La bellezza che ammazza, tema capitale dell’Occidente

Secondo Ezra Pound, la bellezza è difficile – beauty so difficult –, secondo il suo antico maestro, William B. Yeats, la bellezza è terribile – a terrible beauty is born –: in ogni caso, inafferrata, la bellezza ammazza. Non si contempla con la pia dedizione del collezionista, dell’orafo: la bellezza confonde, confina nell’inadeguato, turba, strazia, strugge, è l’alcova di tutte le contraddizioni.

La bellezza è il tema millenario, prevalente, totale; alla riflessione estetica, oggi, siamo passati ai centri estetici, dall’estasi alla bella – o al bello – ‘da copertina’, paradosso catastrofico, dacché la bellezza perennemente sfugge, incendia, non si lascia censire in uno scatto, non è rappresentabile, stupore che raspa ogni aggettivo. La bellezza tiene in scacco, sotto ricatto, per inseguirla ci si perde: è mostruosa, ha il candore della colpa.

L’emblema della bellezza occidentale, che acceca, è, va da sé, Elena, la donna per la quale fu presa d’assedio la città, che produsse immani sofferenze e caterve di morti. Da allora fino ad ora Elena è stata letta, setacciata, interpretata, scapricciata, rivoltata: rivoltante per alcuni – che nella bellezza della donna, appunto, videro il demone che svia, l’implacabile che uccide, conduce all’oblio di sé – per altri fu esilarante esercizio retorico – l’Encomio di Elena di Gorgia – o meglio, il simbolo caustico dell’idiozia umana, che vaga per morgane e fa la guerra per fraintendimento.

Da Omero a Margaret Atwood, da Albert Camus a Ghiannis Ritsos, da Marina Cvetaeva a Anne Carson, scrittori e poeti di ogni epoca si sono fiondati nell’ambiguo di Elena, colpevole e innocente, vittima e carnefice: “la – terribile – colpa di Elena è ‘solo’ la sua bellezza, che è una vera e propria rovina” (Barbara Castiglioni).

Nella rissa esegetica, il testo sconcertante è l’Elena di Euripide: la bella tra le belle, nella finzione drammaturgica, non è mai stata a Troia, sostituita da un fantasma, dallo spettro della bellezza, ma rifugiata in Egitto, ospite del re Proteo.

Dietro il velo grottesco, polemico – la più grande battaglia della storia occidentale condotta per uno sbaglio, uno sfregio del destino – e gli aforismi capitali (“Per le altre donne la bellezza è una fortuna, mentre per me è stata proprio una rovina”), la tragicommedia di Euripide, dalla trama labirintica – in effetti, tutto è tradimento e al bivio della buona intenzione si nasconde il mostro –, mostra un mondo di dèi silenti fino alla scomparsa, imbastardito dal caso (“Com’è indecifrabile, com’è intricato il dio! Volge e sconvolge da una parte e dall’altra tutte le cose… nella sorte non c’è davvero nulla di stabile”), dominato da uomini che perlustrano ombre (tranne le proprie), che anelano l’obliquo. Sfatare il cosmo nel caos: ecco il genio di Euripide.

“Smarrito nel silenzio divino e dopo aver esagerato le contraddizioni dei sensi e della ragione, in modo da provarne l’inefficacia, Euripide sembra concedere una sola alternativa: meglio un’ombra, un fantasma, oppure il vuoto?”

scrive Barbara Castiglioni, che per la Fondazione Lorenzo Valla ha curato una nuova, impeccabile versione dell’Elena, e che ho interpellato. Sotto la superficie, la bellezza è sempre esperienza mistica, misterica: Elena è conficcata in Egitto, la terra esotica-esoterica; nel secondo stasimo Euripide avvicina la sua vicenda al rapimento di Persefone, ai riti dionisiaci.

