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‘L’amica geniale’: il romanzo del ricordo sulle età della vita, di Elena Ferrante

Le due bambine si tengono la mano su per la scala buia e polverosa della vita. Il loro mondo è quello di un rione povero di Napoli, pare un paese sperduto, la città è appena dietro la collina ma sembra già un’altra realtà. Nelle strade, fra i palazzi la voce della violenza impesta l’aria, memorie di tempi lontani che affondano le radici ben prima della nascita delle due protagoniste di quest’ultimo libro di Elena Ferrante, L’amica geniale (edizioni e/o, pp. 329, € 18). L’infanzia di Lila e Lenù è un’infanzia di brutalità, di pietre in faccia, di sangue, di urla contro i genitori, di voli fuori dalla finestra scaraventate da padri imbufaliti. I bambini riproducono i comportamenti degli adulti, delle proprie famiglie, l’odio si rigenera nei figli eppure una strada alternativa sembra spalancarsi di fronte alle due ragazzine: la scuola, se sei bravo, se brilli la maestra ti apprezzerà e così l’intero rione, e chissà, forse potrai andare via, scrivere un romanzo e diventare ricco e famoso. E Lila era bravissima, aveva imparato a leggere da sola, sapeva fare i conti a mente a una velocità fulminea, pur essendo ribelle e fastidiosa in classe. Noi la guardiamo crescere attraverso gli occhi dell’amica Lenù, voce narrante, che la trova talmente intelligente che i suoi sentimenti d’affetto si mescolano spesso all’invidia e a un senso d’inferiorità e d’impotenza. Lenù è la ragazzina buona e diligente che non ha nulla di quel demone geniale che scorge così potente nella sua amica. Tenta di starle dietro, studia solo per cercare di superarla. Tutto inutile, Lila è troppo. Almeno Lenù si sente bella, è bionda e paffuta, Lila invece no, è così magra che sembra rachitica, con quei capelli neri sempre arruffati. Ma l’infanzia finisce e l’adolescenza stravolge tutto, Lila non può proseguire gli studi perché i genitori sono troppo poveri. Solo Lenù continuerà la scuola e sarà l’unica sua ricchezza, l’unica forza. E se per un po’ Lila tenta di starle dietro studiando latino e greco sulla panchina del giardino pubblico, e divorando romanzi presi in prestito nella biblioteca della scuola, ben presto comincerà a infuocarsi per altro, ad esempio per la politica che sembra finalmente dare “motivazioni concrete, facce comuni al clima di astratta tensione” che avevano respirato nel quartiere. “Il fascismo, il nazismo, la guerra, gli Alleati, la monarchia, la repubblica, lei li fece diventare strade, case, facce, don Achille e la borsa nera, Peluso il comunista, il nonno camorrista dei Solara, il padre Silvio, fascista peggio ancora di Marcello e Michele, e suo padre Fernando lo Scarparo, e mio padre, tutti tutti tutti ai suoi occhi macchiati fin nelle midolla da colpe tenebrose”. Quelle di Lila sono passioni brucianti che si consumano in un baleno. Ma se la scuola non è più per lei un modo per mostrare al mondo quel suo stile da fuoriclasse nel frattempo Lila è diventata bella, sensuale e corteggiatissima, sempre al centro dell’attenzione, immischiata più che mai nei meccanismi violenti del rione, tra spasimanti, fidanzati, fratelli, progetti imprenditoriali per arricchire la famiglia e un matrimonio ambiguo tra amore e convenienza. Questa è la storia dell’evolversi della vita attorno a quella stretta di mano nata durante l’infanzia. Le bambine crescono, cambiano, si osservano, si invidiano, si stimano, si amano. Sono l’una l’amica geniale dell’altra, lo specchio dentro cui osservare se stesse e la povertà di Napoli. Contro ogni aspettativa Lila, ribelle e fulminante, sembra affondare sempre più le sue radici tra i palazzi del quartiere, Lenù invece, nella sua insicura pacatezza comincia a desiderare di diventare altro, volare via. Non è questo un romanzo dalle grandi rivelazioni, di quella violenza del sud incancrenita e tramandata di generazione in generazione s’è già parlato molto, da Sciascia fino a Saviano. Eppure la scrittura luminosa di Elena Ferrante imbriglia la lettura e la trascina. E la storia è viva più che mai, le due ragazzine crescono sotto i nostri occhi con tutte quelle sfumature psicologiche che danno un’impronta profonda alla narrazione. La casa editrice e/o ha annunciato per i prossimi mesi altri volumi di Elena Ferrante sulla giovinezza, la maturità e la vecchiaia delle due amiche ‘geniali’. Sarà un raro esempio di romanzo di formazione italiano?

