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Umberto Saba
Umberto Saba

Polimorfia e mistero, la sessualità secondo Saba

Il celebre e sempre citato psicoanalista Sigmund Freud (1856-1939) sostiene che la nostra libido si sviluppi nella prima infanzia e che gli eventi di questa fase della nostra vita siano costitutivi e influenti per le scelte e gli atteggiamenti che useremo nel rapportarci all’altro sesso e nell’accettare con serenità o meno la nostra sessualità. In questo periodo, infatti, iniziamo a prendere coscienza del nostro corpo e dei nostri desideri attraverso un complesso meccanismo di attrazione e repulsione nei confronti dei due sessi che vengono inizialmente rappresentati dai nostri genitori. Se questa delicata fase esistenziale viene turbata da avvenimenti per noi “ traumatici” anche la nostra sfera sessuale ne risentirà e sorgeranno disturbi tra i quali il complesso di Edipo o di Elettra. Questa è la premessa doverosa per poter comprendere al meglio la poesia di uno dei poeti più “umani” e così “semplicemente”, “infantilmente” complessi tra quelli che figurano nel poliedrico scenario della letteratura del Novecento: Umberto Saba (1883-1957).

L’eros di Umberto Saba

La poesia di Saba potremmo metaforicamente definirla come una parte del suo corpo, un qualcosa che non può essere assolutamente scisso dalla sua esistenza e da quegli avvenimenti che hanno fatto del piccolo Umberto un uomo in preda alla nevrosi e un poeta, anche per questo, straordinariamente profondo. Una profondità così semplice e alla “mano” proprio perché sgorga viva e diretta, senza artifici né retorica, da un animo che alterna la quiete alla tempesta.

Nel mondo odierno dove il corpo, nella maggior parte dei casi, è carne da offrire, merce da scambiare, un oggetto da mostrare, sembra così lontano e arcaico il modo in cui Saba affronta la tematica della sessualità, polimorfa e misteriosa, dove nel componimento “Eros” , contenuto nella sezione “Cuor morituro” del “Canzoniere” a spogliarsi è soprattutto l’anima; l’anima di un “giovanetto”, come lo chiama il poeta, in cui non fatichiamo a riconoscere il Saba stesso, in quel rapporto complesso e sfaccettato con le donne, con l’amore, con il sesso, con la vita in generale e con se stesso. Leggiamo:

Sul breve palcoscenico una donna

fa, dopo il Cine, il suo numero.

Applausi,

a scherno credo, ripetuti.

In piedi,

dal loggione in un canto, un giovanetto,

mezzo spinto all’infuori, coi severi

occhi la guarda, che ogni tratto abbassa.

È fascino? È disgusto? È l’una e l’altra

cosa? Chi sa? Forse a sua madre pensa,

pensa se questo è l’amore. I lustrini,

sul gran corpo di lei, col gioco vario

delle luci l’abbagliano. E i severi

occhi riaperti, là più non li volge.

Solo ascolta la musica, leggera

musichetta da trivio, anche a me cara

talvolta, che per lui si è fatta, dentro

l’anima sua popolana ed altera,

 una marcia guerriera.

Il componimento consta di 16 endecasillabi e un settenario finale e narra ,attraverso un ritmo spezzato fatto di enjambement, che sembrano seguire e sottolineare l’affollarsi dei pensieri e delle sensazioni che si accalcano nell’animo e nella mente del protagonista, della visione di una donna che inizia a muovere il suo corpo in maniera provocante, rievocando in lui il rapporto con la propria madre.
“E’ fascino? E’ disgusto? E’ l’una e l’altra cosa? Chi sa? Forse a sua madre pensa, pensa se questo è l’ amore.” Con poche e significative parole, Saba ci conduce subito al nocciolo della questione, a quel piccolo Umberto che cresciuto senza padre, ha attraversato la sua infanzia e l’adolescenza, periodi formanti, immerso tra sole donne, e da loro, prima fra tutte la madre, non riesce a staccarsi. La mancanza di un punto di riferimento maschile, l’assenza della figura paterna ha causato conseguenze di cui il poeta porterà strascichi anche da adulto. La donna, confusa indissolubilmente con la madre, diviene per lui qualcosa di sacro, inviolabile, per questo non degno di essere guardato con malizia, di essere desiderato con ardore. Umberto dinanzi al genere femminile è come un bambino non cresciuto, che chiede protezione. Come potrebbe desiderare una donna? Significherebbe desiderare sua madre. Da ciò,“ è disgusto? “ .

Saba e la donna-angelo

La stessa Lina, moglie del poeta, come racconterà lui stesso nella poesia  “A mia moglie”, non rappresenta quell’amore travolgente e passionale, ma l’ancora di salvezza, la donna-angelo moderna, calata nella quotidianità, che è per lui l’annunciatrice di “un’altra primavera”, che lo salva, lo trascina fuori dalla sua “vecchiaia”, d’animo si intende. Ma c’è l’ altra faccia della medaglia, l’Umberto pur sempre uomo, che viene nonostante tutto, attratto dalla donna, essendone affascinato. Un fascino che non accetta con serenità, che gli fa fare i conti con la sua natura di uomo, cresciuto ormai, che gli fa chiedere cosa mai significhi essere “uomo”. E allora ecco palesarsi la “marcia guerriera”, il bivio, la scissione, i due poli genitoriali. Una donna , la madre, con la forza e il coraggio che generalmente e talvolta erroneamente , si attribuiscono agli uomini, ed un uomo, il padre, che si dimostra molto più fragile della fragilità, che talvolta, sempre erroneamente, è attribuita alle donne. Ed ecco confondersi i sessi, superare quei limiti costruiti sui pregiudizi duri a morire, ed emergere un’anima, quella del poeta, che confonde uomo e donna, ammirazione e desiderio, moglie e madre, virilità e paternità.

C’è un’altra chiave di lettura di questo bivio: due educazioni, due insegnamenti, quello rigido e moralistico della madre, “guerriero”, e quello “leggero” della balia o potremmo dire anche del padre, di quel padre che pur non occupandosi della sua educazione, con le scelte di vita che compie, gli dimostra “la leggerezza” del vivere, descritta nel componimento  “padre è stato per me l’assassino”, a cui il poeta si ispirerà nella sua arte. Questi due modi differenti di affrontare la vita portano Umberto a chiedersi quale sia il migliore, senza però trovarne risposta. E allora il compromesso: il protagonista di  “Eros” che abbassa lo sguardo ed evita di guardare la donna, ma ascolta la musica e lì vi concentra i suoi pensieri. Si conciliano così i due insegnamenti, che si fondono in un compromesso non solo in questi versi, ma nell’intera opera di Saba, che attraverso la sua poesia, fatta di un linguaggio familiare e semplice, contiene invece tematiche attuali e brucianti.

Docere e delectare, il cucchiaio ricolmo di medicina amara e bordato di miele appetitoso, avrebbe detto Lucrezio.

 

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Clemente Rebora nasce a Milano il 6 gennaio 1885 dal garibaldino e massone Enrico Rebora e dalla poetessa Teresa Rinaldi. Nel 1903 intraprende gli studi di medicina che presto abbandona per seguire i corsi di lettere presso l’Accademia Scientifico-letteraria di Milano, dove si laurea nel 1910. Fin dalla giovane età l’anima di Rebora sembra intrisa da profonde crisi spirituali; nel suo percorso accademico supera difficili momenti di depressione che lo portano sull’orlo del suicidio. Completati gli studi, dapprima, intraprende la via dell’insegnamento in istituti tecnici e scuole serali non tralasciando la passione per la scrittura; in questo periodo, infatti, collabora con numerose riviste fra cui ‘’La Voce’’, ‘’Diana’’ e ‘’Rivisita D’Italia’’.  Nel 1913 avviene il debutto letterario  con la pubblicazione del volume di poesie Frammenti lirici. Nel 1914 conosce  pianista russa Lydia Natus, l’unica donna che il amerà nel corso della sua esistenza.