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Barbara Lezzi e la Questione meridionale tra Gramsci e Carlo Levi

Barbara Lezzi

Barbara Lezzi, quarantaseienne leccese, diplomata all’Istituto Tecnico “Grazia Deledda” della città barocca, impiegata, già senatrice del Movimento 5 Stelle nella XVII legislatura, vicepresidente per la commissione permanente di bilancio e membro della commissione permanente per le politiche europee, si appresta ad affrontare una delle sfide più cocenti della storia della Repubblica Italiana: Ministro del Sud nel Governo Conte, un consesso politico formato al 50% da pentastellati e al 50% dalla Lega Nord.

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Parte il governo Lega-M5S: che non sia una primavera europea

governo lega-m5s

Si è finalmente entrati in nuova epoca, politica e comunicativa. Parte il governo targato Lega-M5S. Destra e sinistra sono morte, insieme ai principali mezzi di informazione, i quali oltre a non aver capito il momento storico, sono stati ad inseguire le dirette Facebook dei due leader che dopo gli incontri a porte chiuse non concedevano esclusive se non alle loro pagine personali. E poi c’è un terzo elemento fondamentale che si inserisce: quello metapolitico. E’ la metapolitica ad aver influenzato i due movimenti-partito dominanti accelerando il processo di disgregazione dello status quo, è la metapolitica che oggi detta l’agenda del giornalismo italiano poiché quelle tematiche geopolitiche, economiche e giuridiche definite “fuori dal mondo” diversi anni fa sono diventate oggi mainstream.

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L’ora più buia della nostra politica, Sergio Mattarella e il colpo di stato tecnico

Mattarella

L’ora è buia più che mai: in Italia stanno letteralmente tremando i pilastri dello Stato democratico e quanto accaduto nella serata di ieri è di una gravità assolutamente senza precedenti nella storia libera del nostro paese. Chi non riconosce la brutale violenza anti istituzionale operata dal colle è uno sciocco o semplicemente in malafede. A proposito di questo è necessario sin da subito esprimere il più sentito e disgustato sdegno rispetto al mondo della stampa e dell’informazione che, in massima parte, colpevolmente ha assunto in queste ore un atteggiamento pavido e subdolo, asservito alla Presidenza della Repubblica mediante argomentazioni vuote, ridicole, meschine. L’ora è buia. Siamo stati noi i primi, in una lunga analisi di ieri, a paventare il rischio di un ricorso all’art.90 della Costituzione, quello relativo alla messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica. Oggi ne parlano tutti. E su queste stesse righe adesso, con la stessa identica convinzione, lanciamo un allarme che vogliamo sia percepito come il più drammatico urlo di terrore: il rischio, adesso, è quello di gravi disordini pubblici. Lo stesso Salvini, in serata, si è definito preoccupato in tal senso e ha speso se stesso, forse anche strategicamente, come garante della pace civile in questi momenti di fortissima tensione e concitazione. Il responsabile di tutto questo è il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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Il ’68 cinquant’anni dopo, quell’anno, divenuto canone di vita e conformismo di massa, che ancora pesa

'68

Il '68 ha fatto i figli e perfino i nipoti. È andato al potere ed è diventato conformismo di massa, anzi, sostiene Marcello Veneziani, nel libro Rovesciare il '68, canone di vita. Ha creato luoghi comuni e nuovi pregiudizi, codici ideologici, da rispettare implacabilmente per essere ammessi al proprio tempo, come il politically correct. Ma nel 2018, cinquant'anni dopo, i sessantottini cominciano a farsi settantottenni, ed è forse giunto il momento di fare i conti con la loro opera e la loro eredità. Questo viaggio nella "piccola preistoria" degli attuali pregiudizi è compiuto con spirito omeopatico da Veneziani: un veloce insieme di schizzi e frammenti, di flash e immagini, foto di gruppo e istantanee di pensiero. Uno zapping lampeggiante animato da un triplice progetto: descrivere in breve cosa fu il '68, narrare cosa resta e quali sono le sue rovine oggi ingombranti e, infine, capovolgere il '68 attraverso l'uso creativo e trasgressivo della tradizione.

