
L’album At Folsom Prison di Johnny Cash rappresenta una favola, esso infatti è solo il punto di arrivo di un percorso fatto di tormento, sofferenza, umanità e redenzione. A metà degli anni ’60, la parabola artistica di Johnny Cash, è in fase decisamente calante. Il successo travolgente degli esordi, in cui era perno del Million Dollar Quartet insieme a Elvis Presley, Jerry Lee Lewis e Carl Perkins durante il periodo d’oro della Sun Records, è un lontano ricordo. I giovani, affascinati da nuove sonorità sembrano voltargli le spalle. Le vendite sono in picchiata e nessun produttore è pronto ad investire un solo centesimo su di lui. A ciò si devono aggiungere i numerosi problemi con la legge causati da un crescente abuso di droghe che ne rafforzano la cattiva reputazione e ne accrescono la fama di “fuorilegge”. Non proprio un momento felice dunque il cui superamento richiede un grandissimo sforzo umano e professionale. L’amore di June Carter gli fornisce la forza per disintossicarsi ed il coraggio per tentare un’impresa apparentemente assurda atta a celebrare la sua seconda vita.
L’idea è di incidere un live, ma deve essere qualcosa di epocale, di indimenticabile, in grado di presentare al mondo “il nuovo Johnny Cash”. La scelta ricade su un concerto per i detenuti del carcere di massima sicurezza di Folsom in California. Ovviamente la decisione desta scandalo. E’ la prima volta che un artista si esibisce in un penitenziario. Il rischio sia commerciale che fisico è altissimo. D’altro canto però è un’impresa che denota grande sensibilità umana e notevole impegno sociale. The Man In Black ha sempre mostrato interesse per le condizioni in cui versano i carcerati, a causa dell’arresto subito nel 1965, e vive questa possibilità come un atto dovuto. E’ entusiasta di esibirsi tra le mura di Folsom e se ne infischia di tutti coloro che gli consigliano di rinunciare e di optare per una soluzione più semplice. Anche il produttore Bob Johnstone si dimostra favorevole ed il progetto va in porto. Il 13 gennaio del 1968 si tiene, dunque, uno degli show più memorabili della storia. Carl Perkins apre il set con la sua Blue Suede Shoes , gli Statler Brothers con Flowers On The Wall e This Old House traghettano la platea verso il pezzo forte dello spettacolo. Johnny Cash fa il suo ingresso sul palco e, dopo la sua consueta frase di saluto “Hello i’m Johnny Cash”, guida gli estasiati spettatori verso una cavalcata trionfale.
Il set si apre ovviamente con Folsom Prison Blues, sul cui verso “but I shot a man in Reno just to watch him die” i detenuti vanno letteralmente in delirio, e prosegue snodandosi attraverso Dark As A Dundgeon, I Still Miss Someone, Cocaine Blues, 25 Minutes To Go (una sorta di conto alla rovescia verso la forca), Orange Blossom Special, Send A Picture Of Mother, Jackson, Green Green Grass Of Home, Greystone Chapel, tutte canzoni maledette di cui Cash fornisce magistrali interpretazioni dovute, con tutta probabilità, al clima di totale empatia tra pubblico ed artista instauratosi durante il concerto. Nel disco è infatti chiaramente percepibile il feeling tra i carcerati, che considerano Cash quasi come uno di loro ed il cantante che nutre simpatia ed infinito rispetto per quei suoi spettatori cosi particolari.
“Pieno di quella emotività che raramente si trova nel rock” (Richard Goldstein-The Village Voice)
A fronte del piccolissimo investimento economico iniziale l’album riscuote un successo strepitoso. Vola al primo posto della country charts e al 13 posto della hit parade. Ma è il valore storico e documentale dell’opera che conta. At Folsom Prison è stato il primo live di rilevanza “sociale” della storia ed il suo esempio è stato seguito da numerosi artisti nel corso degli anni. Cash stesso pubblicherà due anni dopo il disco At San Quentin, BB King tenterà un’analoga esperienza dando alle stampe nel 1971 il Live At Cook Country Jail, fino ad arrivare ai Metallica che nel 2003 girano il video di St. Anger nel carcere di San Quintino.

La musica country e rock entra per la prima volta in luoghi fino ad allora considerati tabù e si fa portavoce di diritti umani e solidarietà tralasciando per una volta il mero calcolo economico e le regole dello spettacolo. L’artista si spoglia momentaneamente del suo status di star schierandosi apertamente a favore dei disagiati mettendo a disposizione la sua potente voce per attirare l’attenzione su problematiche ed istanze troppe volte ignorate. Johnny Cash è stato il primo a capire che le sue canzoni, oltre a far soldi, potevano servire ad uno scopo più nobile ossia portare un po’ di sollievo dove ce n’è bisogno, a chi ne ha bisogno. Tutto il resto per un momento può aspettare.