‘E ascoltai solo me stesso’: il romanzo in seconda edizione di Giovanni Margarone

E ascoltai solo me stesso, pubblicato in seconda edizione dalla casa editrice Kimerik, è la terza opera di Giovanni Margarone. Nato il 17 ottobre 1965, lo scrittore è originario di Alessandria ma friulano di adozione. Sin da ragazzo le sue due vocazioni naturali sono la scrittura e la musica.

All’età di dodici anni, mentre si accinge ad intraprendere lezioni di pianoforte, Margarone scrive i suoi primi due romanzi mai pubblicati. Assiduo lettore, cultore della musica e della filosofia , continua a scrivere, producendo pensieri e racconti brevi, anch’essi mai divulgati. Nel 2011 crea un blog che negli anni successivi ispirerà il saggio di scienze sociali Oltre l’orizzonte, pubblicato nel 2013. Il 2018 consacra Giovanni Margarone al mondo del mercato editoriale, scrive e pubblica per la casa editrice Kimerik tre romanzi: Note fragili (seconda edizione), Le ombre delle verità svelate (seconda edizione), Quella notte senza luna . Nel 2019 esce E ascoltai solo me stesso. Nello stesso anno, un suo racconto Il segreto del casone è inserito nell’antologia “Friulani per sempre” – con postfazione di Bruno Pizzul – edito da Edizioni della sera.

Tutte le sue opere sono state insignite da numerosi riconoscimenti a livello nazionale, posizionandosi spesso ai primi posti di diversi concorsi letterari. In particolare il suo ultimo romanzo si è aggiudicato il secondo posto al Premio letterario internazionale Lilly Brogi La Pergola Arte 2019 XI Ed. di Firenze. In più è finalista al Premio Letterario Internazionale di Poesia e Narrativa Virgilio in Antica Atella II edizione 2019 di Frattaminore.

I romanzi di Margarone rientrano maggiormente in quelli di formazione, per via dell’evoluzione che fanno compiere ai protagonisti. Forte è la componente introspettiva e psicologica, nonché l’evocazione al neorealismo del ‘900 italiano, per cui il personaggio resta sempre e comunque l’elemento centrale delle narrazioni, che potrebbero essere quindi ambientate in qualunque luogo. Per questo, le descrizioni dei luoghi in cui i personaggi si muovono fungono essenzialmente da supporto, senza peraltro appesantire, ma concedendo la giusta enfasi.

Si nota nell’autore una spiccata attenzione verso la letteratura ottocentesca russa, francese e tedesca (in particolare, Dostoevskij, Proust, Goethe, Tolstoj, Prevost, Balzac per citarne alcuni); senza dimenticare i riferimenti al Novecento italiano, nelle figure, fra gli altri, di Svevo, Cassola, Calvino e Cesare Pavese.

E ascoltai solo me stesso

Michel Dubois viveva in una piccola casa sulle rive del PetitRhône, in Camargue, non lontano da Saintes-Maries-de-la-Mer. Era un uomo rude, di poche parole e trascorreva le giornate a lavorare nei suoi campi e a curare i suoi cavalli bianchi. Era molto geloso dei suoi cavalli, li chiamava per nome, ne aveva tre. Erano bellissimi. Non avrebbe scambiato l’amore per nessuna donna al posto dei suoi cavalli. Dubois odiava le donne e, in generale in apparenza, l’intero genere umano, almeno così dicevano in paese. Sosteneva che gli animali erano i veri abitanti della Terra perché, se si ammazzavano, lo facevano solo per istinto di sopravvivenza. Per questo raramente andava a Saintes-Maries-de-la-Mere e quando ci andava, ci stava lo stretto necessario per approvvigionarsi di ciò che gli necessitava, schivando coloro che pure lo conoscevano. Li schivava perché sapeva che parlavano male di lui. Ci andava con la sua vecchia e sgangherata Renault 4. La riempiva di roba e poi, mentre la sua auto ansimava dallo sforzo, tornava lentamente a casa. Il Dubois chi fosse lo sapevano tutti, ma nessuno lo conosceva veramente. Molti lo canzonavano per quella vita da semi eremita che conduceva, pur essendo a un passo dal paese e dal mare. Era come se lui vivesse sul costone ripido di una montagna, in compagnia della sua solitudine e dell’echeggiare del vento. Lassù, dove solo le aquile riescono ad arrivare vincendo le correnti delle altitudini. Poco si sapeva di lui, qualcuno pensava che non fosse neanche francese. Tuttavia, tutti lo consideravano un uomo pazzo e malvagio, fosco e gretto.

