‘Dantedì’: Una giornata per celebrare Dante, il “Sommo Poeta” e la nostra identità

A partire dall’anno corrente, il 25 marzo non sarà più considerato un giorno qualunque. Il Ministero dei Beni Culturali ha istituito nella sunnotata data il Dantedì, giornata dedicata alla celebrazione del “Sommo Poeta” Dante Alighieri. Infatti, proprio nel 2021, ricorrerà il 700esimo anniversario della morte del “padre della lingua italiana”.  In occasione di questa festa letteraria ognuno di noi è invitato a partecipare e a dare il proprio contributo. In che modo? Leggendo, “postando” sui social, declamando, o semplicemente citando i meravigliosi versi che hanno unito milioni di generazioni e che continueranno ad unirle anche in questo momento non facile. Permettendo a tutti di farsi avvolgere dal potere eternante della poesia in un unico abbraccio collettivo, dal sapore “familiare”.

Sarebbe tuttavia impossibile riportare l’opera dantesca, intera e meravigliosa, per cui saranno di seguito scelti per ogni cantica, alcuni versi che, leggeremo insieme virtualmente, cercando di onorare, nel nostro piccolo un poeta di enorme levatura.

Inferno: l’incontro con i due amanti “maledetti” Paolo e Francesca.

Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.                 102                     

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.                    105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.                                 108

(Inferno, canto V, vv. 100-108).

Quando leggemmo il disiato riso                                   
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,                             135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.                     138

(Inferno, canto V, vv. 133-138).

Chi non ha mai studiato questi versi soavi a scuola?

Le parole di Francesca trasudano amore e passione per Paolo, suo cognato. Un amore tortuoso e fedifrago, nato per caso, leggendo il romanzo di Lancillotto. Ma come dice Francesca “chi è amato non può non ricambiare amore” quello stesso amore che li ha eternamente condannati.

Purgatorio: Dante e il “dolce stil novo”.

Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore        
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore‘».                             51

E io a lui: «I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando».                                  54

«O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo
che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!                                  57

(Purgatorio, canto XXIV, vv. 49-57).

quand’ io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d’amore usar dolci e leggiadre;                              99

(Purgatorio, canto XXVI, vv. 97-99).

Nel XXIV canto del Purgatorio Bonagiunta Orbicciani da Lucca (notaio e poeta lucchese) presenta Dante come “colui che fore trasse le nove rime, cominciando ‘Donne ch’avete intelletto d’amore’” indicando nella canzone del poeta fiorentino il manifesto del “dolce stil novo” dantesco, e di conseguenza Dante stesso, come seguace di questo nuovo stile poetico, inaugurato da Guido Guinizzelli (poeta bolognese) con la canzone “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Dante, di fatti, nel canto XXVI, indica proprio lo stesso Guinizzelli come “il padre meo e de li altri miei miglior che mai rime d’amor usar dolci e leggiadre.” Inoltre Bonagiunta specifica di trovarsi da una parte opposta del “nodo” di questa nuova poetica e quindi di non farne parte insieme a Iacopo da Lentini (il Notaro, esponente della Scuola siciliana) e Guittone d’Arezzo (in seguito Fra Guittone, esponente della cosiddetta “Scuola toscana”).

Paradiso: San Bernardo e la Preghiera alla Vergine

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,                                     3

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.                                     6

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 1-6).

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,                                            24

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.                                             27

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,                           30

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.                               33

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 22-33).

O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,                                69

e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;                                       72

ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.                                         75

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 67-75).

ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.                            141

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,                              144

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

(Paradiso, canto XXXIII, vv. 139-145).

Il canto conclusivo si apre con un’emozionante preghiera alla Vergine Maria da parte di San Bernardo con cui il santo intercede affinché anche Dante possa assistere alla visione di Dio, e che la Madre possa liberarlo dagli impedimenti terreni. Il Santo riesce nel suo intento e Dante visibilmente commosso volge lo sguardo verso l’alto per contemplare la suprema beatitudine. Sebbene il poeta sia umano, e quindi la “memoria non può seguire l’intelletto”, prega la luce divina affinché possa ricordare questo mirabile evento e possa tramandare alle generazioni future almeno un barlume della gloria divina. Il suo desiderio viene esaudito da un’improvvisa folgorazione che lo rende degno di comprendere Dio e di conoscere l’amore divino che “move il sole e l’altre stelle”.

‘Modern love’ di Amazon Prime Video: amore “moderno” o amore senza tempo?

L’amore declinato nelle sue mille sfaccettature è il protagonista di Modern Love, la nuova miniserie statunitense distribuita da Amazon Prime Video a partire dallo scorso 18 ottobre e che richiama subito alla mente Love Actually. Il tv show diretto da John Carney, consta di 8 episodi ognuno incentrato su una storia d’amore, reale o romanzata tratta dall’omonima raccolta in uscita sul New York Times.

Il primo episodio, che fa da pilota, presenta un tipo d’amore particolare, quasi atipico: l’amicizia tra la protagonista e il portiere del palazzo dove abita. Maggie (Cristin Milioti) è una giovane adulta, che si è trasferita da poco più di un anno in una nuova città. Come è noto, ambientarsi in un contesto diverso dal proprio non è mai semplice, ma la nostra signorina Mitchell non è davvero sola, il suo “migliore amico” è proprio lì con lei. Guzmin (Laurentiu Possa), infatti, si dimostrerà premuroso, paterno, attento e protettivo, e colmerà le mancanze affettive della giovane con la sua presenza in più occasioni. Emerge qui a chiare linee che anche l’amicizia è una forma d’amore, forse la più sincera.

L’episodio successivo viaggia su due binari amorosi: un amore perduto e un amore ritrovato. Durante l’intervista con Julie (Catherine Keener), giornalista del Sunday Magazine, Joshua (Dev Patel), giovane sviluppatore di un’applicazione di dating, racconta di essersi buttato a capofitto nel lavoro dopo una fortissima delusione d’amore. La reporter, comprendendo perfettamente i sentimenti del ragazzo, non può fare a meno di aiutarlo. Lei stessa in passato, ha “perso” il suo primo amore Michael (Andy Garcia). La narrazione procede attraverso una serie di flashback e flashforward in cui le storie dei due protagonisti si intrecciano continuamente lasciandoci fino alla fine con una grande curiosità. La vicenda amorosa di Julie risulta la più emozionante grazie anche al finale che lascia un po’ d’amaro in bocca.