Ciò che salva uccide, si dirà, e forse lo specchio di Elena è Euridice, chissà – si sa che la bellezza ha qualcosa di intoccabile, il residuo sacro; quanto al poeta, non sgozza re né assedia metropoli, arma la penna e fa della bellezza l’arcano.

Elena rappresenta l’inevitabilità, anche e soprattutto tragica, della bellezza, che non concede scelta, né a chi la ammira, né, soprattutto, a chi la vive e ne subisce le conseguenze. Prima di essere una donna, prima di essere una persona, Elena è bella, e questo determina ogni aspetto della sua esistenza.

La civiltà greca, non a caso, aveva elaborato il concetto di kalokagathìa, l’ideale, cioè, di perfezione fisica e morale dell’uomo. Questo ideale di identità tra bellezza e virtù, però, è prevalentemente maschile: non ne esiste – e non può essere casuale – una versione femminile della kalokagathìa. Non è impossibile, per una donna bella, essere anche virtuosa, ma si presuppone che non lo sia: l’universale positivo, implicito nell’ideale maschile, è capovolto nel caso della donna, per cui la bellezza, come esemplifica il mito di Elena, si rivela soprattutto una colpa.

 

Fonte Davide Brullo

Clemens Setz: ‘La letteratura è telepatia”

Clemens Setz è uno scrittore austriaco nato a Graz nel 1982 e si conferma come tra i più interessanti autori nel panorama letterario europeo.

Clemens costruisce narrazioni avvincenti incastonando in esse dei mini-saggi rivitalizzando il romanzo-saggio, genere che raggiunse la piena maturità in Austria e Germania nel periodo tra le due guerre  nonché cruciale per una rinnovata comprensione non solo della storia letteraria europea ma anche della varietà dello spettro morfologico e simbolico del modernismo.

Dopo aver studiato matematica e germanistica, Setz inizia a scrivere racconti su varie riviste ed esordisce nel 2007 con Figli e pianeti, tradotto anche in Italia insieme al suo romanzo più riuscito L’ora tra la donna e la chitarra del 2015 (La Nave di Teseo, 2019), fino a vincere il prestigioso Berliner Literaturpreis nel 2019.

I romanzi di Setz interrogano l’essenza dell’essere umano che cammina in luoghi oscuri e invita il lettore ad entrare nell’animo e nella mente dei suoi protagonista, perché almeno una volta potremmo aver provato, pensato, immaginato quello che fanno loro. L’autore austriaco sembra suggerci questa massima: “prima riconoscere, riconoscersi, poi divenire, difendendo lo straniero che è in noi”.

Setz tesse storie con grande equilibrio, facendo emergere la poesia anche dai luoghi più inaspettati, appassionandosi a bizzarri e tenebrosi frammenti di vita, per cercare ogni volta una riconciliazione diversa con il mondo, traendo ispirazione dalla figura dell’anti-eroe, scelta che corrisponde alla risposta alla tensione verticale che impone di  modificare le coordinate della propria esistenza, a lavorare su di sé, a praticare una condotta di vita orientata in base ad una scelta etica.

L’uomo come soggetto eterodeterminato deve dunque imparare ad esercitare l’arte di appartenere a se stesso, nel senso di riscoprire la propria potenza, la propria luce e la propria oscurità che lo colloca al vertice della creazione. D’altronde come sosteneva Mircea Eliade, “se gli uomini agissero in modo conforme alla loro natura, qualitativamente differente da tutte le altre e gerarchicamente superiore, non avrebbero da scegliere che tra due cammini: la gloria o l’ascesi. Il resto è biologia”.

L’aspetto più interessante dei romanzi di Setz, è il linguaggio: lo scrittore inventa parole e che usa come narratore e fa usare ai suoi personaggi. Usa il termine inglese sebbene lo traduca letteralmente in tedesco come Leuchtende Details, concetto ideato da Ezra Pound.