In E ascoltai solo me stesso, l’autore racconta di Jacques, un giovane della provincia francese, che durante il proprio percorso tardo adolescenziale conosce Michel Dubois, un anziano agricoltore di origine spagnola dal misterioso passato che vive un’esistenza solitaria nel sud della Francia, nei cui confronti la popolazione del paese nutre profondi preconcetti. In questa fase la vicenda umana di Jacques si arricchisce anche del rapporto sentimentale con la coetanea Josephine. Tali incontri, in un crescendo di subitanei colpi di scena, rappresenteranno per il protagonista dei naturali concetti paradigmatici della maturazione esistenziale, nonché una sorta di palingenesi, vista come rinascita spirituale e sociale non solo personale ma collettiva. E nel suo percorso, Jacques ascolterà solo e soltanto se stesso, sordo dei preconcetti che aleggiano nel suo paese, Saintes-Maries-de-la-Mer.

Di E ascoltai solo me stesso il celebre artista e poeta Enrico Marras ha scritto: “In questo nuovo romanzo di Giovanni Margarone, ambientato nella Francia del sud, il protagonista principale narra il suo profondo percorso introspettivo, denso delle problematicità adolescenziali e della sua precipua intenzione di seguire solo ciò che sente dentro se stesso, con l’intento di sfuggire a qualsiasi tipo di preconcetto.

Questo incontro rappresenta per l’autore Giovanni Margarone la palingenesi, vista come rinascita spirituale e sociale non solo personale ma collettiva, quasi un percorso catartico di redenzione magistralmente articolato dall’autore. Meritano un’analisi di estremo interesse storico i capitoli della narrazione autobiografica del secondo protagonista, in una sorta di condivisione simbiotica col principale, sugli atroci eventi che hanno contraddistinto la guerra civile spagnola (con la menzione alla città di Guernica e ai suoi avvenimenti tragici, proiettati in modo indelebile nella storia attraverso il capolavoro di Picasso) e il conseguente dramma dei profughi spagnoli antifranchisti, dei quali Michel faceva parte, in terra francese

Giovanni Margarone, alla sua quarta fatica letteraria, si rivela sempre più padrone delle sue storie muovendosi in uno stile attento a coniugare il contemporaneo con la lezione dei classici da lui amati, inquadrabili in particolare fra la seconda metà dell’Ottocento e il primo Novecento, dalla descrizione dei processi interiori individuabili in un’attenta analisi della cifra proustiana (“Recherche”) o all’evidente insondabilità umana di pirandelliana memoria. Margarone, in un susseguirsi d’intrecci narrativi, insegue i suoi personaggi sviluppandone l’essenza da diversi angoli di visuale, costringendoci ad affrontare la natura umana nei suoi aspetti più impenetrabili e controversi che, una volta scandagliati, raggiungono la salvifica consapevolezza del dubbio.

 

‘Il giovane europeo’: l’altra Europa di Pierre Drieu La Rochelle, dove l’uomo non sa più esprimere nulla

Nato a Parigi nel 1893 da una famiglia borghese di origini normanne, Pierre Drieu La Rochelle condivise le inquietudini e le delusioni di una generazione sconvolta dalla Grande Guerra e dalle macerie spirituali di un vecchio mondo in rovina. Alto, snello, elegante – terribilmente attraente – con un sorriso breve e raffinato, aveva un aspetto penetrante e diretto. Si contraddistinse come il tipo del “martire rivoluzionario”, sfidando le convenzioni “di destra e di sinistra” per il bene dell’Europa, e senza dubbio ci parla ancora attraverso i suoi libri.