Il terzo tipo d’amore, è l’amore verso se stessi. Lexi (Anne Hathaway), ad uno sguardo superficiale, sembrerebbe una ragazza comune, vivace, che conduce la propria vita in maniera semplice. Una sera di ritorno dal lavoro decide di iscriversi ad un sito di incontri. La descrizione che proporrà di sé ci lascerà stupiti perché farà emergere la difficile storia di questa protagonista. La ragazza, come lei stessa afferma, ha un problema, che non le permette di instaurare legami affettivi duraturi. “Riuscirà a trovare qualcuno che la amerà davvero per come è realmente?” La nota attrice riesce a esprimere sia la gioia che la sofferenza provata dal suo personaggio, ricoprendo con la giusta emotività un ruolo abbastanza ostico da interpretare.

Personaggi principali della quarta puntata sono Sarah (Tina Fey) e Dennis (John Slattery), una coppia sposata da tanti anni, ormai in crisi, che per trovare una soluzione ai numerosi problemi si rivolge ad una terapeuta. La donna lamenta di sentirsi fortemente trascurata ed esclusa dalla vita del marito accusandolo di pensare solo al lavoro. I due cominciano a seguire la terapia di coppia ma con scarsi risultati. Dopo l’ennesima litigata però si verifica un risvolto inaspettato. Riusciranno a riunirsi oppure no? Questo episodio rappresenta uno spaccato familiare abbastanza comune, due persone che mettono al primo posto i propri figli e cercano di superare le difficoltà.

Il quinto episodio propone una coppia di protagonisti che di primo acchito sembrerebbero non avere alcun punto in comune. Yasmine (Sofia Boutella), popolarissima e bellissima influencer, e Rob (John Gallagher Jr.), il classico ragazzo della porta accanto. I due escono per il secondo appuntamento che si svolge per la maggior parte del tempo in ospedale. Nonostante lo scenario non sia dei migliori, la sincerità, l’onestà e il cuore puro di Rob, permettono di svelare una Jasmine del tutto inattesa, senza filtri, senza maschere. L’amore al tempo dei social, dietro i quali la ragazza nasconde la sua reale essenza, assume qui una connotazione quasi “positiva”. Con le persone giuste, quelle che non ti giudicano dalla “copertina” è facile mettersi a nudo e mostrarsi per ciò che si è davvero nel profondo.

L’episodio seguente riguarda Tami (Myha’la Herrold) e Maddy (Julia Garner), due amiche che si ritrovano per festeggiare il compleanno della prima. Maddy resta molto colpita dalle parole d’orgoglio pronunciate dal padre di Tami in quella occasione di festa. La ragazza, difatti è orfana di padre da quando aveva undici anni e questa mancanza dell’immagine paterna le provoca forte sofferenza. Ciò la spinge ad intrecciare un rapporto ambiguo con un socio senior dello studio dove lavora che la porterà a maturare nuove consapevolezze. La puntata provoca indubbiamente un effetto straniante all’inizio, chiarito poi solo nella scena finale.

Il penultimo episodio tratta l’amore tra persone dello stesso sesso. Tobin (Andrew Scott) e Andy (Brandon Kyle Goodman) legati da un amore profondo decidono di allargare la famiglia. Si rivolgono dunque ad una agenzia di adozioni per valutare le diverse procedure. Dopo l’ennesimo rifiuto conoscono Carla, una homeless, che fa proprio al caso loro. Sembrerebbe andare tutto bene fin quando la ragazza non si trasferisce stabilmente per terminare la gravidanza. Ecco che cominciano le prime discussioni, Tobin in particolar modo la accusa di essere irresponsabile e immatura. Sarà proprio lui però che alla fine le starà accanto, affrontando con lei uno dei momenti più importanti nella vita di una donna. L’episodio mette in luce una realtà molto diffusa ai giorni nostri, quella della famiglia “allargata”che, seppur con notevoli difficoltà, riesce a superarle grazie all’amore.

L’ultimo episodio ci lascia indubbiamente tristi e felici allo stesso tempo, perché chiude il bellissimo cerchio dei sentimenti. L’amore tra Margot (Jane Alexander) e Kenji (James Saito) è un amore adulto, maturo. Entrambi vedovi, si incontrano alle olimpiadi geriatriche e si innamorano perdutamente. L’amore è eterno, l’uomo no. Margot si ritrova nuovamente sola con i suoi pensieri, ma nulla la distoglie da un’ultima corsa. Mentre corre, la donna ritrova se stessa, la voglia di vivere, la serenità tanto agognata. Lei non lo sa ma indirettamente incontra anche i suoi “compagni di viaggio”: Carla, Maggie e Guzmin, Joshua e Julie, Rob e Yasmin, Lexi, Sarah e Dennis, Maddy. Ed è sempre emozionante come la prima volta, quando si guarda il primo episodio. Vedere questi personaggi e riconoscerli, quasi come fossero persone realmente incontrate.

In poco più di mezz’ora gli episodi racchiudono messaggi emozionanti che toccano le corde del cuore in ogni scena. Sono storie di vita quotidiana, in cui ognuno può riconoscersi. La serie non solo ci mostra che l’amore può avere numerosi volti, ma ci spinge anche a riflettere su temi delicati quali il bipolarismo, la maternità. Rapporti di coppia in frantumi, storie di amori persi, di amori ritrovati, di amicizie intense. La grande attenzione sulla scelta dei titoli, che racchiudono perfettamente l’essenza del racconto, la delicatezza con cui sono affrontate le tematiche, la presenza di un cast d’eccezione (tra cui Andy Garcia, Dev Patel, Ed Sheeran, etc.), capace di emozionare anche solo con uno sguardo, sono gli ingredienti perfetti per la ricetta di Modern Love. Lo show dell’amore e dei sentimenti, rivolto a tutti, dai ragazzi agli adulti. Del resto l’amore è la forma di espressione più bella in assoluto.