Setz con le sue storie non convenzionali e il suo giocare con le parole, ci dice che qualsiasi fatto può essere “sintomatico”, ma alcuni fatti danno una visione superficiale  delle condizioni circostanti e della rapporto causa-effetto. Tali accadimenti si riferiscono ad allusioni a strani domini di conoscenza, spesso collegati tra loro in modi idiosincratici.

I personaggi creati da Setz, al quale non interessa complicare la trama, non sembrano essere pienamente consapevoli di cosa siano i “dettagli luminosi”, non badano a certe sottigliezze, ma giocano sicuramente con l’idea quando sembrano esserci strane connessioni tra cose ed eventi.

Con la sua ironia, Clemens Setz prova a mordere la realtà, invitando il lettore a verificare come anche lui stesso possa provare le stesse emozioni, dei personaggi dei libri di un autore che ricorda molto il suo conterraneo Ernst Jandl.

1 Ti senti tra i massimi esponenti del romanzo-saggio o romanzo di idee?

In realtà non ho mai pensato a me stesso di aver scritto romanzi di idee, ma penso di tendere a includere molte digressioni e mini-saggi nelle mie storie. Questo è più o meno il modo in cui parlo nella vita reale. Sto divagando, o sbaglio il punto, e vado avanti così all’infinito, e sembra uno che ha molte idee.

2 Qual è il compito principale della letteratura?

Telepatia, ovviamente.

3 Vedi qualcosa di innovativo nel campo della letteratura? Nel modo in cui ordina le idee?

La “cosa” letteraria più innovativa in lingua tedesca è stata il lavoro di un paio di account Twitter molto strani e idiosincratici. Ho scritto su molti di loro. Hanno avuto una profonda influenza sul modo in cui i giovani parlano, scherzano e si esprimono in modo rima, divertente o poetico.

4 Da chi ti senti ispirato?

L’ispirazione mi arriva spesso in modo molto casuale, quasi senza senso. Da un ragazzo su TikTok, da un incontro casuale, da una persona vissuta 300 anni fa.

5 “L’ora tra la donna e la chitarra” è stato un best seller. Si potrebbe definire un libro sulla follia dei poeti, di coloro che hanno una profonda vivacità interiore?

Sembra esatto. È un libro sul “fare le cose con le parole”, ad es. avere potere su qualcuno solo perché racconti una storia in un certo modo, o anche convincere qualcuno a suicidarsi, solo attraverso la parola o altri tipi di comunicazione. Ma alla fine è un libro pieno di speranza e ottimista, credo.

6 I personaggi dei suoi libri sono grotteschi, irrequieti, si sentono inadeguati. È questo campione umano che la letteratura deve affrontare?

Non conosco nessuno che sia totalmente non grottesco. Forse queste persone esistono, ma sospetto che sarebbero piuttosto rare.

7 A cosa servono i Premi letterari?

L’aiuto finanziario è una funzione, ma penso che il prestigio che un tempo accompagnava certi premi sia praticamente svanito del tutto.

8 Cosa pensi di te stesso? Riesci sempre a trasformare i tuoi pensieri, le tue visioni, nelle parole giuste?

Affatto. La maggior parte delle cose che mi passano per la testa non possono essere adeguatamente espresse a parole. E se funziona, è il risultato di molte ore di tentativi ed errori. Non sono bravo a scrivere, ma sono abbastanza bravo a riscrivere. In realtà è la cosa che mi piace di più.

9 Quanto viene promossa la cultura in Austria e Germania?

Beh, è ​​praticamente svanito completamente per un anno durante la pandemia. L’intera cultura era ridotta a una cosa: Netflix. Ora gli altri rami della cultura sembrano riemergere un po’. Quindi dovremo vedere. Sono in qualche modo ottimista sul fatto che le persone vorranno ancora leggere libri nel prossimo futuro.

10 Ti senti schiacciato dalle domande e poi salvato dalla vita stessa, nella sua semplicità?

La semplicità può sicuramente salvarci. Questo perché siamo animali complicati con pensieri complicati. Ma che dire di una creatura come il pesce d’oro? È pura semplicità, e a quanto pare non pensa molto. Cosa salverà il pesce d’oro?

