‘Viaggiatore solitario’: il beat, sentimentalismo e il mito hollywoodiano secondo Tondelli

Viaggiatore solitario. Interviste e conversazioni 1980-1991 di Pier Vittorio Tondelli, pubblicato postumo nel 2021 dalla Bompiani, si apre con il “giovane scrittore” Tondelli. con la sua altezza di 1,93, timido, dinoccolato e miope, che si destreggia nelle interviste con la sua aria comica e dalla parlata ricercata, usando anche delle citazioni di Rilke e Botho Strauss, senza però, definirsi “intellettuale”.

Non è un intellettuale questo viaggiatore emiliano, semmai è “uno scrittore. punto e basta”. Il suo è un lavoro che lo porta a incubarsi nella sua solitudine, a stare con i suoi personaggi e la sua musica, non ci lavora tutti i giorni però, come Moravia. Conoscere Tondelli significa entrare nella sua sfera privata con la sua scrittura, del suo rapporto intimo con essa, l’unico oggetto che fa da scenografia durante la sua composizione, è la musica di Lou Reed, Leonard Cohen e gli Smiths.

Tondelli e l’omaggio a Kerouac

Il titolo del romanzo un caro omaggio all’On the road di Kerouac: il scrittore emiliano, autore di racconti e di romanzi, scabrosi e turbolenti, come Altri libertini, che gli è costato un sequestro per turpiloquio e poi assolto, un libro rivolto ai giovani degli anni sessanta, gli anni del sesso, rock and n’roll e dell’ omosessualità. Parla ai giovani, il neolaureato al DAMS di Bologna, entra nelle loro vite e li fa protagonisti di una vita spericolata con un linguaggio hard.

Il beat e il sound

Il linguaggio hard lo ritroviamo anche nel suo secondo romanzo, Pao Pao, incentrata sui giovani e il loro modo di adattarsi per 12 lunghi mesi alla vita militare: male o bene? Tondelli in questo romanzo sostiene che poteva andare peggio, ma anche bene, a seconda di come si prendeva la vita e in quel posto niente mutava, era sempre la tua vita precedente, con la differenza che non stavi fuori, ma all’interno di un cameratismo maschile, dove mancano le donne. L’evoluzione della sintassi e dello stile tondelliano, avviene pari passi con la sua crescita anagrafica e intellettuale, rispetto ai suoi primi due romanzi: Altri libertini (1980) e Pao Pao (1982), Rimini e Camere Separate, presentano un linguaggio più maturo e tematiche quali la solitudine e il lutto che fanno pensare ai romanzi polifonici alla Bachtin.

La scrittura di Tondelli è frenetica, movimentata, ma anche ritmata: il senso del ritmo, causato dalle parole rimate e il suo repertorio musicale, è onnipresente insieme ai suoi personaggi.

La Realtà e Finzione del ribelle emiliano sono concetti “antropologici”, lo scrittore indaga sui giovani, parla di loro, priva di quella spia dei genitori, che entrano senza bussare alla porta, (i genitori non sono mai presenti nei suoi libri) nell’epoca degli anni ’60, per poi stoppare, darci un taglio, agli albori degli anni ’80, per rivolgersi a un pubblico adulto, ai trentenni, sempre, trattando però, dell’amore, del sentimentalismo, vidimato in Rimini (1985) e Camere Separate (1989). La sua vita potrebbe sembrare cinematografica come i romanzi che ha scritto, ma non lo è. Tondelli infatti si trattiene dal farsi scoprire, ma allo stesso tempo esce fuori, si fa portatore delle sue generazioni, ci parla, rende possibile che nei suoi romanzi, i giovani, trovino sé stessi.

Questo è il viaggio secondo Tondelli: la ricerca sull’interiorità, trovare un proprio posto, che sia Rimini con le sue luci al neon alla Fitzgerald con il suo “The Great Gatsby”, dove si cerca con ossessione, il successo, il mito italiano, di quegli anni, la Rimini Hollywoodiana; o Camere separate, viaggiando per l’Europa, evitando però, di spostarsi più in là, a seguito di un lutto, simile al “ A Single Man” di Christopher Isherwood, la solitudine che prende sopravvento, che culmina con la morte.