 

 

Croccolo addio, Napoli ti saluta!

Si è spento oggi all’eta di 92 anni Carlo Croccolo, artista napoletano con un curriculum di tutto rispetto nel grande schermo. Attore, doppiatore, regista e sceneggiatore, conosciuto ai più per il suo ruolo nella popolare serie televisiva “Capri” in cui vestiva i panni dell’amabile marinaio Totonno. Non meno per le sue notissime apparizioni accanto ai grandi del cinema napoletano; in primis Totò e i fratelli De Filippo.

Biografia

Carlo Croccolo nasce a Napoli il 9 aprile del 1927. Esordisce in radio, all’età di circa 23 anni, con la commedia “Don Ciccillo si gode il sole”. Successivamente calca il palcoscenico teatrale ne “L’Anfiparnaso” diretto dal regista torinese Mario Soldati. Nel 1950 l’attore napoletano recita nel film comico del tolentino Mario Mattoli, “I cadetti di Guascogna”, nelle vesti di Pinozzo. Ma è nell’89 che arriva la prima gratificazione: il David di Donatello per il film “O Re” diretto da Luigi Magni.

Alla fama, quella vera, Croccolo giunge accanto agli illustri comici napoletani Totò, Eduardo e Peppino De Filippo, in film come “Totò lascia o raddoppia?”,”47 morto che parla”, “Signori si nasce” (diretto nuovamente da Mattoli), “Miseria e nobiltà”, e ancora “Ragazze da marito” e “Non è vero..ma ci credo” (tratto dall’omonima commedia in tre atti scritta proprio da Peppino).

Croccolo e il doppiaggio

Il poliedrico artista napoletano vanta una carriera eccelsa composta da numerose perfomance teatrali e che sfiora la vetta di oltre 100 film. Risulta fervente e intensa inoltre la sua attività di doppiaggio. Croccolo presta infatti la sua voce al notissimo duetto comico Stanlio e Ollio (interpretati dall’inglese Stan Laurel e dallo statunitense Oliver Hardy), nei film “L’eredità”, “Tempo di pic-nic”, “Un marito servizievole”, etc. Nei primi anni ’50 doppia, con grande orgoglio, proprio lo stesso Totò (si dice addirittura che fosse stato l’unico ad avere questo privilegio), e altri celebri personaggi come Vittorio De Sica ne “I due marescialli”, Renato Carosone in “Caravan petrol”, Nino Taranto in “Stasera mi butto” e molti altri.

Napoli probabilmente darà l’ultimo saluto a suo figlio domani presso la Chiesa di San Ferdinando. “Addio, Carlo, la tua arte resterà eterna.”

 

‘Le ragazze di Sanfrediano’ di Pratolini: semplice romanzo rosa o lezione etica?

Le ragazze di Sanfrediano è un romanzo di Vasco Pratolini pubblicato nel 1949 che narra le vicende di un gruppo di ragazze intente a “vendicarsi” del dongiovanni dell’omonima cittadina.

L’autore Vasco Pratolini

Vasco Pratolini nasce a Firenze il 19 ottobre del 1913 da una famiglia di condizione modesta. Allo scoppio della Prima guerra mondiale il padre Ugo parte per il fronte e il bambino viene affidato alle cure della madre e dei nonni. Nel 1918 il padre viene richiamato in guerra, Pratolini perde la madre, e il fratello neonato viene affidato ad un’altra famiglia. Sin dalla scuola elementare il poeta mostra la sua indole vivace e indisciplinata e nel ’25 alla morte del nonno, infatti decide di abbandonare gli studi e cominciare a lavorare. Ma la sua passione letteraria è più forte di ogni mestiere per cui comincia a studiare i classici da autodidatta ed entra in contatto con importanti autori fiorentini come Alessandro Pavolini fondatore del settimanale «Il Bargello» con cui collabora come recensore e scrittore, Aldo Palazzeschi e infine Elio Vittorini che lo spinge ad approfondire il legame tra la letteratura e la politica.

Nel 1938 esordisce con il racconto Prima vita di Sapienza e nello stesso anno fonda insieme ad Alfonso Gatto la rivista ermetica «Campo di Marte» soppressa poco dopo dal regime fascista. Nel ’41 si sposa con Cecilia Punzo e dà alle stampe il suo primo libro intitolato Il tappeto verde. Due anni dopo partecipa alla Resistenza come capo settore nella zona di Ponte Milvio, esperienza che confluisce nell’opera il mio cuore a Ponte Milvio. Dopo la Liberazione pubblica diverse opere: Il Quartiere (1944), Cronaca familiare (1947) dedicata alla morte del fratello, Cronache di poveri amanti e si dedica alla scrittura de Le ragazze di Sanfrediano romanzo pubblicato poi nel ’49. Tre anni dopo Pratolini torna definitivamente a Roma e prosegue la sua attività giornalistica per diverse testate e lavora con alcuni dei più importanti registi tra cui Luchino Visconti e Bolognini che traspone alcuni dei suoi romanzi più famosi. Nel ’55 scrive Metello primo romanzo della trilogia Una storia italiana e nel ’57 L’Accademia dei Lincei gli conferisce il premio Feltrinelli per le Lettere. Successivamente ottiene la laurea honoris causa e diverse altre onorificenze. Si spegne il 12 gennaio del 1991.

 Le ragazze di Sanfrediano: la trama

Protagonista maschile del fresco e brioso romanzo che è un affresco corale della vita di quartiere fiorentina di Pratolini Le ragazze di Sanfrediano è Aldo chiamato da tutti Bob per la somiglianza con l’attore cinematografico statunitense Robert Taylor, intrattiene diverse relazioni con alcune fanciulle della città. Nessuna di queste sospetta minimamente di non essere l’unica. Bob infatti riesce attraverso la sua dialettica a dissuaderle da ogni dubbio o reticenza.