11 Cosa diresti, se fosse ancora in vita, a Nabokov che disprezzava gli scrittori di idee, delineando così un’idea di letteratura che estremizza il carattere autonomo del testo letterario per farne una sorta di gioiello prezioso per un selezionare pochi?

Beh, per qualcuno che odiava le idee, Nabokov ne aveva sicuramente molte! Forse intendeva programmi politici o filosofie specifici che non dovrebbero essere l’unico motivo per scrivere una storia. Tendo ad essere d’accordo con lui su questo.

12 Non pensi, riguardo alla domanda precedente, che il cattivo lettore sia in parte un prodotto dello scrittore che ha un focus elitario sulla letteratura, che potrebbe/dovrebbe essere spuria?

Sono d’accordo. È abbastanza facile scrivere un libro difficile che nessuno può leggere. Purtroppo l’ho fatto io stesso in passato.

13 Chi sono i tuoi lettori più affezionati?

Non credo di averli. Almeno nessuno che conosco personalmente e con cui ho contatti regolari. La mia famiglia e i miei amici non leggono i miei libri, il che mi sta bene.

14 La tua scrittura può essere definita una sperimentazione sulla materia linguistica?

Di recente è diventato sempre di più, ad esempio, ho appena pubblicato un saggio lungo un libro che è una sorta di storia di tutta la poesia che è stata scritta in lingue inventate (come l’esperanto, il volapük, i simboli Bliss, ecc.). Ho tradotto la maggior parte della poesia oscura da quelle lingue oscure. Mi è sembrato davvero un esperimento fantastico, rischioso e vibrante.

15 Una piccola anticipazione sul tuo prossimo libro?

Sto scrivendo un romanzo storico in questo momento, ambientato negli anni ’20 in Germania. Si tratta di un paio di figure reali che credevano che vivessimo all’interno di una sfera cava, piuttosto che all’esterno di un pianeta. È una storia divertente, ma non è ancora molto viva come romanzo. I personaggi si comportano tutti come se sapessero che li sto guardando, il che non va mai bene. Sentono ancora la trazione della corda del manichino del ventriloquo, per così dire. Ma spero di poterlo portare in vita.

 

Fonte Literature as a conversation with readers. Interview with the Austrian writer Clemens Setz – ZEITBLATT Magazin

Hilda Doolittle, la poetessa americana che amava la mitologia classica e l’imagismo e che stregò Ezra Pound

Nata a Bethlehem, in Pennsylvania, il 10 Settembre del 1886 da Helen Wolle, morava, amante della musica e pianista, e da Charles Doolittle,  professore di astronomia presso la Lehigh University, la vita di Hilda Doolittle è stata molto ricca di viaggi, incontri personali e culturali. La coppia ha cinque figli, di cui una morta subito dopo la nascita. Nella famiglia Doolittle vive inoltre un altro figlio di primo letto del padre. Hilda cresce dunque con cinque fratelli maschi.

Conosciuta semplicemente con le iniziali H.D., la poetessa Hilda Doolittle studia letteratura greca al Bryn Mawr College di Philadelphia, ma si ritira prima di aver concluso gli studi. Nel 1907, per un solo anno, è fidanzata con Ezra Pound. Le sue poesie, apparse su “Poetry” nel 1913, sono da questo definite come un perfetto esempio di poetica imagista.

Tuttavia già negli anni della prima guerra mondiale lo stile della Doolittle si avvicina più a quello dell’antica Grecia, sia per i temi trattati sia per il linguaggio. La Doolittle pubblica alcune traduzioni dal greco come l’Ippolito di Euripide e anche adattamenti di testi teatrali greci, come Ippolito temporeggia (1927). Durante la seconda guerra mondiale vive a Londra e compone The gift, che sarà pubblicato nel 1960 e 1982. Tra il 1944 e il 1946 pubblica Trilogy, Tribute to the Angels e Flowering of the Rod. Successivamente si dedica alla scrittura del poema Helen in Egypt (1961).