Due bambine si tengono la mano su per la scala buia e polverosa della vita. Il loro mondo è quello di un rione povero di Napoli, pare un paese sperduto, la città è appena dietro la collina ma sembra già un’altra realtà. Nelle strade, fra i palazzi la voce della violenza impesta l’aria, memorie di tempi lontani che affondano le radici ben prima della nascita delle due protagoniste di quest’ultimo libro di Elena Ferrante, L’amica geniale (edizioni e/o, pp. 329). L’infanzia di Lila e Lenù è un’infanzia di brutalità, di pietre in faccia, di sangue, di urla contro i genitori, di voli fuori dalla finestra scaraventate da padri imbufaliti. I bambini riproducono i comportamenti degli adulti, delle proprie famiglie, l’odio si rigenera nei figli eppure una strada alternativa sembra spalancarsi di fronte alle due ragazzine: la scuola, se sei bravo, se brilli la maestra ti apprezzerà e così l’intero rione, e chissà, forse potrai andare via, scrivere un romanzo e diventare ricco e famoso. E Lila era bravissima, aveva imparato a leggere da sola, sapeva fare i conti a mente a una velocità fulminea, pur essendo ribelle e fastidiosa in classe. Noi la guardiamo crescere attraverso gli occhi dell’amica Lenù, voce narrante, che la trova talmente intelligente che i suoi sentimenti d’affetto si mescolano spesso all’invidia e a un senso d’inferiorità e d’impotenza. Lenù è la ragazzina buona e diligente che non ha nulla di quel demone geniale che scorge così potente nella sua amica. Tenta di starle dietro, studia solo per cercare di superarla. Tutto inutile, Lila è troppo. Almeno Lenù si sente bella, è bionda e paffuta, Lila invece no, è così magra che sembra rachitica, con quei capelli neri sempre arruffati.

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‘Visti dalla meta siamo tutti ultimi’, il thriller di Francesca Picone

Visti dalla meta siamo tutti ultimi (Lettere Animate Editore, 2017) è un romanzo di Francesca Picone, educatrice di strada presso numerose cooperative sociali del napoletano e laureata in Scienze Religiose. L'autrice napoletana ha già scritto un altro romanzo, Pimmicella e la Comunità, edito da Navarra Edizioni, vincitore del concorso "Giri di Parole" nel 2010. Visti dalla meta siamo tutti ultimi è un thriller, anche se per l'analisi psicologica dei personaggi e per l'ambientazione malfamata sarebbe classificabile più precisamente come un noir.

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Dott. Renato Quaglia, direttore del progetto Foqus a Napoli: “Le periferie non sono solo aree di criticità, ma anche possibili spazi di trasformazione di una città”

foqus

L'ammirevole ed esemplare progetto Foqus ha avvio nel 2014, nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Si tratta di un progetto sperimentale di rigenerazione delle funzioni e della destinazione dell’intero ex Istituto Montecalvario. Foqus ha avviato il recupero di diverse parti dell’edificio e la formazione di alcuni gruppi di giovani e donne verso esperienze di auto-imprenditorialità, per creare nuova occupazione, costruire nuove imprese cooperative, ospitare imprese indipendenti, pubbliche e private, tutte impegnate nei campi della formazione, dell’istruzione, delle industrie culturali e creative e dei servizi alla persona.

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‘La Tenerezza’di Gianni Amelio: alla ricerca del sentimento perduto

Tutti hanno bisogno e sanno dare amore e tutti sono capaci di esprimere la tenerezza, questa in sintesi la trama dell’ultimo film di Gianni Amelio. La Tenerezza, tratto dal romanzo “La tentazione di essere felici” di Lorenzo Maraone, ad essere sinceri convince a metà. Da un lato troviamo dei personaggi potenzialmente molto intriganti interpretati da talentuosi attori come Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno, Micaela Ramazzotti, Greta Scacchi, Renato Carpentieri, dall’altro una ambientazione troppo semplicistica ed una fotografia, curata dal grande Luca Bigazzi, che non convince nella maniera più assoluta.

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Mughini offende ancora Napoli: la saccenza dell’ignoranza di un meridionale rinnegato

Mughini intellettualoide sfigato

L'intelelttuale da bar Giampiero Mughini offende il popolo napoletano gratuitamente e nel contesto di una trasmissione calcistica. Gravi ed inopportune sono le sue affermazioni verso la città di Napoli. Nonostante non sia la prima volta che Mughini esprime varie opinioni opinabili ed a volte non corrispondenti alla verità storica delle tematiche sulle quali viene chiesto un suo parere, Mughini viene sistematicamente invitato in trasmissioni radio e televisive che trattano vari argomenti: dalla politica, allo sport ed altro.

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Napoli: ‘le stazioni d’arte’ di Francesco Ferone

Napoli-francesco Ferone

Napoli,tra le città più belle e probabilmente tra le più afflitte da stupidi stereotipi al mondo, è l'oggetto della arte del talentuoso fotografo Francesco Ferone, che con il suo lavoro sulle stazioni d'arte partenopee, mette in evidenza l'interazione che si crea tra i viaggiatori delle metropolitane e le rappresentazioni artistiche al loro interno, mostrando come questo rapporto contribuisca ad aggiungere valore alle opere stesse, creando qualcosa di unico.

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Gaetano Profenna: ‘Senza maschera’, un complesso viaggio emotivo

Gaetano Profenna

Gaetano Profenna nasce a Napoli il 30 gennaio 1966. È responsabile nel settore della ristorazione presso un noto ristorante al Vomero, Napoli. La sua prima raccolta Senza maschera, pubblicata per il gruppo Albratros il filo, è un complesso viaggio emotivo tra le pieghe dolorose del suo cuore. Egli utilizza la poesia come arma contro le ingiustizie sociali, il dolore e la miseria umana. I suoi versi richiamano un mondo musicato tipicamente napoletano e rispettano a pieno le tradizioni e il folclore di un popolo a cui restituisce dignità.

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