L’ultima conquista è Tosca, una ragazza con un grande senso del dovere. Ella aveva cominciato a lavorare sin da piccola e quando la guerra era scoppiata a Sanfrediano si era prodigata per aiutare i partigiani. È proprio in questa occasione che conosce Bob e i due cominciano a frequentarsi. Sebbene Tosca dubiti sin da subito del giovane dopo alcune conversazioni comincia ad insospettirsi. Le sue indagini la portano a scoprire una triste verità; ella è vittima di una menzogna e non è l’unica ad esserlo. Accanto a lei, la sua amica-nemica Silvana ed altre quattro ragazze di Sanfrediano: Gina, Loretta, Mafalda e Bice che, venute a conoscenza dell’inganno, decidono di vendicarsi. Il piano risulta ben studiato: Tosca invita Bob al prato dell’amore lì dove lui soleva portare tutte le sue conquiste. I due giovani giungono al luogo designato e  vengono raggiunti dalle “altre” che dopo averlo smascherato, intimano a Bob di scegliere una sola tra loro da prendere in moglie. Il suo rifiuto categorico dà origine ad una vera e propria esecuzione violenta ai danni del ragazzo. Questo gesto determinerà la sua umiliazione pubblica e la sua definitiva resa.

Temi e personaggi

Le linee direttive della poetica pratoliniana affondano le loro radici nelle opere che segnano un decennio (1944-1954). La prospettiva storico-geografica prediletta dal Pratolini risulta senza alcun dubbio quella toscana dominata della guerra e dai movimenti della Resistenza. Infatti è proprio la patria natia del poeta che fa da sfondo a Il Quartiere; romanzo costruito sulle vicende di un gruppo di giovani che collaborano tra loro nella realizzazione di un futuro più roseo; ed è sempre a Firenze che è ambientata l’opera successiva intitolata Cronache di poveri amanti in cui l’autore ricostruisce perfettamente i luoghi popolari della sua adolescenza, e approda nel romanzo Le ragazze di Sanfrediano a cominciare dall’incipit: «Il rione di Sanfrediano è di là d’Arno, è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo».

La dimensione urbana fiorentina, costituisce un vero e proprio microcosmo dove si svolgono le vicende dei cittadini di Sanfrediano. I riscontri si desumono dalle battute dei personaggi; quando Tosca mette in guardia Bob sul suo comportamento: «Sono una ragazza di Sanfrediano, non te ne scordare», e ancora quando comunica alle sue “rivali” con chi si è fidanzata: «Non c’è che dire, siete proprio nate in Sanfediano, tu, Silvana, tutte quante siete». Ciò è sottolineato anche da alcuni interventi autoriali; ad esempio Pratolini di Bob dice: «è amico di tutti, e come tutti sanfredianino». Altro spunto è offerto dallo scontro verbale tra Gianfranco e Bob avvenuto per difendere l’onore di Silvana di cui il primo è innamorato. Bob, con la sua fama da “sciupafemmine” si vanta di poter annoverare tra le sue amanti anche la ragazza. Gianfranco ferito dal rifiuto di questa e dal poco tatto del rivale nel parlare di lei la difende, addirittura accusandolo di non essere partigiano. Il discorso di un innamorato ferito sfocia in denuncia politica. Gianfranco: «Considera o no, se ti tengo in mano, l’attestazione per il riconoscimento, ti sei scordato? Te l’ho firmata io… ti si vide uscire col fazzoletto rosso dopo che Sanfrediano era già liberato, […] non c’eri mai. Tuttavia quando me lo chiesero, detti il parere favorevole, eravamo amici, si trattava di farti un  piacere, a me bastava sapere che se non hai fatto il partigiano, non sei mai stato nemmeno fascista». E ancora: «Sai quanti sono i partigiani uguali a te? Molti più di quelli veri». Gianfranco dunque minaccia Bob di rivelare la verità a tutti e lo colpisce nel punto maggiore di vulnerabilità: le donne. «Come la piglierebbero, le tue donne, dopo che ti sei rivelato un vigliacco?». Bob per timore e preso dall’ira lo colpisce, vantandosi in giro di aver “messo al tappeto” l’uomo più virtuoso di Sanfrediano.  Sarà infatti la passione per le donne a provocare la sua sconfitta.

Beffa o etica della monogamia?

Pratolini descrive Aldo con queste parole: «Egli era ancora un giovanetto ed ebbe una fidanzata, poi una seconda, una terza, e da ciascuna, col tempo era ormai sui vent’anni, si staccò naturalmente, siccome l’altra l’attraeva. Diceva mi sono sbagliato, non mi piaci, amo lei, salute e grazie». Così con il suo fascino e savoir faire conquista gran parte delle ragazze di Sanfrediano. Gina la prima tra tutte, decisa a sposarsi con un altro uomo solo per dimenticarlo e dargli una lezione. Sarà l’unica a mettere in dubbio fino alla fine con il piano architettato ai danni del ragazzo. Mafalda la fiera seduttrice che non riesce ad accettare l’abbandono di Bob e medita vendetta per il torto subito. Bice furba e sognatrice, spinta da un forte ottimismo e una grande tenacia nel farsi rispettare. Silvana decisa ed orgogliosa fino alla fine tanto dall’asserire: «Le ragazze di Sanfrediano non prendono i rifiuti di nessuno». Loretta, la più giovane ed ingenua, rispettosa del suo onore e dell’educazione familiare ricevuta. Infine Tosca, l’attuale fidanzata, colei che svela la menzogna e ordisce la congiura. «Era stata Tosca ad intessere le file della congiura, casualmente dapprima, e poi con una determinazione sempre più precisa e una spietatezza tutta sanfredianina». Grazie alla sua sagacia riesce a svelare le bugie di Bob.