L’attualità della sua figura riguarda, in particolare, un “sovranismo europeo” (diremmo oggi), la cui preoccupazione fondamentale è che la rinascita dell’Europa non agisca per distruggere le nazioni a mezzo di una economia iper-liberista, ma per integrarle in un orizzonte più vasto. A proposito di prospettive spirituali e critiche del nostro autore in tema di Europa: è stato pubblicato quest’anno da Aspis in prima edizione italiana, curato e tradotto da Marco Settimini, “Il giovane Europeo”, uscito in Francia nel 1927. I testi che vi sono raccolti incarnano, con vigore sincero, un originale spirito di combinazione tra eccentricità dadaista, entusiasmo futuristico per l’innovazione tecnica e rivolta surrealista, pur mantenendo il ricordo della tradizione classica.

l libro si compone di tre saggi. I primi due, sotto forma di ritmi narrativi di un diario, descrivono le esperienze di un giovane europeo del XX secolo – dallo sport alla politica, dalla religione alla tecnica, dalle sperimentazioni artistiche e culturali alla rivoluzione e alla guerra – un uomo che matura lentamente un senso di inevitabile decadenza e si vede smarrito in una terra che non sente più come patria.

L’altro saggio, partendo dalla descrizione di una music hall, allegoria dello “spettacolo” della vita moderna, sviluppa una riflessione atroce sulla “strana” bellezza e sul fascino di una civiltà in decomposizione. Seguendone le bizzarrie, si capirà presto che l’autore cerca piuttosto di liberare la propria anima dal complesso dramma del tempo, per offrire soluzioni ai tempi che verranno. Con uno stile visionario e surrealista, le feroci critiche alla modernità richiamano politicamente le parole dell’illustre predecessore Alexis de Tocqueville, senza dimenticare i contemporanei Bernanos e Céline.

Sogna di trasferirsi in America, di dedicarsi agli affari, sposarsi e avere un figlio, ma “Passando dai grandi eserciti d’Europa alla guerra brutale che l’americano incessantemente conduce contro la Natura, mi resi presto conto di non aver mutato di clima”.

Troviamo, inizialmente, gli elementi di una mitologia bellicosa che diventano la matrice della sua concezione dell’azione e della sua visione del mondo. Il divario tra questa mitologia eroica e l’esperienza della prima guerra industriale anonima, tuttavia, rivela una realtà in cui i soldati sono antieroi passivi, schiavi delle macchine, che si comportano come un gregge – come le masse nei regimi democratici. Sopraffatti dall’atroce esperienza della Grande Guerra, delusi dal lugubre immobilismo del vecchio mondo, che vedono ricadere nella routine delle abitudini borghesi, gli scrittori di quella generazione, cui Drieu La Rochelle non fa eccezione, sperano ancora di dare un senso a una modernità che fugge via in un perpetuo movimento di accelerazione verso il vuoto. La crisi spirituale scatenata dalla guerra lanciò il suo incantesimo sull’intera epoca che precedette lo scoppio dell’altro conflitto mondiale.

Nel mettere in discussione le fondamenta di tutto un mondo, il nostro autore coglie queste impressioni:

Mi sforzo di avvicinare, fino a toccarli con le dita, i caratteri della mia epoca. Li trovo abominevoli, e così dominanti che l’uomo infiacchito non potrà più sottrarsi alla fatalità che enunciano, e ben presto ne morirà.
Meccanizzazione, egualitarismo, sono i ragni che tessono la tela dei loro crudeli nomi tra le mie palpebre. Vedo un orizzonte fatto di sbarre di prigione. Il soffocamento dei desideri tramite la soddisfazione dei bisogni, questa è la polizia parsimoniosa, l’economia sordida che deriva dalle facilitazioni con cui ci opprimono le macchine e che l’avrà vinta sulle nostre razze. L’uomo ha del genio soltanto se ha vent’anni e se ha fame. Ma l’abbondanza delle drogherie uccide le passioni. Rimpinzata di conserve, nella bocca dell’uomo si crea una pessima chimica che corrompe i vocaboli. Niente più religioni, niente più arti, niente più linguaggi. Sconvolto, l’uomo non esprime più nulla.