Secondo Tondelli, bisogna trasferire il parlato nella scrittura, nella macchina da scrivere. L’estraniamento in Tondelli è possibile? È possibile vederlo attuato in Altri libertini, in una scena che lo trascinò al Tribunale, non solo per l’uso del turpiloquio, ma anche per quella scena, che poteva portare il lettore a masturbarsi o a distaccarsene, creando uno shock, proprio come nel film surrealista Chien Andalou (1929) di Luis Buñuel.

“Alla fine, uno dei due fa la dose sul pene dell’altro, perché non trova delle vene intatte. È molto violento, molto emozionale. Queste pagine hanno fatto sequestrare il libro ma ho vinto il processo e ne ho vendute ventimila copie”.

 

Fonti

Silenzio, si scrive, Marisa Rusconi

Tanto Rock’ n’Roll, Natalia Aspesi

I ragazzi di Tondelli, Olivier Mauraisin

‘Tondelli: scrittore totale’. Il saggio di Sciltian Gastaldi sul dirompente Pier Vittorio Tondelli

Secondo una periodizzazione perlopiù accettata, nell’ambito della narrativa italiana si è avuto un punto di svolta databile al 1980: di là da questo ideale spartiacque si situa la tradizione novecentesca, di qua la fase che a tutt’oggi stiamo vivendo.
Se si assume senza troppa rigidità la categoria di nuova narrativa italiana è certamente opportuna a descrivere un insieme di cambiamenti avvertibili per la prima volta, in particolare, nelle opere di giovani scrittori. Tra di essi, ha interpretato un ruolo fondamentale Pier Vittorio Tondelli (1956-1991), il cui libro d’esordio Altri libertini  (romanzo politico, manifesto di una nuova generazione) viene solitamente considerato, a ragione, come una delle opere che maggiormente ha influenzato gli sviluppi successivi della narrativa.
Acuto osservatore dei più vari aspetti della creatività giovanile, Tondelli ha tracciato con gli scritti poi raccolti in Un weekend postmoderno
una mappa dettagliata di tutte le manifestazioni estetiche dei suoi tempi (dalla letteratura alla musica, dal cinema alle arti figurative, fino ai fumetti e ai videogiochi).
Ma cosa si sa davvero di Tondelli e della collocazione delle sue opere nella storia della letteratura? Come analizzare correttamente la sua figura letteraria? La ricerca del docente e saggista Sciltian Gastaldi, docente, giornalista professionista (L’Inkiesta) e romanziere, che ha dato alla luce il saggio Tondelli: scrittore totale. Il racconto degli anni Ottanta fra impegno, camp e controcultura gay, edito da Pendragon, ha portato ad un’operazione culturale oltre che che critico-letteraria, la quale mette in atto in modo scientifico la contestazione della vulgata dei due ciclopi, la critica cattolica e la critica marxista, che hanno erroneamente visto in Tondelli il cantore del disimpegno, autore blasfemo per poi essere presentato come scrittore toccato dalla Grazia?
Sciltian Gastaldi parte giustamente dall’analisi delle opere di Tondelli, avvalendosi di una vasta ed eterogenea bibliografia per la ricostruzione del dato biografico, condotta anche mediante sopralluoghi negli ambienti tondelliani, la raccolta di testimonianze orali e dello studio della biblioteca privata di Tondelli.
La tesi proposta dall’autore è che le opere di Tondelli si distinguono in primo luogo per la caratteristica dell’impegno, giocato su diversi livelli: letterario e contenutistico, contro le omologazioni imperanti dei classici e della narrativa consumistica o edificante degli anni Ottanta; linguistico sperimentale, contro il canone delle belle lettere, facendo propria e aggiornando la lezione di Arbasino; culturale, contro il conservatorismo perbenista che avversa ogni controcultura giovanile; politico, in senso non ideologico e soprattutto sociale, contro  l’omofobia e l’emarginazione, temi di gran moda al giorno d’oggi più che mai, ma che Tondelli non voleva cavalcare.