Le ragazze di Sanfrediano dunque decidono di tessere un tranello al giovane solo per il puro gusto di smascherarlo e irriderlo, ma poi qualcosa scatta nella loro mente. Si verifica dunque un risvolto inaspettato che comincia con queste dure parole: «Finché ci pigliava una alla volta, si poteva credere di essere l’ultima e quella buona, ma ora sappiamo che lo fa di mestiere, e forse tu, io e chissà quante ancora, non siamo che degli straordinari di Mafalda…E allora, siamo nate in Sanfrediano per nulla, se non gli togliamo il pelo». Questo è il grido di rivalsa delle donne illuse che trasforma la beffa in un linciaggio. Il piano iniziale cambia drasticamente; le ragazze non vogliono più sbeffeggiarlo ma ripagarlo con la sua stessa moneta. Da romanzo rosa si passa a lezione di etica tesa a educare l’uomo alla monogamia. Francesco Piccolo parla infatti di una vera e propria “parabola della monogamia” che, come evidenzia lo scrittore, si conclude con una moraleggiante voce narrante.

 

Pedro Salinas ‘poeta dell’invisibile’ che non ha mai ceduto allo sperimentalismo della sua epoca

Pedro Salinas nasce a Madrid il 27 novembre del 1891 dove trascorre gran parte della sua giovinezza. Diplomatosi nel 1908, si iscrive alla facoltà di legge che però lascia poco dopo per seguire i corsi della facoltà di lettere. Nel 1913 si laurea in lettere e continua con il dottorato di ricerca che terminerà tre anni dopo. Da giovanissimo soggiorna a Parigi come docente della Sorbona e nel frattempo affina i suoi studi di letteratura spagnola tenendo alcune conferenze presso l’Instituto de Estudios Hispànicos. Nel 1915 sposa Margarita Bonmatí. Al rientro in patria il poeta vince un concorso per la cattedra di lingua e letteratura spagnola optando per la sede di Siviglia. Questi anni risultano fondamentali per lo sviluppo della sua sensibilità di scrittore. Dopo il ritorno da Parigi pubblica alcune poesie che confluiscono nella prima raccolta Presagios del 1923.

Gli anni trenta sono molto fervidi per il poeta; egli collabora con il Centro de estudios històricos preparando una serie di saggi sulla letteratura contemporanea, scrive altri due libri di versi Seguro azar (1929) e Fàbula y signo del ’31. Nel ’33 pubblica Amor en vilo, La voz a ti debida e Razón de amor una raccolta di liriche amorose (1936). Successivamente parte per un impiego di insegnamento temporaneo negli Stati Uniti al Wellesley College che lo allontana per sempre dalla sua patria. Dal ’43 al ’46 l’università gli permette un trasferimento a Puerto Rico, soggiorno molto gradito al poeta perché vissuto come una sorta di riconciliazione con la patria natia. In questi anni scrive un libro di versi dedicati al mare della città. Gli ultimi anni della sua vita sono anni di grandissima attività letteraria; Salinas pubblica uno studio critico nel’47, l’anno successivo una raccolta di saggi El Defensor e un libro intitolato La poesía de Rubén Darío seguiti dalle sue opere teatrali pubblicate postume. Si spegne il 4 novembre del 1951 a Boston.

La concezione poetica di Salinas: stile e tematiche

“La poesia è un’avventura verso l’assoluto. Si può arrivare più o meno vicino; si può fare più o meno strada, ecco tutto. Bisogna lasciar correre l’avventura, con tutta la bellezza del rischio, della probabilità, del gioco”. Salinas definisce con queste parole la sua concezione poetica, poesia non soltanto metafisica ma meta-poetica. Il poeta sposta l’assolutezza della parola dove non può essere raggiunta se non attraverso la ricerca interiore. La sua parola non fa rumore ma si offre silenziosamente diventando simbolo di una profonda interiorità. L’io del poeta tende verso “l’oltre” alienandosi, sin dalla prima raccolta Presagios, dal mondo degli oggetti sensibili alla ricerca dell’essenza.

I miei occhi vedon sull’albero,

il frutto maturo e fresco.

Le mie mani vanno certe

a coglierlo. Tu però,

tu però, mano di cieco,

che cosa fai ?

La mano gira, rigira

in aria; se si posa

su qualcosa di concreto,

fugge ad un tocco leggero

senza arrivare mai a coglierlo.

Sempre aperta. E’ che non sa

chiudersi, è che il suo

è un ambire più  profondo

di quello degli occhi, ha

l’ambire di quella sfera

imperfetta che è il mondo,

del frutto per una mano

di cieco, ambire la luce

eterno ambire di stringere

l’inafferrabile. […]

(Traduzione di Vittorio Bodini- da: Poesie / di Pedro Salinas traduzione, introduzione e nota bio-bibliografica di Vittorio Bodini, Milano, Lerici, 1964)

I miei occhi vedono sull’albero il frutto fresco e le mie mani vogliono raccoglierlo, la mano del cieco invece vaga nell’aria senza mai chiudersi perché il suo obiettivo è quello di cogliere l’inafferrabile. La poesia di Salinas si configura come poesia dell’invisibile. La mano del cieco non è altro che la prima fase del processo di eliminazione del reale. Un passo verso questo sperimentalismo è riscontrabile nelle due raccolte successive Seguro azar e Fàbula y signo dove la materia poetica si rinnova con un relativo accostamento alla realtà esterna moderna ma senza mai esaltarla. Gli oggetti della civiltà meccanica vengono considerati dal poeta quasi come un rompicapo da risolvere. Il mondo stesso diventa oggetto di curiosità conoscitiva e trattato con ironia. In Cinematógrafo Salinas oppone alle immagini positive del mondo il negativo di una pellicola cinematografica; il mondo del bianco e nero rappresenta un luogo di passaggio, un mondo fittizio dietro lo schermo. L’immagine del mondo illusorio si riflette in quello naturale; anche la natura cambia connotazione. Infatti in Far West la protagonista è l’immagine naturale più impalpabile: un vento che appare in un film western. Il processo distruttivo si insinua principalmente nelle strutture grammaticali. Gli aggettivi non qualificano, sono rari e con funzione solamente logica. I sostantivi sono, come le cose, segni di finzioni. Gli astratti regnano e prendono il sopravvento su quelli concreti. Ai nomi vengono sostituiti i pronomi. In particolar modo il tu che appare a partire dal primo libro e attorno a questo si forma l’universo invisibile del poeta che decide di voltare le spalle al mondo irreale per concentrarsi sulla felicità di un amore reale.

La problematica amorosa: La voz a ti debida e Razón de amor

In queste due raccolte pubblicate a tre anni di distanza si evince la maturazione poetica di Salinas. Il poeta è stanco dell’irrealtà che lo circonda considerata come un limite da trascendere, trova dunque conforto nell’amore, che gli permette di scavalcare questo confine. L’amore di Salinas è un sentimento tutto umano, asse centrale che funge da stimolo ad una costante ricerca interiore e impulso verso l’essenziale. Quest’ultimo fa da comune denominatore alle due opere. La voz a ti debida, titolo tratto da un verso di Garcilaso de la Vega petrarchista di eccezione, si apre chiaramente con un’apostrofe ad un interlocutore femminile. Il tu indefinito contiene qui un duplice significato: l’amata a cui il poeta si rivolge e il sentimento stesso: la voce dovuta a te, mia amata, e al tuo amore, quasi come segno di riconoscenza da parte del poeta. Il sottotitolo “poema” invece tende ad indicare il carattere di omogeneità ancora una volta ripreso dal canzoniere di Petrarca. Infatti sebbene le liriche all’interno dell’opera siano tra di loro autonome, presentano dei moduli ricorrenti che ne rivelano la natura organica. Ad esempio la struttura semantica ruota attorno all’esposizione del tema, l’avvio della narrazione e la conclusione tornando nuovamente con un movimento circolare. Quanto al linguaggio, il poeta attua una vera opera di trasformazione delle strutture tradizionali per creare un nuovo modo di comunicare nuovo ed individuale. Simboli, immagini e nomi assumono un significato sottinteso attraverso una tecnica ad indovinello che genera “l’orizzonte d’attesa”. Mutano le funzioni delle preposizioni, degli aggettivi e degli avverbi che vengono utilizzati in modo anomalo e il lessico si riempie di neologismi. Ne consegue un linguaggio “nuovo”  e puro, quasi assoluto come quello delle anime di cui parlò Petrarca.

[XII]

Non ho bisogno di tempo
per sapere come sei:
conoscersi è luce improvvisa.
Chi ti potrà conoscere
là dove taci, o nelle
parole con cui taci?
Chi ti cerchi nella vita
che stai vivendo, non sa
di te che allusioni,
pretesti in cui ti nascondi.
E seguirti all’indietro
in ciò che hai fatto, prima,
sommare azione a sorriso,
anni a nomi, sarà
come perderti. Io no.
Ti ho conosciuto nella tempesta.
Ti ho conosciuto, improvvisa,
in quello squarcio brutale
di tenebra e luce,
dove si rivela il fondo
che sfugge al giorno e alla notte.
Ti ho visto, mi hai visto, ed ora,
nuda ormai dell’equivoco,
della storia, del passato,
tu, amazzone sulla folgore,
palpitante di recente
ed inatteso arrivo,
sei così anticamente mia,
da tanto tempo ti conosco,
che nel tuo amore chiudo gli occhi,
e procedo senza errare,
alla cieca, senza chiedere nulla
a quella luce lenta e sicura
con cui si riconoscono lettere
e forme e si fanno conti
e si crede di vedere
chi tu sia, o mia invisibile.

(Traduzione di Emma Scoles- da: “La voce a te dovuta”, Einaudi, Torino, 1979.

 

Con Razón de amor si chiude la poesia di Salinas prima dell’esilio, non si verificano in questa seconda raccolta mutamenti essenziali dal punto di vista sintattico e semantico. Si comincia ad insinuare però nel poeta un dubbio circa le ombre del cosmo. Ci si ritrova di fronte ad un capovolgimento; queste gridano chiedendo la realtà, la materialità. Segue l’invocazione all’amata, timone ed essenza dell’universo, che è l’unica che potrebbe donare loro quello che chiedono ma anche essa stessa non è altro che un pronome. La soluzione dunque non risulta possibile.

 

[LXIX]

Le senti come chiedono realtà?

scarmigliate, feroci,

le ombre che forgiammo insieme

in questo immenso letto di distanze?

Stanche ormai di infinito, di tempo

senza misura, di anonimato,

ferite da una grande nostalgia di materia,

chiedono limiti, giorni, nomi.

Non possono vivere più così: sono alle soglie

della morte delle ombre, che è il nulla.

Accorri, vieni, con me.

Insieme cercheremo per loro

un colore, una data, un petto, un sole.

Che riposino in te, sii tu la loro carne.

Si placherà la loro enorme ansia errante,

mentre noi le stringiamo avidamente

fra i nostri corpi,

dove potranno trovare nutrimento e riposo.

Si assopiranno infine nel nostro sonno

abbracciato, abbracciante. E così,

quando ci separeremo, nutrendoci

solo di ombre, fra lontananze,

esse avranno ormai ricordi,

avranno un passato di carne ed ossa,

il tempo vissuto dentro di noi.

E il loro tormentato sonno

di ombre sarà, di nuovo, il ritorno

alla corporeità mortale e rosa

dove l’amore inventa il suo infinito.

(Traduzione di Emma Scoles- da: “La voce a te dovuta”, Einaudi, Torino, 1979)

Salinas fotografa il trascendente senza mai staccarsi dall’immanente, senza mai cedere allo sperimentalismo della sua epoca: egli infatti nutre il suo lavoro anche degli oggetti e delle pose più quotidiane sfiorando spesso toni prosaici, specie nel punto più alto della sua opera, La voce a te dovuta.
”L’arte [scrive Salinas] è una costante scoperta; non si concede sosta nella sua ansia esploratrice, nella sua sete di rinnovamento, anche quando navighi per mari molto solcati e manipoli, nei suoi esperimenti, le formule più conosciute”. Quanto alle scelte espressive, esse si muovono all’interno di convenzioni stilistiche tradizionali, lontane dal linguaggio di rottura dei contemporanei eppur innovative nel loro conservatorismo.

Salinas va insomma annoverato fra i più grandi autori che il novecento spagnolo ci abbia donato: un poeta che sa darsi al mondo nelle sue fragilità inconsuete (Fonte: L’intellettuale dissidente-Homines).

 

‘Gatta Cenerentola’, la favola millenaria ritorna in chiave moderna dal 14 settembre nelle sale italiane

La Gatta Cenerentola narra le vicende dell’omonima protagonista che, dopo la morte del madre, sentirà il peso delle proprie responsabilità.

Cenerentola: l’evoluzione di una storia

Se si pensa a ‘Cenerentola’ la prima cosa che viene in mente è senza alcun dubbio il film d’animazione Disney del 1950. La protagonista era una giovane orfana di madre affidata alle cure del padre. Dopo diversi anni quest’ultimo decide di risposarsi dando alla figlia una matrigna Lady Tremaine e due sorellastre Anastasia e Genoveffa. I rapporti tra le tre, già tesi, si acuiscono alla morte del padre. Cenerentola da figlia di un aristocratico si trasforma in membro della servitù. Nel frattempo al palazzo reale il re organizza un ballo per scegliere la futura sposa di suo figlio e invita tutte le donne del reame. Ma quando il messaggero giunge alla villa con il proclama la matrigna comincia ad assegnare a Cenerentola compiti impossibili che le impediscono di partecipare al ballo. Ecco in suo soccorso la fata madrina che le dona un bellissimo vestito ed una carrozza con la promessa di ritorno a mezzanotte. Cenerentola va al ballo, conquista il principe ma a mezzanotte scappa e perde la scarpetta. Il principe cerca disperatamente la fanciulla della scarpetta e promette di sposarla. Nonostante le ostilità delle antagoniste Cenerentola riesce a rivelare al principe la sua identità e si celebra il matrimonio.

La gatta Cenerentola di De Simone

Roberto De Simone nel 1976 realizza una rappresentazione teatrale della favola rivista in chiave comico-trafigurativa. L’opera ripresa dalla fiaba  “Lo Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile, divisa in tre atti, fonde la favola originaria con la tradizione napoletana, dove domina l’imprevedibilità. Infatti la vera protagonista de “La gatta Cenerentola” è Napoli, il suo grido di dolore causato dalla fame, dalla dominazione straniera e dalla precarietà. L’invocazione iniziale a San Gennaro, santo protettore della città, ci fa comprendere la gravità della situazione. L’elogio “esteriore” delle sorelle di Cenerentola delle loro parti del corpo e la clausura della protagonista ci mettono in contatto con la dicotomia apparire-essere. Il sorriso dietro il pianto e il dolore sono gli elementi essenziali della trasfigurazione. Nella versione principale compaiono volti noti del calibro di Peppe Barra e la madre Concetta Barra , Isa Danieli, Patrizio Trampetti, Virgilio Villani e altri. Dalla regia di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone e distribuita dalla Videa – CDE prende le mosse la versione moderna della nota favola. La protagonista abita come una gatta in cattività da 18 anni nella Megaride; la barca posseduta dal padre Vittorio Basile (doppiato da Mariano Rigillo), ricco scienziato e autore di progetti innovativi. Con la sua morte lascia nelle grinfie della matrigna e delle sei sorellastre Cenerentola che si ritrova rinchiusa nella nave ignara del patrimonio lasciatole dal padre. Infatti è proprio la matrigna (doppiata da Maria Pia Calzone) insieme a Salvatore Lo Giusto (doppiato da Massimiliano Gallo), trafficante di droga, a gestire il denaro rendendo il porto di Napoli una terribile centrale per il riciclaggio. Sulla nave però è rimasta traccia del passato che si manifesta tramite immagini e ologrammi proiettati grazie alla tecnologia sviluppata da Basile. Sullo schermo dunque c’è lo scontro tra un passato “virtuoso” ed un presente “corrotto”. In quest’avventura Cenerentola non sarà da sola, accanto a lei Primo Gemito (doppiato da Alessandro Gassman) la guardia del corpo del padre che gli prometterà di badare alla ragazza in sua assenza.

Cosa aspettarsi dunque dai registi? Questa pellicola non è la loro prima collaborazione. Già nel 2013 questi esordirono con “L’arte della felicità” film d’animazione che narra la vicenda di Sergio, taxista napoletano profondamente logorato da un grave lutto: la perdita del fratello. Il suo taxi funge da strumento catartico per il suo dissidio interiore. Egli combatte una delle battaglie più difficili; quella con la morte in una città ed in un’automobile “intossicata” dove non si respira più. Ancora una volta la vera protagonista è Napoli, una Napoli logorata, corrotta e problematica che, in quest’ultima pellicola, si spera trionfi e ritrovi nel buio la sua luce.

 

 

 

 

10 frasi per ricordare Paolo Borsellino, a 25 anni dalla strage di via d’Amelio

Paolo Emanuele Borsellino è stato un magistrato italiano nato a Palermo il 19 gennaio 1940. Fu proprio lì che conobbe Giovanni Falcone, suo futuro alleato nella lotta contro la mafia. Nel 1958 si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza laureandosi cum laude nel ’62 con una tesi su “Il fine dell’azione delittuosa”. Nel ’59 simpatizzante di destra aderì al Fronte Universitario d’Azione Nazionale, associazione studentesca di cui divenne rappresentante. Nove anni dopo sposò Agnese Piraino Leto figlia dell’omonimo magistrato. Nel ’63 Borsellino vinse il concorso in magistratura diventando il più giovane magistrato d’Italia. A partire dal ’75 cominciò a lavorare presso il tribunale di Palermo sotto la direzione di Rocco Chinnici. Nell’estate dell’85 Falcone e Borsellino vennero trasferiti all’Asinara per ragioni di sicurezza con le rispettive famiglie. L’anno successivo si diede l’avvio al Maxiprocesso di Palermo che svelò i principali segreti della mafia siciliana. Borsellino era ormai diventato bersaglio di Cosa Nostra; la notizia fu diffusa da Vincenzo Calcara, mafioso di Castelvetrano a cui era stata ordinata l’esecuzione. Nonostante ciò Il 23 maggio 1992 Falcone cadde vittima insieme alla famiglia di un terribile attentato e nell’estate dello stesso anno Borsellino in visita presso la madre in via D’Amelio perse la vita a causa di un’esplosione. Questo evento passò alla storia come Strage in via D’Amelio.