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Aldo Moro e la rappresentazione della storia, dai film che rimandano ad una iconografia stereotipata al romanzo di Vasta che racconta la storia come materia

Aldo Moro

Aldo Moro, scrivono Pasolini e Sciascia, agisce attraverso la lingua: i suoi discorsi involuti, il suo latinorum, sono lo strumento principale per conservare lo status quo. Moro è il simbolo di un potere incomprensibile e in quanto tale le Brigate Rosse, ossessionate dalla retorica del complotto e dei linguaggi da decifrare, lo rapiscono, in omaggio, appunto a un’idea più che a un dato di fatto. La rappresentazione della storia da parte del cinema è spesso fondata su un immaginario autoreferenziale, i film si citano a vicenda, o rimandano a fonti audiovisive di tipo documentario, a fotografie, a dipinti, elementi visibili. Questo succede per ogni periodo storico ma nessun decennio come gli anni Settanta risente di un’iconografia standardizzata che spesso diventa stereotipo, luogo comune, banalità. C’è un evento però, negli anni Settanta, il cui percorso iconografico è stato completamente diverso: questo evento è il caso Moro. E il racconto cinematografico dei 55 giorni, più che alle fonti visive, deve il suo canone narrativo alla letteratura, una letteratura che fino alla pubblicazione del romanzo di Giorgio Vasta, Il tempo materiale, non ha mai osato discostarsi dal solco tracciato da due giganti tanti anni fa. Dal 1978, per essere precisi.

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Tony Iwobi e il razzismo degli antirazzisti, ipocriti quanto l’ideologia che sostengono

Iwobi

Un giovane nigeriano proveniente da una famiglia modesta giugne in Italia nel 1976 con un permesso di soggiorno per motivi di studio. È uno dei primi immigrati provenienti dall’Africa nera a giungere nel Bel paese, all’epoca sull’orlo di una guerra civile, dilaniato da attentati, violenze e manifestazioni squadriste da parte dell’estrema destra e dell’estrema sinistra. Testardaggine, volontà di emancipazione e di riscatto sociale e tanta ambizione, questi i moventi che spingono il giovane Tony Chike Iwobi a svolgere qualsiasi lavoro, muratore, stalliere e idraulico, pur avendo in mano una laurea in Scienze informatiche conseguita negli Stati Uniti. Si trasferisce nel profondo settentrione, nella provincia di Bergamo, dove viene assunto dall’Amsa in qualità di operatore ecologico, ma pochi mesi dopo viene promosso agli uffici divenendo impiegato. Cambia tanti lavori, non più umili, ricoprendo mansioni di responsabilità presso aziende italiane e svizzere, continuando allo stesso tempo ad arricchire il suo profilo lavorativo con corsi di specializzazione seguiti in Italia e all’estero.

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Elezioni politiche 2018: vince la realtà, il cosiddetto populismo che fa ancora storcere il naso ai radical chic che vivono su un altro pianeta

elezioni politiche 2018

Dal trionfo del Movimento 5 Stelle alla débâcle del Partito Democratico, dal successo della Lega al tonfo di Forza Italia: come cambia lo scenario politico italiano dopo le elezioni del 4 marzo? A guardare le mappe spennellate di colori politici, l’Italia è divisa in due: Lega Nord e Lega Sud. Il meridione e le isole sono macchiati del giallo del Movimento 5 Stelle, il settentrione è zona targata Lega. I veri vincitori sono loro, i partiti cosiddetti populisti, i partiti della realtà. I perdenti? Innanzitutto il Partito Democratico dell’ex-premier in bicicletta Matteo Renzi, che ha dimezzato i consensi, insieme alla fotogenica e onnipresente Emma Bonino e ai colonnelli fuoriusciti (dalla casa democratica e dalla storia) Bersani, D’Alema, Grasso e compagnia. Non se la passa bene nemmeno Forza Italia, che guadagna la seconda posizione all’interno della coalizione del centrodestra.

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Salviamo la scuola dall’anacronismo politico

scuola italiana

Lavinia Flavia Cassaro, l'insegnante di Torino che ora rischia il posto per aver augurato la morte alle forze dell'ordine, rappresenta uno dei tanti modelli diseducativi che vorremmo sinceramente sparissero dalle nostre scuole. Sembra che l’aria che si respira possa tranquillamente provenire da uno dei film di Elio Petri: le strade sono in fermento, i caschi della celere non occupano le gradinate degli stadi ma l’asfalto, ed il neo prototipo dell’anarchico da copertina si scaglia contro i tutori dell’ordine costituito. Cortei e fumo, disordine controllato, di nuovo il nemico nero da combattere, l’incombere di vecchie paure con l’ombra che torna a distendersi sul martoriato stivale del Belpaese. “Anacronismo che avanza!”, potrebbe essere lo slogan di una moderna corrente di pensiero, che ripesca modelli dal passato, per far fronte alla voragine politico-sociale, apertasi nel tessuto di questa nostra Italia che stenta a trovare una propria identità.

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