Il XX secolo aveva reso obsolete non solo le vecchie forme di civiltà, ma l’ordine stesso uscito dai Trattati di Westfalia (1648), inaugurando un’era di imperi continentali che aveva diminuito il significato e la “sovranità” dello stato-nazione. Finché l’Europa fosse rimasta politicamente fratturata, avrebbe rischiato, quindi, non solo un’altra lotta fratricida, come nei fatti avvenne, ma il dominio delle potenze continentali del capitalismo americano e del comunismo sovietico, per non parlare di quelle degli imperi cinese e indiano, che irrompono all’inizio del XXI secolo.

La Francia, la Germania e le altre nazioni europee, in altre parole, avrebbero potuto sopravvivere all’era degli imperi continentali – con le loro economie di scala e la tirannia dei numeri – solo attraverso la federazione, che non significava tuttavia liquidazione nazionale. A differenza dell’attuale Unione, la federazione di Drieu La Rochelle non consisteva nel subordinare i popoli del continente al primato del libero mercato divinizzato. Influenzato nella sua giovinezza da nazionalisti come Charles Maurras e Jacques Bainville – che lo iniziarono al culto della Francia, che egli amava “come una bella donna che potrebbe incontrarsi per strada di notte” – allo stesso tempo vide che il nazionalismo aveva raggiunto un punto morto, sia in termini di rivalità autodistruttive che di limitazioni imposte allo spirito europeo. Tutti i nazionalismi che rendono la patria una fine piuttosto che un inizio stavano respingendo le stesse energie e creatività nate dalla patria stessa.

Dopo i contatti con il movimento surrealista, iniziò un forte avvicinamento ai socialisti, non vedendo altri mezzi per raggiungere i suoi desideri per la federazione europea. Tuttavia, il socialismo di Drieu La Rochelle aveva poco in comune con il marxismo – con il suo universalismo, il collettivismo e il materialismo paralizzante. Piuttosto, il suo era il socialismo che Spengler attribuiva ai prussiani: il socialismo organico e autoritario che subordinava l’economia alla nazione e perseguiva i fini sociali privilegiando lo sviluppo dello spirito e della vitalità.

Anche il fascismo, che abbracciò successivamente, non era in lui del tutto ortodosso. L’interesse era più esistenziale che politico. Piuttosto che il nazionalismo piccolo-borghese, anticomunista, fissato nello stato, lo attrasse l’istintiva opposizione all’ordine liberal-capitalista, l’enfasi su gioventù, salute, ribellione, azioni virili, e in particolare la volontà nietzschiana di vivere pericolosamente. Il “fascismo” in Drieu derivava, in definitiva, dall’identificazione con la volontà di superare la decadenza nata dall’età moderna e, nel farlo, di realizzare una comunità spirituale superiore.

A seguito della battaglia di Francia (maggio-giugno 1940), che confermò la sua scarsa opinione del regime parlamentare francese e la convinzione che l’esercito, nel subire la più grande débacle nella storia nazionale, riflettesse la natura sclerotica dell’ordine sociale borghese, La Rochelle tentò di sfruttare al meglio una situazione ostile, collaborando con l’occupante tedesco, nella speranza di creare in Francia un certo rispetto per la Germania nazional-socialista e, nel frattempo, di rendere il fascismo meno nazionalista e più europeo e socialista. Rassegnandosi al fatto che i francesi non erano riusciti a realizzare la propria rivoluzione, era propenso a pensare che questa dovesse essere imposta dall’esterno. Con questo spirito assunse la direzione della più prestigiosa rivista francese, la Nouvelle Revue française e si impegnò in varie attività per dare sostanza agli ideali collaborazionisti, per unificare l’Europa realizzando il tipo di rivoluzione che aveva rianimato la Germania dopo il 1933.

Ancora una volta sarebbe rimasto deluso. Sempre più alienato dagli occupanti e ossessionato dall’imminente destino dell’Europa, si rifiutò di rifugiarsi in Svizzera o altrove, una volta che la possibilità si presentò dopo il 1943. Sentiva che era una questione d’onore. La notte del 15 marzo 1945, mentre si nascondeva dal nuovo regime instaurato a Parigi, deglutì una fatale dose di veleno.