Hilda Doolittle è stata una musa scontrosa per molti. Nel 1913 sposa Richard Aldington, poeta potente e studioso di letteratura, da cui ha un figlio. Nel frattempo, H.D. coltiva una relazione con Cecil Gray, compositore decisamente più giovane di lei, di cui rimane incinta, partorendo Perdita, nel 1919. Nello stesso tempo, flirta con D.H. Lawrence benché il rapporto più sincero e duraturo sia con Annie Winifred Ellerman, scrittrice, nota come “Bryher”.

Pressoché sconosciuta in Italia Hilda Doolittle è stata la prima donna a vincere la medaglia dell’American Academy of Arts and Letters.

La sua poetica è caratterizzata dall’intensa forza delle immagini, dall’uso limitato delle parole e della mitologia classica. Non ha mai conosciuto il successo, anche perché il suo nome è rimasto a lungo confinato con il movimento imagista, presto superato. Anche i suoi messaggi potevano non essere compresi o accolti con favore, dal momento che affrontava temi femministi e lesbici, dovuti ad una vita  fuori dal comune. La sua riscoperta è degli anni settanta, quando ovviamente il movimento femminista ne ha fatto un’icona, probabilmente più per l’inusuale stile di vita, che per l’opera letteraria, seppur valida.

La vita e l’opera della poetessa americana dallo sguardo fiero e malinconico, riassumono i temi principali del modernismo: la fine delle certezze vittoriane, un’epoca dominata da famelici cambiamenti tecnologici, la violenza di due guerre mondiali, la distruzione dei sistemi simbolici tradizionali, la ricerca di nuovi miti.

 

CALORE

O vento, strappa il calore,
dividi il calore,
laceralo in stracci.

La frutta non riesce a cadere
attraverso questa aria densa―
la frutta non può cadere nel calore
che schiaccia e smussa
le punte delle pere
e arrotonda l’uva.

Taglia il calore―
apriti un varco attraverso di esso,
ruotandolo in ogni lato
del tuo cammino.

 

ELENA

La Grecia tutta odia
lo sguardo fermo sulla faccia bianca,
la limpidezza degli ulivi
dove si riposa
e le sue mani bianche.
La Grecia tutta disprezza
il candore del suo viso che sorride,
cresce bianco e innocente
insieme all’odio
ricordano l’incanto passato
i passati mali.
La Grecia fissa impassibile
la figlia di Dio, nata nell’amore,
la bellezza dei piedi leggiadri
e le ginocchia sottili,
potrebbe amare quella ragazza
solo se fosse deposta

 

Ezra Pound, rinnovatore poetico e profeta anticapitalista della crisi economica

Tra i poeti che nel periodo delle due guerre si interrogano sulla crisi politica e letteraria del proprio tempo, approfondendo soprattutto le possibilità di un perfezionamento e di un aggiornamento delle forme della poesia, spicca Ezra Pound (1885-1972), nostalgico dell’Europa e dell’America di Jefferson, nonché profeta dell’attuale crisi economica, il quale si trasferisce dall’America all’Europa nel 1908, soggiornando tra Parigi, Londra e l’Italia, dove si stabilirà definitivamente a partire dagli anni venti. A Londra, negli anni dieci, Ezra Pound si impegna attivamente nei dibattiti inglesi d’avanguardia, in particolare all’imagismo (che rompeva con il linguaggio della tradizione per privilegiare la trascrizione della realtà più profonda dell’Io e al vorticismo, che suggeriva la possibilità di assecondare lo slancio creativo, rifiutando le convenzioni poetiche e retoriche usuali.

