Buoni sentimenti assenti. Nessun messaggio edificante. Di eroi neppure l’ombra. Carezze al pubblico inibite. La pasta di cui è fatto Tonya, uno dei migliori film dell’anno, è quella di un’incontenibile energia che fa saltare gli argini tra finzione e realismo infiltrandosi in tutte le pieghe di una commedia divertente e a tratti farsesca ma sempre cinica e insolente. La tendenza agiografica del genere biopic viene, infatti, fatta a pezzi dal film dell’australiano Gillespie che ricostruisce a colpi di virtuosismi tecnici e stilistici il sorprendente identikit di una campionessa di pattinaggio artistico sul ghiaccio votata alla lotta continua contro l’indigenza, la madre, il marito, il proprio sport, l’America e soprattutto se stessa. Iniziando a mixare i toni sin dal primo fotogramma, il regista e lo sceneggiatore Rogers adoperano la tecnica dello pseudo documentario o mockumentary per dettagliare le tappe del calvario che Tonya Harding, nata e malcresciuta in una delle squallide periferie abitate dal proletariato bianco, è costretta ad affrontare sin da bambina nel segno della propria e altrui ossessione per la vittoria, i primati, la fama e i soldi. Tocca, appunto, alle finte interviste inserite nell’impianto drammaturgico riannodare i fili dell’episodio di cronaca nera che nel gennaio del ‘94 fece scalpore in tutto il mondo, ma soprattutto scosse ed esacerbò l’opinione pubblica statunitense.
Read More »La notte degi Oscar tra femminismo d’accatto, propaganda e opposti moralismi
Mentre qui in Italia si consumava l’ultimo atto della folcloristica parata elettorale, con i cittadini in fila alle cabine di voto, oltre oceano, anzi, sulle rive dell’opposto oceano, il Pacifico, il 4 marzo andava in scena la non meno stucchevole parata degli Oscar. Non è nostra intenzione scadere nell’antiamericanismo d’accatto solo per acciuffare qualche plauso. D’altro canto, l’indifferenza o il non prestare la dovuta attenzione ad un fenomeno che si vorrebbe relegare nella cronaca di costume e spettacolo è ancor più sciocco e segno di profonda cecità. La democrazia liberale coltiva le sue gioiose vittime in molti modi. Anch’essa, sebbene in maniera più subdola rispetto ai regimi totalitari si regge e alimenta attraverso la propaganda. Il consenso è lo sgabello ai suoi piedi. Laddove non sia già pronto, utilizza ogni stratagemma per procurarselo. Lo fa certo nei comizi o dibattiti politici dove ha imparato a soppesare ogni parola. E se qualcosa malauguratamente sfugge dalle labbra poco attente, allora poi è sufficiente ritrattare non appena si intuisce il vacillare della popolarità. Ciò che conta non è più, in effetti, quello che si dice, ma il come esso viene detto. Misteri ultimi della più avanzata fra le scienze, o forse dovremmo dire fra le arti illiberali: la comunicazione.
Read More »‘To the Wonder’ e ‘The tree of life’ di Malick, due film complementari sull’individuo costantemente contrapposto alla storia
Indubbiamente con To The Wonder, la matrice del cinema di Terrence Malick è definitivamente venuta allo scoperto, confermando quanto già si poteva intuire nel precedente The Tree of Life. Con quest’ultimo, contestatissima Palma d’oro a Cannes 64, il regista texano aveva mostrato inequivocabili segnali di una profonda crisi mistica, aprendo ad un nuovo corso del suo esercizio cinematografico. “Neonata. Apro gli occhi. Fondo. Nella notte eterna. Una scintilla”: questo l’incipit, le prime parole off pronunciate dalla voce interiore di Marina in To the Wonder (Olga Kurylenko). Parole che fanno da eco a quelle dolenti di Jack (Sean Penn) in The Tree of Life (“Come ti ho perduto? Mi sono allontanato, ti ho dimenticato”), riattivandone in un battito di ciglia il substrato gnostico. Secondo la gnosi, dottrina antichissima dalle ramificazioni straordinariamente estese, l’essere umano è caduto nel mondo, gettato nella prigione terrestre, addormentato, ignaro della propria reclusione nella vita mortale e dimentico della scintilla divina che, sopita, dimora in lui. Venire al mondo significa dunque precipitare nell’oscurità della materia, nell’inconsapevolezza della propria origine, nella perdizione. La creazione non è opera della bontà divina, ma il prodotto di una divinità malvagia (Demiurgo): è tenebra, divisione, incompletezza, corruzione del Pleroma (la luminosa pienezza originaria). Creazione sta per catastrofe, in una parola. Si tratta di un dramma immane e incontrollabile di fronte al quale non si può che piangere (è forse un caso che in The Tree of Life la cosmogenesi sia accompagnata dalla Lacrimosa di Zbigniew Presner?).