Borsellino: 10 aforismi per onorarne la memoria

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.”

“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

“La paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti.”

“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.”

“[… ] i giudici continueranno a lavorare e a sovraesporsi e in alcuni casi a fare la fine di Rosario Livatino [assassinato dalla Mafia] come tanti altri, i politici appariranno ai funerali proclamando unità di intenti per risolvere questo problema e dopo pochi mesi saremo sempre punto e daccapo.”

“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno.”

“È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”

“Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: “Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello… quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero… ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti… Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge”.”

“L’impegno contro la mafia, non può concedersi pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza.”

“Io accetto, ho sempre accettato più che il rischio [… ] le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.”

Benjamin’s Crossing di Jay Parini diventa un film

Benjamin’s Crossing è un romanzo scritto nel 1996 dallo scrittore americano Jay Parini che ricostruisce la biografia del filosofo ebreo Walter Benjamin e la sua esperienza di  prigionia sotto il dominio nazista.

Chi è Walter Benjamin?

Nato a Berlino il 15 luglio 1892 da una famiglia borghese ebraica, Benjamin mostra sin da subito un’indole irrequieta. A partire dal 1905 egli aderisce al Jugendbewegung movimento giovanile guidato da Gustav Wyneken. Nel 1912 si iscrive alla facoltà di filosofia, e sfuggito all’arruolamento nel 1915 interrompe i legami con quest’ultimo. Due anni dopo incontra Dora Kellner che diventerà sua moglie. Nel 1918 si laurea con Herbertz discutendo sulla “Critica d’arte nel Romanticismo tedesco”. I suoi viaggi  lo portano in Svizzera dove stringe legami con Ernst Bloch e Franz Rosenzweig e infine a Capri luogo in cui incontra nel 1924 Asja Lacis, una donna marxista di cui si innamora. Il rifiuto dall’Università di Francoforte e la deportazione della cugina ad Auschwitz provocano in Benjamin un forte turbamento. Il filosofo decide di dedicarsi alla scrittura e grazie alle sue molteplici attività  riesce a condurre un buono stile di vita.

L’amicizia con Brecht e il distacco dalla Germania

Nel 1928 stringe una solida amicizia con Bertolt Brecht che lo ospitò più volte nella sua casa in Danimarca a causa delle persecuzioni naziste. I due, accomunati da un forte sentimento di disprezzo, instaurarono col tempo un legame indissolubile che si sciolse solo con la morte di Benjamin. Brecht in memoria dell’amico scrisse due poesie in cui emerge a gran voce la semplice quotidianità e il rapporto genuino che intercorreva tra i due intellettuali.

 

A Walter Benjamin, che si tolse la vita mentre fuggiva davanti a Hitler

Stancare l’avversario, la tattica che ti piaceva
quando sedevi al tavolo degli scacchi, all’ombra del pero.
Il nemico che ti cacciava via dai tuoi libri
non si lascia stancare da gente come noi.

 

Gli anni Trenta segnano il distacco definitivo con la Germania. Walter si stabilisce a Parigi e si dedica alla stesura di saggi letterari sulle opere filosofiche di Leskov, Kafka, e infine Baudelaire. Nel ’36 pubblica il saggio intitolato “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” ma le sue condizioni economiche si aggravano sempre di più e nel ’39 quando scoppia la guerra viene deportato in un campo di lavori forzati a Nevers . Pochi mesi dopo, perché cittadino tedesco, viene rilasciato e nel ’40 in procinto di concludere la sua ultima opera “Tesi sul concetto di storia” decide di abbandonare Parigi ma viene bloccato alla frontiera spagnola dalla polizia che gli revoca il visto. Catturato e ormai prigioniero nelle mani dell’esercito tedesco preferisce darsi la morte ingerendo una grande quantità di morfina.

La vita del filosofo diventa un film

Ad occuparsi della trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo sarà il regista Pat O’Connor . Secondo sua disposizione le riprese avranno inizio da questo autunno. Il film sarà distribuito dalla Fortitude International e modellato sulla sceneggiatura scritta da Jay Parini e Devon Jersild. Il 16 maggio di quest’anno dal Deadline è stato annunciato il protagonista; si tratterà del famosissimo attore britannico Colin Firth. Questa sarà la seconda collaborazione tra Firth e il regista O’Connor che lo aveva scelto già precedentemente come protagonista della pellicola “A month in the country”(1987). Il film in questione narrava le vicende di un veterano di guerra Tom Birken, chiamato in una piccola cittadina di campagna per restaurare un prezioso affresco sacro.

Ciò che emerge dalle pellicole di Pat O’Connor è il suo interesse storiografico e le sue numerose collaborazioni. Egli predilige di gran lunga le tematiche guerresche ravvisabili a partire da “Cal” (1984), film basato sull’omonimo romanzo di Bernard MacLaverty, che narra le vicende di un giovane cattolico irlandese coinvolto nell’IRA, o in Ballando a Lughnasa”(1998) tratto dall’opera teatrale di Brian Friel che espone le problematiche psicologiche sulla vita in famiglia di un soldato reduce dalla guerra e infine in“Private Peaceful” (2012) tratto dal romanzo di Michael Morpurgo, che richiama alla mente l’esperienza traumatica della guerra attraverso gli occhi del protagonista, un veterano soprannominato “Tommo”. Cosa aspettarsi dunque? La realizzazione di un film che ci faccia riflettere sugli eventi rappresentati e che sia un’altra collaborazione di successo.

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