Ezra Pound e la tradizione classica italiana e orientale

Al primo libro di versi di Ezra Pound, A lume spento (1908), seguono numerose raccolte come Exultations, Canzoni e Ripostes, ma è con il volume del Cantos, avviato nel 1919 e pubblicato a più riprese, che Pound contribuisce al rinnovamento della poesia. In essi infatti si manifesta la ricchezza culturale dell’autore americano, grande conoscitore sia della tradizione classica italiana, soprattutto della poesia di Dante, sia di quella orientale, giapponese e cinese. I rimandi alle diverse letterature e culture si accavallano, si intrecciano, si fondono in una scrittura continuamente mutevole, nella quale Ezra Pound sembra voler abolire ogni elementonon essenziale. L’accumulo di molteplici citazioni nelle lingue originali, l’abbandono al flusso di coscienza, la descrizione di avvenimenti  pubblici, il richiamo a esperienze personali danno vita ad un testo molto complesso, di difficile lettura.

I centoventi Cantos si ispirano alla forma epico-lirica della Divina Commedia e si propongono di rappresentare gli eroi di epoche lontane e vicine, di differeti aree geografiche e culturali: si spazia dall’antica Grecia all’antica Cina, da Medioevo, alla storia americana più recente. L’intento di Ezra Pound è quello di mettere a confronto il passato e il presente, condannando la contemporaneità in nome di una ricchezza e di una purezza ormai perdute, per altro confinate in una dimensione edenica. In questa direzione la scelta di ua versificazione fortemente innovativa si accompagna alla volontà di affermare una concezione sociale e politica personale e rivoluzionaria. Considerando l’usura, la causa dello sfruttamento economico e l’origine delle disuguaglianze, Ezra Pound, seguendo le teorie dell’economista Douglas, sostiene il progetto di un socialismo interclassista che lo porta ad avvicinarsi al fascismo, nel cui “Stato corporativo”, egli crede di trovare la realizzazione dei propri ideali.

Un pensatore oggetto di giudizi sommari

Sempre più ostile al sistema americano, la cui economia si sarebbe avvelenata seguendo la teoria filobritannica di Hamilton che indebitò il popolo americano e lo asservì al potere dell’usura, Ezra Pound trasmette alla radio, durante la guerra, alcuni discorsi violentemente anticapitalisti e antimilitaristi, per i quali, nel 1945, viene arrestato come traditore dalle truppe statunitensi, e rinchiuso, prima in un campo di concentramento, poi in un manicomio criminale. Solo nel 1958 verrà liberato, anche per le numerose manifestazioni di protesta provenienti da tutto il mondo in suo favore. Pound tornerà allora in Italia, restandovi fino alla morte. La sua vena sperimentale ha influenzato le ricerche d’avanguardia di tutto il Novecento; in Italia ha trovato attenti cultori come Montale e Sanguineti.

Per la ricchezza dei riferimenti pubblici i Cantos di Ezra Pound si propongono come esempio di una poesia intertestuale, apertamente rivolta al dialogo con i lettori, ma allo stesso tempo l’autore americano dà vita ad una poesia chiusa sul modello dei trovatori medievali, da lui tanto amati, cercando di trovare il sacro nella realtà. Ezra Pound viene spesso ricordato per la sua celebre frase: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”, che vediamo facilmente campeggiare sulle bacheche di facebook e come tweet, ma è bene ricordare a chi etichetta questo grande poeta come un “fascista” e traditore della sua patria, che Pound sognava una civiltà totalitaria, nel senso in cui ne parlava in Italia Giovanni Gentile, non nel senso oppressivo di cui ne parliamo oggi a proposito di totalitarismo, collegandolo alle tragiche esperienze nazista e comuniste.

L’aspirazione di Ezra Pound, la sua utopia, è una società fondata sul bene comune e ispirata a un ordine intelligente dell’universo, idea espressa da San Tommaso e ripresa anche da Eliot, sodale di Pound. Una visione gerarchica della realtà dunque, dove però la gerarchia non si oppone all’uguaglianza, come purtroppo alcuni sostengono, ma all’opposizione manichea tra un paradiso immaginario e l’infernale realtà.

 

 

 

‘La terra desolata’, il poemetto polisematico e profetico di Eliot

La terra desolata viene scritta da Thomas Stearns Eliot (Mercoledì delle ceneri, Assassinio nella Cattedrale, Quattro quartetti) a Londra beglio anni tra il 1921 e 1922 e pubblicata sulla rivista <<The Criterion>> nell’ottobre del 1922. A questa pubblicazione ne segue una seconda in rivista e finalmente, nello stesso anno, la prima edizione in volume, a New York, con l’aggiunta di alcune note che mettono in luce soprattutto i riferimenti ad altri testi presenti nei versi. Il lungo poemetto, che appartiene alla prima stagione della poeisa di Eliot, ha al suo centro la crisi della società occidentale, ridotta, come vuole il titolo, a una “terra desolata”. Lo scrittore non ha ancora incontrato l’esperienza religiosa di una fede che porta la speranza della salvezza. I versi della Terra desolata portano con se tuttavia, molti più significati, rimandando a numerose possibilità di lettura. Lo stesso Eliot richiama per la sua poesia un mito celtico, secondo il quale il Re Pescatore ha perduto, per una ferita, la possibilità di generare e la stessa terra è diventata infeconda.

C’è dunque la necessità di una guarigione che viene affidata ad un eroe che può ridare fertilità. Il mito, che ha una variante in chiave religiosa cristiana, può essere letto come la rappresentazione di una società in crisi e dunque come la testimonianza di un bisogno di rigenerazione che Eliot reputava necessario.

Il poemetto si compone di cinque sezioni: La sepoltura dei morti, Una partita a scacchi, Il sermone del fuoco, la morte per acqua, Ciò che disse il tuono. In essi si può notare l’originalità della scrittura di Eliot, che, sotto l’influenza di Ezra Pound (a cui il poemetto è dedicato), moltiplica i richiami ad altri testi, con inserti di citazioni nascoste o evidenti, con contaminazioni di diversi miti, occidentali e orientali.

Eliot, tra Ezra Pound e Dante

Ne La terra desolata, Eliot afferma la sua lucida visione pessimistica della realtà, ritraendo la drammatica condizione della terra: alla caduta di ogni valore non corrispondono alternative possibili e la poesia non può fare altro che registrare la frantumazione e la desertificazione dell’umanità La tessitura stilistica dell’opera di Eliot risente dei poeti dell’età elisabettiana, dei “Metafisici” del Seicento e della poesia simbolista; ma il simbolismo di Eliot più che a quello ottocentesco, si rifà a quello medievale e i particolare alla Divina Commedia, indicata come modello da perseguire (e a Dante infatti Eliot ha dedicato studi critici e la monografia Dante). Distaccandosi in questo dall’amico Pound, Eliot propone, nel corso degli anni venti, il ritorno alla religione cristiana, vista come l’unica alternativa possibile alla desolazione del mondo: dopo la conversione all’anglicanesimo, il poeta americano affida ai propri versi un messaggio di speranza, che tuttavia non assume i toni di una a-problematica pacificazione. Dopo la prima guerra mondiale, la storia umana per Eliot è un cumulo di macerie non una marcia trionfale, ed è difficile riuscire a connettere qualcosa. Chissà cosa direbbe Eliot oggi, vedendo il nostro attuale Occidente magmatico, tenuto “unito” dal caos, dal materialismo che lo caratterizza e dalle contraddizioni che lo caratterizzano, arido spiritualmente che convive con la religione perché in fondo quest’ultima è innocua, non dà fastidio; sembra che faccia tenerezza.

Eliot invece è per una fede, una religione che non ammette compromessi, suggerendo la via del raccoglimento e dell’umiltà, la necessità di uscire dal “tempo quotidiano” per raggiungere una dimensione mistica: l’eternità che il grande poeta definisce in questi termini:

“Afferrare il punto di intersezione tra l’eterno e il tempo è occupazione da santo”.

