poteva scegliere di accorpare anche polizia e carabinieri, o polizia e guardia di finanza, abolire i forestali regionali, invece… meglio accorpare solo il Corpo forestale dello Stato. E queste sono riforme?

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