Drieu La Rochelle riconobbe che l’Europa era una specie di mito, la cui risonanza aveva ancora il potere di evocare quelle forze che avrebbero potuto sfidare la decadenza regnante. La sua visione della federazione, questa Europa dei patrioti, cercava di ravvivare lo spirito specifico di forme di vita uniche e incomparabili, non di dissolverlo in un mercato unico mondiale. Tuttavia, le sue parole non lasciano molte speranze:

Di tutte le civilizzazioni sotto i nostri occhi, non ci rimane oggi nient’altro che un’unica civilizzazione planetaria, tutta logora.

 

Gabriele Sabetta

‘Anni difficili’ di Franco Rizzi: un romanzo per le vecchie le nuove generazioni

Anni difficili è l’ultima pubblicazione di Franco Rizzi. Nato a Torino nel 1935, Rizzi ha vissuto la maggior parte della sua vita a Milano. Dopo la maturità intende fare lo scrittore come mestiere e il giornalista come secondo lavoro. Destinato dal papà al comando dell’azienda familiare si iscrive e si laurea in ingegneria al Politecnico di Milano con l’intenzione di continuare a coltivare il sogno giovanile di scrivere.

Tuttavia gli impegnativi studi fanno maturare in lui la scelta di accantonare il suo sogno e dedicarsi completamente all’azienda. Dopo la laurea Rizzi comincia a lavorare e dopo la morte del padre prende le redini in mano della società. Il lavoro lo porta a viaggiare molto e a fare esperienza del mondo. Accanto alla passione per Storia, le armi, le navi, la vela, il pugilato e l’architettura, riaffiora la scrittura e questa volta Franzo Rizzi decide di inseguirla. Scrive molti articoli tecnici, anche in lingua inglese. Sono anni molto prolifici: pubblica ben sette libri Luca Falerno, Caccia nelle Murge, GAM Editrice; 1945 Anno Zero sul lago, La Riflessione Editrice; 1871 La Comune di Parigi, GAM Editrice;Mini Storia di un pittore, Kairòs Editrice. Viene alla luce il neo progetto di una casa editrice con pubblicazione gratuita, La Paume Editrice. Proprio con quest’ultima pubblica Scrivimi, Il Delta del Nilo e Anni difficili. “Scrivo da sempre, perché amo scrivere, ma più intensamente da quando alcune parti di me sono riemerse, come bolle d’aria dal profondo del mare dove avevo cercato di seppellirle”. Come lui stesso afferma.

Attualmente Franco Rizzi divide il suo tempo tra il lavoro in azienda, dove ha ceduto gli incarichi dirigenziali e operativi ai successori ed il mestiere di scrivere.

Il romanzo Anni difficili


Anni difficili è un romanzo di matrice storica che racconta i cosiddetti Anni di Piombo, intrecciando la Grande Storia di quegli anni con quella di tre protagonisti, emblematici per comprendere quello che è successo nella politica, nell’economia e nei rapporti tra mafia, servizi segreti, massoneria e classe dirigente. Ne risulta un romanzo molto avvincente dove la realtà per l’autore è complessa, intricata come un romanzo o film noir.

Quella notte di fine aprile era piuttosto fredda per essere ai
caraibi, ma non era buia, perché la luna rischiarava il cielo. La
terrazza era deserta, l’uomo si avvicinò alla balaustra e vi appoggiò
per un istante la mano, poi la ritrasse perché era di pietra
ruvida e sgradevole al tatto.
Sulla terrazza al piano di sotto era in corso una festa, forse per
un matrimonio. Quattro suonatori di tromba, vestiti con costumi
tradizionali messicani, con ampi sombreros sul capo, suonavano
una melodia che lo riempì improvvisamente di una grande
tristezza.
Quella musica sembrava ricordargli che il suo tempo era passato,
irrimediabilmente passato. Lui era tornato di nuovo a Caracas,
ma nulla era più come allora.
Vi era arrivato per la prima volta nel 1976, ma ormai quei
giorni gli sembravano lontani: i ricordi dei tragici avvenimenti
che, dopo di allora, si erano succeduti, gli si affacciarono tutti
insieme alla memoria e quasi lo travolsero. Tornò ad appoggiare
la mano alla balaustra, poi di nuovo si raddrizzò, ma aveva la
sensazione che le gambe non lo reggessero.