Tondelli stesso, nelle interviste, è scettico nei confronti di categorie quali la “letteratura gay” e teme che la propria opera non venga apprezzata con il solo criterio del valore letterario. Giulio Iacoli ha parlato in questo caso di «crisi di disidentificazione», ricordando che «le dichiarazioni autoriali non possono avere per noi un mero effetto impediente, di fissazione del dicibile entro territori verificati e prescrittivi». È infatti il testo stesso, con il suo ritornare in modo così insistito sul tema, a imporre alla critica di affrontare l’omosessualità, non solo come tema, ma come fattore costitutivo di una poetica.
L’omosessualità è nei contributi critici di studiosi che vivono all’estero, il tema principale attraverso il quale l’opera di Tondelli ha suscitato interesse. Il testo più frequentato dalla critica, è l’ultimo romanzo dell’autore, Camere separate, in cui la storia d’amore tra i personaggi di Leo e Thomas è il caposaldo attorno al quale è costruito l’intreccio. Come notato da Olga Campofreda, con l’eccezione di Camere separate, vi è però, generalmente, un vuoto critico intorno alle restanti opere di Tondelli.
Vuoto critico che Gastaldi ha contribuito a colmare in modo soddisfacente e puntuale, il quale ci consegna un Tondelli nella cui formazione i suoi referenti sono stati il cinema, la televisione, il fumetto, e tutta la mitologia legata ai personaggi del pop, del rock, non tanto i discorsi intellettuali. Ci consegna un Tondelli la cui scrittura basata sulla messa in scena dei linguaggi giovanili (spesso purtroppo liquidate dispregiativamente come giovanilistiche) è stata spesso fraintesa dalla critica, con l’accusa di spontaneismo, vale a dire di un’insufficiente elaborazione stilistica che sarebbe alla base di testi privi di dignità letteraria.
Gastaldi mette anche in guardia dal pericolo che porta a credere che basti avere qualcosa da raccontare, e che non serva un lavoro sulla forma. Viceversa, urge riscrivere, analizzare, rifare, per arrivare a qualche risultato, soprattutto se si vogliono raggiungere l’immediatezza e la freschezza, obiettivi faticosi da raggiungere e non spontanei, come si può pensare nel caso di Tondelli.
Il saggio di Gastaldi ci mostra un Tondelli che è più decadente che avanguardista e ha capito che i luoghi esistono fino a quando uno scrittore li scandaglia con ostinazione: lo scrittore di Correggio infatti riusciva a scrutare la costa americana dalla riviera romagnola, “detrashizzandola”, allontanandola dall’immaginario collettivo di pellicole come Rimini Rimini e Abbronzatissimi.
L’autobiografismo di Tondelli si muove dal privato all’impegno sociale, descrivendo situazioni e sensazioni che hanno quindi valore universale e dunque letterario, e a tal proposito Gastaldi distingue almeno due livelli nel corpus tondelliano, uno “positivo” e uno “negativo”. Il primo f riferimento in particolare ad Altri libertiniPier a gennaio e Camere separate. In queste opere l’autore passa in rassegna emozioni, situazioni, sentimenti da lui vissuti, per dare loro una valenza universale.
Il secondo tipo di autobiografismo presente in Tondelli è quello che Gastaldi chiama “fisico-pedissequo” ed è utilizzato ne Il diario del soldato Acci, in Dinner Party, in Rimini e, anche se il discorso a riguardo è molto più complesso, anche in Pao Pao. In questi lavori l’autore tende a plasmare la maschera dei suoi personaggi per farla aderire alla propria, rimanendo così prigioniero delle proprie esperienze. In questo modo i personaggi risultano tutti un po’ simili tra loro.

