Si sentivano distratti, sviati proprio al margine del sogno. In verità, partivano per altri lidi: rotti all’ esercizio che consiste nel proiettarsi fuori di sé, chiamavano distrazione la nuova tappa che li sprofondava in se stessi (Les Enfants Terribles, J.Cocteau).
Vivere a Bobigny, in una banlieue nella zona est di Parigi, vuol dire essere sempre disposti ad accettare certe sfide. Certo non si è tirata indietro nemmeno la regista trentaseienne Céline Sciamma (Tomboy) che con il suo terzo lungometraggio, Bande de filles, ha voluto conoscere da vicino il mondo delle adolescenti per poi raccontarcelo, così com’è, senza ricami e senza l’enfasi di chi vuole far presa sullo spettatore, senza retorica. La regista descrive, semplicemente e con estrema verità, cosa possa voler dire vivere oggi a Parigi, essendo donne, nere e povere. Circoscritte.
La bravissima Karidja Touré è Marieme o meglio Vic, come Vittoria o forse come riscatto. La sedicenne vive a casa con le sorelle più piccole ed il fratellastro violento e molesto che dovrebbe farle da padre. Ed è adolescente, in quel periodo della vita in cui pensi che trasgredire, oltre che un pensiero seducente, possa essere l’unica soluzione. Un’adolescenza fatta di codici e di meccanismi i cui ingranaggi sono i membri stessi del “clan” che decidono di raccontarcela. Quello che si crea attorno a Marieme è un clima di violenza ed oppressione. Gli edifici grigi e le squallide strade asfaltate fanno da sfondo ad una quotidianità asettica. Marieme, però, sorride di pancia e, quando vuole, si crede felice.
Si sogna assieme, sospesi in un limbo, arretrando qualche miglio dalla realtà sulle note di Diamonds di Rhianna, eletta ad eroina in quei pochi attimi di piacevole perdizione. Marieme lascia la scuola, non accetta quel tacito compromesso fatto di leggi sociali che la vedono catapultata in un quartiere dove non è stata certamente lei a scegliere di nascere. Non accetta di poter far lo stesso lavoro della madre, donna delle pulizie. Non accetta di sottostare alla regole imposte dai “ragazzi”, dagli uomini. Marieme si ribella e non rischia. Pensa a come inventarsi qualcosa per sopportare quello che le spetterà il giorno dopo. Così diventa Vic. Ed, ora, la lotta alla sopravvivenza è una lotta nel fango, a cielo aperto, che diverte chi assiste passivamente alla sua vita. Il reggiseno rosso strappato alla nemica è il primo atto di conquista. Anche questa volta tutto le è concesso. S’innamora e cerca un’evasione a breve termine.
Il peso delle responsabilità schiaccia e lascia poco spazio alle speranze. Finisce in un vortice di conseguenze che si rivelano forse nocive ma inevitabili. Inevitabile è smarrirsi quando nessuno ti prende per mano e scegliere è impossibile. Arrivano così altri guai, i giri poco raccomandabili, il gioco infame di chi possiede e chi, invece, è costretto a vendersi in un’esistenza che viene stroncata da eventi che seguono il loro corso. Il corpo di Vic diventa un mezzo per raggiungere degli scopi, viene fasciato per nascondere l’identità. Identità che si frantuma e dopo si sagoma ogni volta che le tocca fare i conti i suoi bisogni ed i suoi desideri. Nemmeno quando le viene offerta la possibilità di trascorrere il resto dei suoi giorni con il ragazzo che la ama e che ama, riesce a piegarsi e ad accettare il comodo compromesso che la trarrebbe in salvo da ogni pericolo. Non è quello che vuole Vic, in bilico tra rassegnazione e voglia di esserci, di esistere, di scegliere.
Il sipario si apre e si chiude per ben quattro volte. Veniamo proiettati in quadretti narrativi che, a tratti, non seguono un criterio. I colori sono netti ed ai soggetti viene lasciato il primo piano, perché è l’identità il tema centrale e la faticosa costruzione di essa. La personalità di Vic viene fuori man mano ma non si delinea e questo spiega il suo continuo cercare non sapendo bene cosa, assecondando di volta in volta le sue mute richieste d’aiuto. Non possiamo pensare a Vic come ad una persona che agisce con determinazione e volontà di perseguire un obiettivo, è solo una ragazzina che tenta, in tutti i modi, di riprendere in mano le redini della sua esistenza. La sua è una corsa verso il domani, che si prospetta ancora più grigio, forse annebbiato dai sensi di colpa per quei momenti di vita persi, un insanabile strappo. E la colonna sonora di Para One ci suggerisce proprio questo.
Bande de filles richiama alla mente un altro film francese che racconta di ragazze adolescenti, Foxfire-Ragazze cattive del regista Cantet, entrambi i registi hanno chiamato in causa la società, la famiglia, la scuola, il proprio quartiere e il gruppo di amici. Ma se Cantet ha raccontato un dramma sociale celato dal perbenismo di facciata, la Sciamma ha raccontato una crisi di identità, facendo delle proprie protagoniste delle figure femminili universali.