In occasione del centenario della morte di Auguste Rodin (Parigi, 1840- Meudon, 1917), sulla scia delle celebrazioni parigine inauguratesi con un convegno nazionale e una grande mostra dedicati al genio della scultura moderna, l’Italia ricorda l’artista francese con la presentazione di un importante capolavoro, testimone di una affascinante storia della durata di 130 anni. Si tratta della seconda copia tra i tre esemplari attualmente esposti delle cinque di una scultura in marmo bianco che rappresenta la figura mitologica di Andromeda realizzata dall’artista nel 1887 e che dal 4 al 6 maggio è stata presentata in asta per la cura di Artcurial di Milano in via Corso Venezia 22, dopo essere stata ritrovata nel 2017 dai due direttori associati della casa d’asta Stephan Aubert e Bruno Jaubert.
Prima del suo recupero l’opera era stata sempre all’interno della potente famiglia cilena dei Morla a partire dalla coppia formata da Carlos Lynch e da sua moglie Luisa, amici e committenti del talentuoso scultore della naturalezza, i quali entrarono in contatto con l’artista durante il loro soggiorno nella capitale francese. Il grande maestro Rodin creò e donò la scultura – ritrovata e considerata dagli studiosi la rappresentazione di Andromède – alla coppia cilena, come gesto di gratitudine per aver accettato, su richiesta dell’artista, di cedere il busto in marmo della moglie Luisa al Musée du Luxembourg, opera realizzata da Rodin su loro commissione.
L’opera in questione sintetizza la ricerca estetica rodiniana nel mutare dei profili della figura di donna nuda e piegata sulla roccia nel blocco dal quale essa prende forma attraverso gli accurati e studiati punti di vista dell’artista nella fase di modellamento del materiale, in questo caso lapideo. La peculiare lucentezza e mordidezza plastica date alla superficie della figura, la quale emerge in contrasto con la ruvidezza della roccia, è interpretata come un accorgimento espressivo nel chiaro intento dell’artista di conferire alla scultura il senso del dramma di disperazione e rassegnazione umana, per il riferimento al racconto del mito greco di Andromeda. Figlia di Cefeo, re di Etiopia, Andromeda, infatti, sarà legata allo scoglio per essere data in sacrificio al mostro marino, come rispose di agire l’oracolo cui interrogò il padre Cefeo, affinché le coste del suo regno fossero state liberate dalla mareggiata che aveva inflitto Poseidone, come castigo alla superbia della madre Cassiopea che, nel vantarsi di possedere insieme alla figlia la bellezza più grande di tutte le Neredi, le ninfe del dio dei mari, aveva offeso le sue creature. L’infausta vicenda vedrà la luce con l’intervento dell’eroe Perseo che ucciderà il mostro con la sua spada, libererando Andromeda e facendola sua sposa.
Affascinato dall’opera di Michelangelo, Rodin approda ad una scultura che esalta i valori pittorici della materia, dinamica e palpitante. Non a caso l’artista scrisse: “Io vedo tutta la verità, e non solo quella della superficie. Io accentuo le linee che esprimono nel modo migliore lo stato spirituale che interpreto”. All’esecuzione della materia, Rodin fa precedere numerosi disegni, tracciati dal vero, per catturare l’essenza e la vitalità del proprio modello.
Le opere di Rodin, sin dai suoi esordi, riproducono il vero con tale veridicità da scatenare il dubbio nella giuria del Salon che egli eseguisse le proprie sculture mediante calchi dei modelli. Per sfuggire all’accusa, Rodin si vide costretto a modificare le dimensioni delle proprie statue. allontanandosi dalle misure naturali, ma che sempre mostrano la sua modernità che media con equilibrio il naturalismo della forma, la memoria della tradizione classica, la dinamicità delle pose e la complessità del simbolo.