Gastaldi presenta inoltre un Tondelli che bramava un confronto aperto tra scrittura e critica, avendo con essa un rapporto difficile. Critica che si è sempre più arroccata su se stessa incapace di un dialogo con la scrittura che l’hanno resa pressoché insignificante, faziosa e inattendibile.

Per quanto concerne la controcultura gay, è importante sottolineare come Tondelli non legga l’omosessualità in termini ideologici e neppure identitari, come oggi si tende a fare in concomitanza con la questione diritti civili, dimenticando quelli sociali. Tondelli è contrario a una riduzione della complessità della persona alla dimensione della sessualità che non può diventare l’unico elemento per cui una persona si identifica per ciò che è, rischiando l’auto-ghettizzazione.

La produzione letteraria di Tondelli è strettamente legata agli anni Ottanta: lo slang giovanile subisce trasformazioni in tempi molto rapidi, per cui il linguaggio giovanile dei tardi anni Settanta e dei primi anni Ottanta che si trova in Altri libertini o in Pao Pao non è più attuale. Tuttavia il ritmo di Tondelli è talmente incisivo, che ancora oggi Altri libertini e Pao Pao risultano comprensibili e freschi, al di là delle mutazioni linguistiche.

Gastaldi infine ci fa capire quanto la logica commerciale fosse del tutto estranea all’operazione di Tondelli, acuto osservatore sociologico mentre oggi essa sembra quella che domina gran parte dell’editoria.

Tondelli: scrittore totale rifugge dai paludati accademismi tipici di tanti saggi, e appare come un’opera al passo con i tempi rimettendo al centro del dibattito Pier Vittorio Tondelli, sia quello sbarazzino che spirituale, cercando di allargare il discorso tenendo in considerazione gli studi in precedenza svolti su Tondelli, il  cui “giovanilismo” è condizione esistenziale (tenendo anche conto che lo scrittore scomparve a soli 36 anni),  prediligendo quelli che si sono soffermati sulla dimensione impegnata di Tondelli, dinamica, vagabonda, energica. A questi elementi Gastaldi ne aggiunge uno molto importante per la piena comprensione dello scrittore emiliano, ovvero l’apporto dell‘estetica camp nelle sue opere, che hanno reso Tondelli l’iniziatore della controcultura queer, di quei giovani alla ricerca di qualcosa di diverso e dirompente per sfuggire all’omologazione borghese.

Viene da chiedersi se ci siano riusciti, cosa stia producendo la narrativa “giovanilistica” e la controcultura queer in termini di linguaggio, se non si tratti invece ad un neo-conformismo e neo-imborghesimento grottesco che non ha nulla di trasgressivo e cosa ne avrebbe pensato Tondelli.

 

 

Pontedera negli anni ’80. Ricordi di provincia. Un racconto di Davide Morelli

Negli anni ’80 il futuro era roseo, a Pontedera. Si respirava la speranza. Non c’era la crisi di adesso. Le ragazze erano innamorate perse di Luis Miguel, dei Duran Duran, degli Spandau Ballet, di Miguel Bosè e di Antonio Cabrini. C’era chi era innamorato di Sabrina Salerno, di Lorella Cuccarini, di Samanta Fox, di Tracy Spencer.

La Rettore cantava Splendido splendente, ma i ritocchi erano una rarità e quasi tutte le ragazze non avevano seni prorompenti.  Si diceva elegantemente che i seni dovevano stare in una coppa di champagne. Alberto Camerini spopolava tra le giovani leve. Madonna e la Lauper avevano un successo mondiale.

Kim Carnes ci aveva stregato tutti con gli occhi di Bette Davis. Belinda Carlisle era bellissima. Il pontederese Riccardo Fogli vinceva nel 1982 il festival di Sanremo con Storie di tutti i giorni. La Piaggio era ancora degli Agnelli. La stella di Giovanni Alberto Agnelli sarebbe brillata negli anni 90. Ma torniamo alle cose frivole.

All’epoca non c’era ancora una cura efficace per l’acne. Pochi andavano in palestra. Tutti avevano un walkman. Claudio Cecchetto era sulla cresta dell’onda come produttore cinematografico. Erano molto seguiti il Drive in ed il Festivalbar. Vasco Rossi sfornava un successo dietro l’altro. A me piacevano molto le canzoni di Venditti, ma non disdegnavo gli altri cantautori. Gianni Togni cantava capolavori come Luna e Semplice.

Sting cantava Russians e denunciava le paure dei cittadini comuni nei confronti delle due superpotenze e della guerra fredda. Ci sentivamo in colpa per i bambini africani? Ecco allora che ascoltavamo We are the world del super-gruppo musicale Usa for Africa. Al cinema riscuotevano un enorme successo i film di Pierino e tutte le commedie all’italiana, che gli intellettuali disprezzavano, lodando Fellini e Michelangelo Antonioni.

All’epoca i cinema erano sovraffollati. Non c’era ancora il cd ma le cassette e i vinili. C’era chi faceva le ore piccole per guardare Maurizio Costanzo. Noi adolescenti guardavamo Colpo grosso presentato da Umberto Smaila. Non c’erano le TV satellitari e c’era invece Tutto il calcio minuto per minuto. Il Pontedera era in C2 e quando giocava in casa contro il Livorno lo stadio era pieno: cinquemila persone, quasi tutti labronici. Molti tifavano Pisa: il Pisa di Anconetani, che era allora in serie A. Molti altri tifavano la Fiorentina di Antognoni, arrivata seconda nel 1982.