 

 

Il primo personaggio che incontriamo è Gianni Trapani, che nel 1974 si trova faccia a faccia con un’istituzione che credeva scomparsa: la Massoneria. Il paese sta attraversando uno degli anni più difficili, tra quelli che in realtà tormenteranno l’Italia per più di un decennio, lui ha l’illusione di aver trovato un aiuto. Il secondo Aldo Devita, dopo una prima giovinezza segnata dai tragici avvenimenti della guerra, incarna alcuni aspetti, un po’ misteriosi, della cosiddetta Massoneria deviata. Per un certo periodo utilizza Gianni Trapani per i suoi scopi.
Il terzo Vicente Razini è un emigrato italiano in Venezuela, che per uno di quegli strani casi della vita, dopo che il caso gli ha fatto incontrare i primi due, diventa improvvisamente un uomo molto ricco. Senza saperlo è stato proprio Gianni l’innesco della sua fortunata ascesa ad un successo che appare inarrestabile.

Ma poi per il primo, la vita prende una brutta piega, finisce per perdere il lavoro e gli aiuti che sperava di ottenere dalla Massoneria diventano prima vaghi e poi pericolosi.
Mentre nel paese si susseguono fatti sempre più tragici, lui si avvita in una spirale sempre più negativa che lo spinge sempre più in basso, fino a commettere un omicidio.

Il secondo sembra vivere senza una meta, legato fin da giovane ad una famiglia mafiosa siciliana, intesse pericolosi rapporti di intermediazione che gli procurano denaro e potere, ma poi la sua sete di potere lo porta su una strada senza ritorno.
Per il terzo invece le cose andranno apparentemente molto bene, anche se le persone che lo circondano si approfittano di lui. La vita però sarà severa anche con lui.

Dopo alcuni anni difficili, nel 1981 il paese sembra ritrovare un nuovo punto di equilibrio, ma per nessuno di loro ci sarà la redenzione. I loro destini sembrano segnati dall’inclemenza del fato.

Attraverso le vicende dei personaggi e lo snodo della trama lo scrittore porta alla luce argomenti della nostra storia realmente accaduti. Anni difficili ripercorre le vicende degli anni che vanno dal 1974 al 1981: le contestazioni giovanili, l’omicidio di Pier Paolo Paolo Pasolini, la morte di Papa Paolo Vi, il breve pontificato di Giovanni Paolo I, il compromesso storico, il Papa per trentasei giorni, il rapimento e la morte di Aldo Moro, l’attentato di Mafia a Piersanti Mattarella e la strage di Bologna. Tutti accadimenti della nostra storia contemporanea che non tutti conoscono, soprattutto le nuove generazioni, perché il passato non è mai troppo lontano e non si può dimenticare o ignorarlo.

 

Julian Gough con ‘Juno & Juliet’ dall’Irlanda si fa largo nelle librerie italiane

Juno & Juliet, edito da Sagoma editore, è l’esordio letterario dello scrittore irlandese Julian Gough. Questa la sua carta d’identità: Julian Gough, nato a Londra nel 1966, residenza Germania, anche se ha trascorso la maggior parte della sua vita in Irlanda; Segni particolari: Furto di un maiale.

Julian Gough, front man della rock band underground Toasted Heretic, ben presto si lascia lusingare dall’arte della scrittura: nel 2001 pubblica il romanzo Juno & Juliet, cui seguono Jude in Ireland e il sequel Jude in London- in Italia, ancora targati da Sagoma editore, con i titoli Jude il Candido e L’odissea di Jude- due opere radiofoniche e una raccolta di poesie Free Sex Chocolate. Nel 2011 scrive il capitolo finale del popolare videogioco Minecraft. Il suo ultimo lavoro è Connect, un tecno-thriller distopico.