Read More »In morte di Jerry Lewis, pontiere tra screwball e slapstick comedy
Nel momento più intenso della guerra fredda tra cinema italiano e cinema americano, inasprito dall’egemonia della critica post-neorealistica, il nome e i film di Jerry Lewis rappresentavano uno dei punti di massima polemica. Infatti al grande successo e alla straripante popolarità di The ID (come lo chiamavano i fan abbreviando l’affettuoso nomignolo “The Idiot” ) in patria, corrispondeva da noi la diffusa idea di un comico banale, insulso, esponente perfetto della tipica demenzialità americana. Solo alcuni cinèfili coraggiosi, precedendo di poco la clamorosa rivalutazione critica operata alla fine degli anni Sessanta dai ‘giovani turchi’ parigini futuri autori della Nouvelle Vague, osavano celebrare la genialità assoluta ed eversiva dell’attore scomparso o scorso 20 agosto a novantuno anni. Quell’adulto perennemente infantile, dai movimenti simili a quelli di uno snodatissimo pagliaccio e dalla risata e la smorfia sguaiate, detto anche The Ugly -il bruttissimo- signore e padrone delle esilaranti (dis)avventure di titoli destinati a diventare di culto come “Mezzogiorno di fifa” o “Il nipote picchiatello” (doppiati come meglio non si potrebbe dal mitico Carletto Romano) era anche, sorprendentemente, un idolo della Hollywood glamour, sposato ma seduttore, nevrotico ma in grado di fare impazzire le pupe non solo nella finzione dei set, partner indispensabile di Dean Martin nei trionfi di una delle coppie comiche più irresistibili della storia del cabaret, del cinema e della tv.
Read More »In morte di George A. Romero, Il più estremo maestro dell’horror contemporaneo
Gli zombi siamo noi. Anche in Italia, senza attendere il via libera dei “Cahiers du cinéma” che sarebbe arrivato da lì a poco, i sessantottini cinéfili ne colsero subito l’essenza e se la scambiarono come un passaparola. “La notte dei moti viventi”, un horror americano costato la miseria di 114.000 dollari (ma ne incasserà circa trenta milioni nel mondo), 96 minuti in bianco e nero, senza attori noti e denso di polemici riferimenti all’attualità senza, però, ricorrere alle prediche del cinema etico-politico, divulga così il nome di George A. Romero, uno dei registi chiave della New Hollywood morto ieri per una grave malattia a Toronto. Nato nel febbraio 1940 a New York da padre cubano, Romero si trasferisce a Pittsburgh e insieme ad alcuni amici si occupa di spot e documentari prima di fondare la casa di produzione Image Ten il cui primo titolo sarà proprio “Night of the Living Dead” uscito nell’ottobre 1968. Sia pure ricco di precedenti nobili, come il cult di Val Lewton “Ho camminato con uno zombi”, il film ispirato a un racconto del maestro di un’intera generazione di cineasti indipendenti Richard Matheson sviluppa in maniera geniale il tema (anche western) dell’assedio adattandolo a quello distopico dell’epidemia distruttrice: una volta contagiati da un virus procurato dai maneggi del potere, gli uomini non diventano mostri o vampiri, bensì “morti viventi” avidi della carne dei sopravvissuti.
Read More »‘La battaglia di Hacksaw Ridge’, la potenza e il vigore dell’anticonformista Mel Gibson
Mel Gibson, il reietto del sistema radical-divistico hollywoodiano è tornato alla grande. Ed è tornato con uno dei generi baluardo delle platee popolari: il cinema di guerra, con un film candidato agli Oscar e che se ne infischia dei tentativi di tutela da parte dei sentimenti pacifisti dell'espressione artistica di un cineasta: La battaglia di Hacksaw Ridge.
Read More »Cinque film per ricordare l’attrice Debbie Reynolds, scomparsa lo scorso 27 dicembre
Di nascita umile e dall’infanzia selvatica in quel di El Paso, Mary Frances Reynolds (fu Jack Warner a scegliere per lei Debbie) è stata un’attrice, cantante, presentatrice, patrocinatrice cinematografica e attivista sociale, scomparsa il 27 dicembre scorso, 24 ore dopo la morte della sua amata figlia Carrie Fisher, anche lei attrice, indimenticabile principessa Leila nella pellicola Guerre stellari. Ricordiamo Debbie Reynolds attraverso cinque prove indimenticabili dentro la sua brillante carriera. È una scelta limitata rispetto a un corpus artistico ancora tutto da esplorare, ma ci sembra un buon punto di partenza per permettervi, eventualmente, di approfondire di più l’arte di colei che è stata una grande star hollywoodiana in grado di non perdere mai il controllo della sua vita nonché il buon umore. È stata una regina del musical classico, lanciata forse dal capolavoro dei capolavori in questa categoria.
Read More »‘Sully’ di Clint Eastwood: l’eroico destino di chi compie solo il proprio lavoro
Sully è il nuovo film dell'inossidabile fuoriclasse del cinema internazionale Clint Eastwood, uscito nelle sale italiane lo scorso 1 dicembre e che ha per protagonista Tom Hanks. L'ottantaseienne Eastwood dimostra di avere una vena creativa inesauribile e sforna un altro capolavoro prendendo le mosse dallo straordinario evento avvenuto il 15 gennaio del 2009, quando il volo di linea Airways 1549, affidato alle esperte mani del capitano Chesley “Sully” Sullenberger, fu costretto dopo pochi minuti dal decollo a tentare un ammaraggio d’emergenza sulle acque newyorkesi dello Hudson in seguito all’avaria di entrambi i motori.
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