La biblioteca era ancora alla villa Crastan. È passato molto tempo. Molti negozi storici hanno chiuso. Allora si riteneva erroneamente che il titolo di studio avesse una grande importanza. L’università sarebbe però diventata di massa negli anni 90. Dal settantotto la televisione era a colori. Chi aveva voglia di trasgressione faceva annunci e fermoposta. Cicciolina e Moana Pozzi erano diventate delle icone ed avevano sdoganato il porno.

Nel 1988 si iniziò a parlare di aids e ci fu davvero una psicosi soprattutto tra giovani. Regnava la disinformazione. Tutti iniziarono ad avere paura e ad essere sul chi va là. Tutti iniziarono a essere guardinghi. I giovanissimi ascoltavano Radio Valdera e lì facevano le dediche. Si scrivevano ancora lettere d’amore. Pochi usavano il computer. Io avevo uno Spectrum. Il personal computer più diffuso a quei tempi era il Commodore 64. Pochi conoscevano il BASIC. Pochissimi il linguaggio macchina. I calciatori non guadagnavano ancora cifre spropositate.

Berlusconi era solo un grande imprenditore e non era ancora entrato in politica. Governava la democrazia cristiana ma Craxi e Spadolini facevano gli aghi della bilancia. C’erano ancora i concorsi nello stato e c’erano ancora i portaborse le raccomandazioni. L’America era lontana ed era un sogno. Ascoltavamo Bob Dylan, Jim Morrison, Bruce Springsteen. A rifletterci oggi sappiamo che noi italiani importiamo le mode americane con venti anni di ritardo, sappiamo che l’America è cinque volte più popolata della nostra penisola e che le strade americane sono molto più grandi. Oggi da adulti siamo ben coscienti delle contraddizioni americane. Ma a quel tempo eravamo quasi tutti istintivamente esterofili.

Quanto tempo è passato! A quell’epoca gli adulti si ritrovavano tutti al bar Fornai sul piazzone. La nostra comitiva invece si trovava al bar Messicano, dove si poteva anche giocare al ping pong. Alle volte ci trovavamo anche davanti alla Gelateria veneta. Si andava alle feste dell’Unità al parco della Montagnola, caratterizzato da dei pini secolari. I deejay famosi erano Corrado e Biafra.

Allora non c’erano ancora le rotonde e la pista ciclabile. Non c’era ancora la superstrada e i fiorentini per andare al mare passavano tutti da La Rotta. L’Arnaccio era l’unica strada che andava da Pontedera a Livorno. Su questa strada c’erano molti morti perché ci passavano molti camion e il traffico era infernale; c’era il ristorante Baldini, dove si mangiava del buon pesce a prezzi accettabili. Alla stazione dei treni si poteva ancora lasciare la bicicletta senza farsela rubare.

Pontedera era nel bene e nel male la capitale della Valdera. Il sabato pomeriggio venivano sul corso tanti cittadini dei paesi limitrofi. Si sapeva già allora che le sigarette facevano male e provocavano il cancro, ma molti fumavano. All’epoca noi adolescenti non bevevamo alcolici. Non era come oggi che alcuni ragazzi finiscono in coma etilico nel weekend. La nostra comitiva si ritrovava sempre sotto i loggiati della pretura. Facevano ogni giorno delle vasche, cioè andavamo avanti ed indietro nel corso Matteotti.

Le sale giochi erano piene di giovani, di spacciatori di droga e di poliziotti in borghese. Io abitavo allora in via Venezia e nella stradina sterrata dietro casa c’erano i resti delle notti brave dei pontederesi: preservativi e siringhe. Pontedera era la capitale dello spaccio del circondario. Allora girava molta eroina. Chi si faceva le cosiddette pere si notava subito. Oggi non c’è più questa linea di demarcazione netta tra drogati e non. Sono molti i consumatori occasionali di cocaina e droghe sintetiche. Inoltre anche coloro che sono dipendenti da queste sostanze psicotrope si vedono meno, addirittura non saltano all’occhio. A quei tempi comunque non c’era la cultura dello sballo odierna.