Lo stile di Eliot: il metodo delle sovrapposizioni culturali

Sul piano formale, la poesia di Eliot suggerisce l’unione tra emozione e riflessione: nasce in questo contesto la poetica del <<correlativo oggettivo>> (che tanto influenzerà Eugenio Montale) secondo la quale occorre trasformare ogni emozione individuale in immagini oggettive valide per tutti. Il sentimento, l’intuizione personale vengono comunicati in forma simbolica, per il tramite di un oggetto al quale vengono assimilati.

Un’esemplare testimonianza della continua mescolanza di riferimenti culturali diversi che sta alla base de La terra desolata, si trova nell’ultima sezione, Ciò che disse il tuono, Essa si apre con la disperata visione di un deserto: forse gli uomini sono in attesa di una pioggia che non arriva; anche la speranza che può arrivare da Cristo è lontana, mentre gli uomini, in terra, stanno morendo. In questa sezione dunque il poeta prosegue il suo metodo delle sovrapposizioni culturali, avvalendosi di un ordine preciso di riferimenti che vanno da Dante al Vangelo di Luca, passando per il mito celtico e per un trattato indiano.

Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati

dopo il gelido silenzio nei giardini

dopo l’agonia in luoghi di pietra

il clamore e il pianto

la prigione il palazzo e l’echeggiato schianto

del tuono primaverile sui monti lontani

colui che era vivo adesso è morto

noi che eravamo vivi stiamo morendo

adesso, con un po’ di pazienza

 

Qui non c’è acqua ma solo roccia

roccia e non acqua, e la strada di sabbia

la strada che si snoda lassù tra le montagne

montagne di roccia e niente acqua

se qui ci fosse acqua ci fermeremmo a bere

tra la roccia non ci si può fermare o pensare

il sudore è asciutto, i piedi nella sabbia

ci fosse almeno acqua tra la roccia

morta bocca di montagna con i denti cariati che non può sputare

qui non si può stare in piedi né sedere né giacere

non c’è neanche silenzio tra i monti

ma tuono secco sterile senza pioggia

non c’è neppure solitudine tra i monti

ma volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano

da soglie di case di fango screpolato

 

se ci fosse acqua

e niente roccia

se ci fosse roccia

e anche acqua

e acqua

una sorgente

una pozza fra la roccia

 

 [ … ]

 

In questa poesia viene evocata una situazione di disagio e di inquietudine in termini onirici, creando un’atmosfera da incubo. Eliot, nella seconda strofa, fa corrispondere lo stato d’animo dell’uomo con la desolazione del paesaggio (assenza di acqua=assenza di vita), insistendo sull’aridità del paesaggio mediante una serie di ripetizioni che creano un effetto di musicalità ossessiva.

Come gli esploratori in Antartide, gli uomini che si aggirano per il deserto desolato pensano di vedere accanto ai loro compagni una presenza misteriorsa (forse la morte). Il canto diventa più disperato e folle, il canto dell’Europa che sta per finire ; tutta la civiltà europea (simboleggiata dalle città  che hanno costituito i suoi punti di riferimento: Gerusalemme per la religione, Atene e Alessandria per la cultura classica, Vienna e Londra per quella moderna e contemporanea) sembra giunta al termine della sua storia.

Ma Eliot ci offre anche una rinascita, simboleggiata dal gallo con il suo gioioso canto, segno di una nuova alba, e dal vento umido che riporta la pioggia. La desolazione è ormai superata, il tuono (Dio?) parla e annuncia il suo messaggio di salvezza: dalle sue parole emergono i valori fondamentali della civiltà passata: altruismo, compassione, autocontrollo, sulla base dei quali rifondare una civiltà nuova. Accoglieremo un giorno il messaggio di Thomas Stearns Eliot?

 

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