L’attività letteraria di Gough è costellata da innumerevoli riconoscimenti: ha conquistato il BBC National Short Story Award, il premio più autorevole al mondo dedicato ai racconti. Vincitore del Pushcart Prize e Finalista per due volte all’Everyman Bollinger Wodehouse Prize. Proprio durante la cerimonia di premiazione di questo evento, Gough, candidato fra i finalisti, per protesta contro la sua mancata assegnazione ruba il primo premio al legittimo vincitore, lo scrittore Will Self. Si trattava di un maiale, vivo e vegeto.

Tale aneddoto rivela un aspetto umoristico, fulcro della sua produzione letteraria dello scrittore. Julien Gough, infatti, è un romanziere che con toni comici tratta argomenti spinosi: la pedofilia nelle istituzioni ecclesiastiche, la questione islamica, la crisi economica e la violenza sulle donne. I suoi libri sono dei puzzle che contengono echi musicali, citazioni dei grandi della letteratura come Joyce, Shakespeare, Jane Austen e Beckett fino ai richiami moderni quali il Mago di Oz e i Simpson. La sua penna incredibilmente raffinata, originale ma anche controversa lo ha accreditato tra gli autorevoli nomi della letteratura umoristica europea.

Il romanzo Juno & Juliet approda in Italia

Juno & Juliet è il romanzo d’esordio di Julian Gough. La storia approda in Italia dopo 18 anni dalla pubblicazione in Irlanda. Sulla copertina del libro, illustrata da Hulya Ozdemir, sono tratteggiate due ragazze, disegnate in maniera speculare. due figure simili eppure diverse. La vivacità dei colori sullo sfondo accompagnano alla perfezione lo stile frizzante dello scrittore.

Quando Juno e io scendemmo dall’autobus a Eyre Square, eravamo armate solo di un enorme zaino ciascuna e dell’indirizzo di una lontana cugina scritto a penna su un foglietto. Un turbinio di volantini di ostelli ci avvolse immediatamente, placandosi solo per lasciare posto a una tempesta di giovanotti che ci sorridevano in francese, spagnolo, inglese e italiano. Juno disse loro che non ci serviva un ostello, ma grazie lo stesso. Io dissi loro che non ci serviva un ostello, e quindi vaffanculo. Credo che sia questo il miglior esempio per spiegare la differenza tra lei e me. A essere sinceri, avevo fatto un brutto viaggio. A casa, la pace aveva retto per tutto il tempo in cui avevamo fatto le valigie, ma uscendo dalla porta riuscii a litigare pesantemente con nostro padre. Per quale motivo? Ah, il solito. Ossia per nulla. Per tutta la strada verso l’autobus ebbi crampi allo stomaco e mal di testa. Un ubriaco dietro di noi vomitò contro lo schienale del mio sedile. Poi cercò di attaccare bottone. […]

Juno, delicata e saggia. Juliet, pungente e ribelle. Due gemelle che nascondono mondi diversissimi. O almeno, così crede Juliet, che in prima persona ci racconta il loro primo anno di università a Galway, tra lezioni saltate, pièce teatrali al limite del surreale, ragazzi più o meno condivisi e affascinanti insegnanti di letteratura inglese.

Nel piccolo appartamento che le due sorelle condividono entrano prima Michael, affascinato da queste due bellissime ragazze, poi una serie di personaggi inclini all’abuso di alcool, sregolati e complicati come possono esserlo solo i buffi incontri che si fanno durante gli anni dell’università. In questo romanzo, però, non si affrontano solo intricate attrazioni e vicende amorose: c’è anche spazio per un piccolo mistero che interrompe la trama creando una piacevole tensione che si scioglierà solo alla fine. Chi è che manda lettere anonime a Juno? Chi è il suo stalker segreto che prima diverte le due gemelle, poi, piano piano, ne turba la quiete? La voce narrante è Juliet, chiara assonanza con il nome dello scrittore.

Juno & Juliet è un romanzo di formazione fresco, romantico, divertente e misterioso. Scritto in maniera chiara e semplice tratta di un argomento delicato,lo stalking, un fenomeno criminale sempre più frequente nelle nostre pagine di cronaca.
Ciò che di più stupisce è la freschezza del linguaggio e il sapiente modo in cui l’autore irlandese ha saputo entrare nella psicologia femminile, restituendo personaggi complessi nelle loro insicurezze e adorabili per la loro ironia.

 

 

 

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