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Ingiustizia Andric

‘Il caso di Stevan Karajan’, l’ingiustizia secondo il premio Nobel Ivo Andrić

Dal 14 febbraio in libreria Il caso di Stevan Karajan, una raccolta di racconti inediti di Ivo Andrić, curata da Božidar Stanišić e tradotta da Alice Parmeggiani.

Dieci racconti, scritti intorno agli anni Cinquanta, incentrati su uno dei temi cardine di tutta la produzione di Andrić: l’ingiustizia.

Ingiustizia Andric

Le storie de Il caso di Stevan Karajan attraversano le epoche storiche da Ottocento a Novecento, indagando le diverse forme e i molteplici rapporti che si instaurano tra uguaglianza e disuguaglianza, tra forza e debolezza, tra maggioranza e minoranza, nonché sul conflitto fra i concetti di giustizia e ingiustizia.

Una porta chiusa a chiave e dietro una donna testarda; un carpino in cima a un colle е stanchi uomini che pensano; lo sciopero delle donne alla tessitura dei tappeti; un’equilibrista sul filo; un imprenditore in vestaglia su una poltrona, nel salotto della sua villa appena bombardata.

Dieci storie inedite ambientate nel Novecento che raccontano di giustizia e soprattutto di ingiustizia, subita e taciuta, oppure gridata in goffi tentativi di ribellione soffocati dal potere, dal denaro o dalla violenza. Il premio Nobel Ivo Andrić, con sensibilità e maestria, racconta donne e uomini intrappolati dalla burocrazia, sconvolti dalla guerra e dalle ambizioni altrui.

Andrić e la sua percezione dell’ingiustizia

Il motivo dell’ingiustizia è uno dei più frequenti nell’opera letteraria di Andrić. È logico quindi interrogarsi sulle ragioni di quella frequenza. Crnjanski, come Andrić, riteneva che per comprendere ogni artista la cosa essenziale fosse la sua opera. Tuttavia, a differenza di Andrić, che sotto questo aspetto era più radicale del suo amico (l’opera è tutto), per lui era importante anche la vita dell’autore. Per questo riporterò almeno alcuni dettagli dell’infanzia e della giovinezza di Andrić, che, ne sono convinto, ebbero un riflesso sulla sua percezione dell’ingiustizia e di conseguenza sull’espressione creativa delle sue numerose manifestazioni. Fin dalla sua infanzia, per Andrić i libri ebbero una grande importanza; in essi intuiva gli immensi universi dell’ignoto e del magico. Ma il liceale sarajevese, figlio di una povera operaia di una fabbrica di tappeti, per i libri non aveva denaro.

Si fermava spesso davanti alla vetrina della libreria di Jaroslav Studnička, un ceco immigrato nella Sarajevo austroungarica, e poteva solo osservarli da dietro il vetro. «Più volte mi allontanavo da quella vetrina e poi vi ritornavo ancora, finché non iniziava a calare la sera autunnale e finché nella vetrina non si accendeva di colpo la luce, e il suo riflesso non cadeva sull’asfalto bagnato. Allora si doveva lasciare tutto e ritornare nel quartiere lassù, alla mia vita reale…». Lassù, nel ripido vicolo Basamaci, a Bistrik, nel povero appartamentino della madre operaia. Dai libri lo separava una barriera di cristallo, apparentemente equanime (ognuno poteva vederli), ma credo che quella vetrina, come metafora dell’irraggiungibile, fosse per lui anche una delle percettibili manifestazioni dell’ingiustizia. E questa diceva a chiare lettere: tutto si può comprare se abbiamo i soldi. «E quando non li abbiamo, perché non li abbiamo almeno per i libri?» sembrava che si chiedesse il ragazzo, futuro scrittore. (Meša Selimović, criticando a ragione il paradiso promesso dell’uguaglianza nel socialismo, una volta citò il proverbio popolare: “Da sempre, qualcuno ha, e qualcuno guarda”).

Ci fu un’altra barriera che segnò l’esperienza della vita di Andrić nel processo di consapevolezza dei meccanismi sociali dell’ingiustizia: i muri della prigione di Spalato e del carcere di Maribor, dopo l’accusa di aver collaborato con gli autori dell’attentato di Sarajevo. «Costretto e impotente, in quella umida fossa, in una posizione che mi abbassava allo stato bestiale, io per la prima volta intesi con il pensiero e colsi con il sentimento il senso della vita umana e della lotta…».

Solo agli uomini che in sostanza non amano nessuno e niente tranne che se stessi, può, in modo così profondo e durevole, diventare odiosa la vita, come in quei giorni di ottobre del 1944 successe a Stevan Karajan, uomo d’affari e proprietario di immobili. E per lui quella non era una cosa né di oggi né di ieri: era già un anno buono che era cominciata

L’autore

Ivo Andric è il primo rappresentante della letteratura slava meridionale a essere insignito del premio Nobel (1961), destando l’interesse di un pubblico internazionale. Nato a Travnik (Bosnia ed Erzegovina) nel 1892, trascorre la maggior parte della sua vita a Belgrado, dove scrive le sue opere più note e dove è sepolto. È politicamente attivo da quando, terminati gli studi, viene eletto presidente del Movimento progressista serbo-croato. Si dedica alla carriera diplomatica, soggiornando in diverse città europee e approfondendo nel contempo la vocazione letteraria. Risale agli anni Trenta la pubblicazione di alcune novelle e al 1945 quella dei due romanzi maggiori, La cronaca di Travnik e Il ponte sulla Drina. Muore a Belgrado nel 1975. BEE ha pubblicato nel 2017 In volo sopra il mare e altre storie di viaggio, nel 2020 il romanzo La vita di Isidor Katanić, nel 2021 Litigando con il mondo e nel 2022 La Signorina.

https://www.bottegaerranteedizioni.it/product/il-caso-di-stevan-karajan/?mc_cid=eaef1c5bac&mc_eid=d4d48d4012

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