Allora ero solo un ragazzetto. Il commercio pontederese non era così in crisi. Ponsacco era famosa per i suoi mobilifici. Le fiere del mobile di Perignano erano affollate. I livornesi compravano le case in campagna del nostro entroterra umido. I titoli di stato rendevano. I benestanti si facevano la casa al mare. Il lavoro si trovava. Cascina era famosa per gli artigiani del mobile. Erano anni spensierati per tanti. C’era chi guidava il Ciao e chi il vespino. Nei bar si giocava a flipper e a biliardino. C’erano ancora le cabine telefoniche e i gettoni. C’erano i paninari. C’erano le cassette per ascoltare musica e sul finire degli anni 80 anche le videocassette. In tanti usavamo la gelatina. Gli adulti invece utilizzavano la brillantina.

Le mode giungevano sempre in ritardo nella nostra provincia. C’era chi andava a ballare al Freedom di Fornacette, al Waikiki vicino allo stadio oppure al Boccaccio di Calcinaia. I più grandi andavano al Don Carlos di Chiesina Uzzanese. Al Boccaccio erano assidui frequentatori i santacrocesi, figli di proprietari di concerie. Si presentavano sempre con macchine di lusso.

Cuccare era fondamentale per la reputazione e io non cuccavo. Più tardi avrei capito che i drammi della vita sono altri. Oggi ci si sente protagonisti sui social. Allora ci si sentiva protagonisti nell’angolo di un bar oppure nella pista di una discoteca. Il liceo era provinciale e sonnolento. Di politica si parlava pochissimo.

Tutti si erano disaffezionati alla politica. C’era un ritorno al privato rispetto agli anni ’70. La reputazione di un ragazzo veniva fatta da cose stupide e frivole, che però allora sembravano tanto importanti e sembravano avere la priorità su tutto il resto. Firenze era un sogno. Firenze era troppo lontana. Era la Firenze briosa descritta da Tondelli. Mi sentivo ridicolo quando ballavo. Ero goffo. Ero imbranato negli approcci con l’altro sesso. Ero un adolescente sfigato.

Sono ricordi lontanissimi e sfumati ormai. A volte mi chiedo a cosa è servito tutto ciò? Ne ho forse tratto giovamento? Resta solo una serie di aneddoti. Resta qualche ricordo da condividere con qualche amico di vecchia data. Mi chiedo talvolta se vorrei davvero tornare indietro in un pomeriggio qualsiasi degli anni ’80. Mi rispondo sempre di no. Va bene così, anche se allora ero giovanissimo. I miei miti di allora ora sono anziani. Le ragazze che mi piacevano e mi dicevano no adesso sono mature madri di famiglia. Io stesso sono un omuncolo attempato. Cosa resta ad ogni modo oggi degli anni ’80? Qualche ricordo sbiadito. Soltanto questo.

E della crisi attuale? E di questi tempi nefasti che dire? Come scrisse Leonard Cohen: “C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce”.

 

 

Tondelli, il rifiuto di ogni ideologia

Pier Vittorio Tondelli muore di AIDS nel 1991 a soli 36 anni ed è stato scrittore prolifico e famoso, viaggiatore instancabile ed acuto osservatore delle mode e dei costumi degli anni ottanta. E’ ancora difficile fare un bilancio obiettivo sulla sua opera. Tondelli esordisce nel 1980 con “Altri libertini”, sequestrato per oscenità e poi assolto con formula ampia.

Il processo giudiziario e la straordinaria novità del libro lo portano al successo, vende 200000 copie. Tondelli diventa così, senza volerlo, lo scrittore di una generazione, quella del settantasette. Con il suo primo libro riesce a dare voce a gay, travestiti, drogati e studenti fuori sede.

Nel suo secondo libro “Pao Pao” invece tratta di una caserma di soldati, delle loro peripezie sotto la naia. Mette in luce sia il cameratismo tra commilitoni che il nonnismo. Infatti Tondelli stesso dichiarò che sotto naia vige “una giustizia tribale e assoluta, tollerata dalle gerarchie che fingono di non vedere, finché non scappa il morto”. In tutta l’opera si nota il contrasto tra l’istituzione (con le sue pratiche burocratiche e le sue norme rigide) e la spontaneità dei ragazzi.

Anche in un altro suo romanzo “Rimini” il punto di vista è collettivo, come nei precedenti. Tondelli vuole mettere in mostra “la carnevalata estiva” della riviera romagnola. Le storie dei ragazzi si intrecciano nella notte. Nonostante il continuo ribaltamento del giorno con la notte, le trasgressioni, il sesso nessuno di loro troverà quel qualcosa di cui è alla ricerca. Nel suo ultimo romanzo “Camere separate” non abbiamo il dinamismo dei precedenti. Si tratta infatti di un libro intimista, in cui prevalgono lo scoramento e la solitudine del trentenne Leo. Il protagonista cerca di rielaborare il lutto del suo compagno Thomas.

Un aspetto che contraddistingue Tondelli rispetto a molti altri della sua generazione è il rifiuto di ogni ideologia. Forse è per questo motivo che nonostante il successo editoriale e le opinioni benevole della critica più avanzata non gli è mai stato conferito un premio letterario. “Linea d’ombra” e il Gruppo 63 sottovalutarono sempre il suo talento. Diversi critici hanno esaminato l’opera omnia di Tondelli. Tra questi spicca il gesuita Antonio Spadaro, fondatore di Bomba Carta, che ha notato l’apertura alla trascendenza ed una spiccata sensibilità religiosa nella seconda produzione di Tondelli.

Già Bonura aveva intuito questo lato religioso dello scrittore di Correggio. Un dato di fatto incontestabile della religiosità di Tondelli è ad esempio l’intervista a Carlo Coccioli. Si può essere d’accordo o meno, ma il lavoro di Antonio Spadaro merita rispetto: ha passato sette anni della sua vita a leggere tutto quello che Tondelli aveva scritto. Ha letto anche tutti i suoi appunti, tutte le sue annotazioni diaristiche, tutti i libri che aveva letto Tondelli. Ha sentito tutti i suoi amici e conoscenti.

Un altro aspetto innovativo di Tondelli è la mancanza di ogni accademismo. Nella maggior parte dei suoi libri adotta il gergo giovanile. Tondelli non è libresco, il suo stile è antiletterario. Ma d’altronde- viene da chiedersi- in base a quali valori si giudica la letterarietà di un testo? In base forse ai canoni estetici, ormai antiquati, che furono ad esempio di Pascoli? Uno dei punti fermi di Tondelli è la narrativa di Silvio D’Arzo, che nella sua breve esistenza scrisse “Casa d’altri” e “L’aria della sera”. Silvio D’Arzo, anch’egli emiliano, negli anni’20 ha uno stile originale, antinaturalista e minimalista, agli antipodi rispetto al verismo piccolo-borghese tanto in voga all’epoca. Ma ritorniamo a Tondelli.

A questo aspetto si aggiunga lo stile postmoderno di Tondelli, per cui nelle sue pagine si trovano brani di canzoni rock, citazioni letterarie, esclamazioni dialettali, musica pop, cinema americano, beat generation. Ma non è tutto. Tondelli cerca il ritmo della frase, che deve possedere una sua musicalità. Tondelli è maestro di quella che lui chiama “la letteratura emotiva”. Tramite questo ritmo del linguaggio parlato riesce a catturare il lettore, a fargli leggere tutto d’un fiato la pagina scritta.

La tematica centrale dei libri di Tondelli è la fuga, l’emancipazione dalla provincia asfittica. Lo scrittore scrive che l’unico modo di uscire dalla Peyton Place della provincia è Kerouac. Infatti i protagonisti giovanili dei suoi racconti girano tutta l’Europa: Londra, Berlino, Amsterdam, Barcellona. Ma sono fughe a breve termine, una sorta di “mordi e fuggi” per poi ritornare alla tanto maledetta provincia. D’altronde a queste piccole evasioni c’è solo un’altra alternativa: quella del weekend postmoderno, che in fondo è una pseudo libertà.

Oltre alle opere letterarie abbiamo anche l’attività editoriale di Tondelli. Con il progetto “Under 25” seleziona i racconti della nuova generazione. Sceglie quelli che lui definisce gli scarti che si discostano dalla norma. Li riunisce in quattro categorie: testi intimisti, generazionali, di genere, sperimentali. Tra gli autori di questi racconti prescelti, Silvia Balestra. Un’ultima. brevissima, nota infine sul suo  “Weekend postmoderno”, un libro imprescindibile per chi voglia capire gli anni ottanta italiani.

 

Di Davide Morelli

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