Giudizi contrastanti intorno al nuovo film di Mario Martone, Il giovane favoloso, ovvero Giacomo Leopardi provengono dalla laguna veneziana; Il film infatti, in concorso per l’ambito Leone d’Oro, ha diviso la critica: alcuni la considerano un’opera- compendio che non scongiura totalmente il rischio di diventare un didascalico biopic per scolaresche, altri un lavoro che rimuove i luoghi comuni che da sempre accompagnano il grande poeta e filosofo marchigiano, interpretato da uno straordinario Elio Germano.
Cosa sappiamo effettivamente di Giacomo Leopardi, pessimismo a parte? Lo conosciamo davvero? In realtà l’autore de Lo Zibaldone, di A Silvia, de Il canto notturno di un pastore errante, di Alla luna, de L’infinito, de La ginestra e via discorrendo, è stato collocato dalla cultura postmoderna fuori del suo tempo, e il risultato è un approccio scolastico e banale alla figura di uno dei più grandi poeti dell’Ottocento.
Mario Martone racconta il “suo” Leopardi proprio dalla giovinezza a Recanati, seguendo il giovane nella ricerca costantemente osteggiata dal padre Monaldo e dalla madre, una bigotta e anaffettiva, la quale presterà il suo volto a quella Natura ostile e maligna cui il poeta si è rivolto per tutta la vita con profondo rancore e dolore per essere stato un figlio abbandonato e mai compreso.
Attraverso un salto temporale, ritroviamo Leopardi a Firenze, dove conosce l’amata Fanny e l’amico Antonio Ranieri, entrambi fondamentali all’interno del percorso emotivo del poeta. Leopardi si confronta con la società intellettuale della sua epoca dell’epoca, che invece di cogliere la capacità visionaria di Leopardi fuori dagli schemi, ne intuiscono invece la pericolosità dal punto di vista politico, in quanto non allineato con il pensiero (ottimista) dominante che mitizza la storia e il progesso, respingendo qualsiasi utopia.
Leopardi era un uomo libero e scomodo, alcuni critici lo hanno considerato nemmeno un filosofo, come il vecchio filone della cultura laicista italiana, presieduta da De Sanctis a da Croce, ritenendo la filosofia di Leopardi scarsamente significativa. In effetti tale filosofia può sembrare che esprima null’altro altro che un superficiale pessimismo che nasce dalla presa di coscienza della propria infelicità che poi si estende a tutta la realtà, al quale fa da contralatare una poesia profonda. Eterogenesi dei fini: Leopardi che odia la vita, ce la fa amare attraverso la poesia. Come avrà reso questo controsenso il regista napoletano?
Bisogna attendere il decennio tra le due guerre per avere una rivalutazione del pensiero di Leopardi; Giovanni Gentile infatti legge il poeta con interessi filosofici, nell’intento di rivalutare le Operette morali, e arriva ad affermare che Leopardi è autentico e grande filosofo. Un filosofo che non si è preoccupato di indagare su problemi metafisici e gnoseologici; Leopardi non procede per astrazioni nelle sue riflessioni, ma comunica in maniera immediata come dimostra lo Zibaldone, e ci è più comprensibile.
L’atto conclusivo del film di Martone si svolge a Napoli, dove Leopardi dà vita a La ginestra, summa del pensiero esistenziale del poeta disperato.
Martone racconta quindi un Leopardi vulnerabile, dalla salute cagionevole e l’animo fragile, ma seppur rattrappito nel corpo, egli dimostra fino alla fine una grande lucidità intellettuale ed ironia; e proprio questa ironia si configura come un aspetto “nuovo” nel presentare la figura di Leopardi, nella cui parole e lingua, secondo Martone, si ritrovano le orgini dell’Italia di oggi.
Mario Martone vuole mostrare come Leopardi sia un personaggio attualissimo e moderno, attraverso un’opera filologica, facendoci avvicinare al lato umano e affettivo di un giovane il cui straordinario intelletto che confidava nella forza della ragione, era confinato in un corpo deforme e in un mondo troppo piccoli per contenerlo.
Il film sembra essere un omaggio non solo a questo importante protagonista della nostra cultura ma alla cultura e alla bellezza stesse, troppo spesso malatrattate ed ignorate. Ma Martone sarà stato anche in grado di coinvolgere lo spettatore riflettendo su una delle tematiche più affascinanti e sempre attuali del pensiero leopardiano che riguarda tutti noi, ovvero la teoria dell’amor proprio, secondo la quale l’uomo è un essere che ama necessariamente se stesso e mira alla propria conservazione e alla propria felicità. L’altruismo per Leopardi è un controsenso: quando si fa del bene ad un altro è perché si prova piacere, quindi lo si fa sempre a se stessi.
L’altruismo quindi è davvero una sublimazione dell’amor proprio? Può coincidere con l’egoismo? Quest’ultimo è un atteggiamento di chi è debole o forte, è mosso dal raziocinio, dal calcolo o dall’istinto?
Il rischio principale de Il giovane favoloso è quello di perdersi in parole pedanti e noiose didascalie, piuttosto che in immagini suggestive che ci trasmettano il senso della convinzione leopardiana che l’immaginazione è la fonte primaria della felicità e la l’illusioni sono il vero, la realtà; assunto che è l’essenza del cinema stesso, del resto.