“Tremate, questa è Roma!”. Succede raramente e nell’odierno cinema italiano quasi mai che all’audacia di un film corrisponda quella di coloro che l’hanno realizzato. “Il primo re”, in questo senso, è un titolo inedito perché affronta una prova ad altissimo coefficiente di rischio e la vince con uno sfoggio a tutto schermo di personalità stilistica, originalità culturale e vigoria spettacolare: ambientato in un passato primordiale di cui, peraltro, riusciamo a riconoscere la matrice antropologica e culturale, sceneggiato dal regista e coproduttore Matteo Rovere con Filippo Gravino e Francesca Manieri usufruendo della consulenza di latinisti, storici, filologi e archeologi ma anche sulla base di folgoranti reinvenzioni, recitato in un oscuro linguaggio proto-latino decifrato dai sottotitoli, esaltato dalla magistrale fotografia di Daniele Ciprì e scandito dalle martellanti musiche di Andrea Farri, interpretato da un cast di prim’ordine capeggiato dallo strepitoso Borghi, il film consente, in effetti, al suo autore di conferire dignità epica moderna a raffigurazioni barbariche e pressoché pre-umane, elementi che figurano anche nelle dichiarazione del regista Rovere:
“Il nostro mito fondativo non è stato trattato dal cinema che, invece, ha costruito un filone ricchissimo sulla narrazione dell’antica Roma. È stata questa la spinta iniziale: era il momento di provare a calare lo spettatore nel Lazio dell’VIII secolo a. C. tenendoci più lontani possibile dall’estetica classica del peplum alla Ben-Hur, immaginando di raccontare, invece, la fondazione dell’Impero a partire proprio dal mito come se fosse vero. Alla pari di un film d’avventura, abbiamo reinterpretato in chiave realistica ed emotiva la leggenda dei gemelli Romolo e Remo”.
Ma se Romolo accetta il divino, decidendo di portare con sé nella sua fuga, insieme al fratello, la vestale del Dio Fuoco (Satnei), al contrario Remo incarna un potere basato sulla forza fisica e sull’autorità militare, una laicità che non crede alla presenza di un divino da rispettare.
Avvincente fin dall’incipit, la ricostruzione di uno dei miti fondativi più complessi della civiltà indoeuropea –quello della città di Roma fatto risalire al 753 a. C. dall’intrico di storie e leggende mischiate alle narrazioni di Tito Livio e Plutarco- evoca non solo recenti serie tv come “Il trono di spade” e film come “300”, ma anche il filone storico-mitologico che fu uno dei vanti di Cinecittà dal kolossal del muto “Cabiria” alle saghe anni 50 degli Ercole e dei Maciste.
Più che ai classici italiani del filone mitologico ed epico, Matteo Rovere guarda a modelli naturalistici come The New World di Terrence Malick, di cui evita però la voce over con le sue infinite domande: i protagonisti di Il primo Re ci sono proposti nelle loro semplici gesta, lasciando parlare le azioni e limitando al minimo anche i dialoghi, parlati in proto-latino e sottotitolati. Il lavoro di ricostruzione linguistica ha fatto avvicinare il film anche ad Apocalypto di Mel Gibson, ma la messa in scena è meno adrenalinica e si guarda piuttosto a Revenant – Redivivo di Alejandro González Iñárritu, di cui comunque Rovere evita saggiamente di riprendere gli eccessi onirici e lirici.
Su di un piano di costante eccellenza visionaria, Nel Primo re, la lotta dei pastori reietti Romolo e Remo prima per la sopravvivenza e poi per il dominio sulle selvagge tribù insediate sulle sponde del basso Tevere non conosce un attimo di tregua sino all’acme conclusiva, quando al prezzo del sangue fraterno si fa strada il barlume di una comunità definita dalle norme sociali, politiche e religiose in parte preconizzate dalla vestale Satnei, cultrice della forza del fuoco e dei voleri imperscrutabili della Triplice Dea. Grazie al crudo realismo dei corpi nudi squassati dalle piogge, delle fughe tra boscaglie e paludi spettrali e delle battaglie inferocite dalle urla bestiali, la polvere scolastica lascia il posto, così, agli eterni dubbi sul senso e l’incidenza del divino e del sacro negli eterni duelli dell’uomo col destino e nel ricorrente scontro fra le sue civiltà.
Finalmente il nuovo cinema italiano di genere!
Fonte: