«D’estate era diverso, la gente si era abituata a vedere i giovanotti e le ragazze insieme, anche la sera dopo cena. Ma non appena la stagione era finita, le antiche regole riprendevano il sopravvento, e gli sguardi di curiosità delle donne erano lì a confermarlo».
Carlo Cassola e il ritorno alla scrittura ‘subliminare’
Fin dal momento della sua pubblicazione, Un cuore arido (1961) subito considerato come uno uno dei vertici della narrativa di Carlo Cassola (si leggano, in modo partico- lare, le recensioni elogiative di Emilio Cecchi, Geno Pampaloni, Franco Fortini e Pietro Citati.
Ci sarebbe qui da aprire una parentesi sull’inadeguatezza dell’attenzione critica verso Cassola, a cui la critica universitaria continua spesso a preferire autori dal peso specifico inferiore (poche e perlopiù datate le monografie critiche organiche su Cassola; ridottissimo anche il numero di tesi di dottorato incentrate sulla sua opera). Tuttavia, pur nella generale sfortuna critica di Cassola, a un romanzo come La ragazza di Bube sono stati comunque dedicati parecchi contributi: sicuramente molti di più rispetto a quelli su Un cuore arido. Certo, La ragazza di Bube vinse il Premio Strega e divenne anche un film di successo; ma anche Un cuore arido si continua a leggere e ristampare.
C’è forse, allora, anche una ragione più profonda della grande disparità di attenzione riservata ai due romanzi più famosi di Cassola: rispetto a Un cuore arido, un’opera come La ragazza di Bube si presta più facilmente a essere ricondotta a quella categoria di realismo all’ombra della quale Cassola è ancora arbitrariamente rubricato nei più diffusi manuali di storia letteraria. In realtà, chi rilegge Cassola senza pregiudizi, deve subito constatare l’inconsistenza delle varie etichette ne hanno di volta in volta condizionato la ricezione critica. Come si sa, l’uscita di Un cuore arido segna un punto di svolta nel percorso narrativo di Cassola, l’inizio del terzo tempo della sua storia di scrittore.
Con La ragazza di Bube l’intermezzo decennale delle narrazioni politico-resistenziali, si rial- laccia alla poetica “subliminare” dei suoi esordi. Il passaggio è, in realtà, più fluido di quanto si possa pensare (in una lettera a Fortini del 28 novembre 1961, Cassola ricorda che i sintomi della «crisi» si presentavano già nel 1959, mentre stava scrivendo Il soldato 3 ), eppure, nello stesso tempo, ben marcato: si pensi all’auto-abiura della Ragazza di Bube, rinnegato proprio perché ritenuto un romanzo di impianto eccessivamente «naturalistico», e quindi realistico. Nel 1968 (sempre nel carteggio con Fortini), Cassola afferma: «Nel ’60, dunque, sono tornato alle origini […]. Niente rimpiango di più che il tempo perduto in un consunto attivismo politico nel decennio ’50-60».
Già all’indomani della vincita del Premio Strega Cassola rifiuta drasticamente l’accostamento delle sue opere al neorealismo: «Appunto perché non credo nel neorealismo, nella mimesi della realtà, mentre penso che la letteratura debba dare degli equivalenti della realtà stessa».
La non riducibilità di Cassola al neorealismo si misura anche indagando più a fondo il rapporto dello scrittore con i suoi modelli letterari: di solito si menzionano il primo Joyce, Thomas Hardy, Flaubert e altri grandi narratori europei. Tutti riferimenti corretti, eppure ci sono anche altri modelli, in particolare alcuni grandi poeti della nostra tradizione otto- novecentesca, che influenzano Cassola fin dagli anni della sua formazione, giocando un ruolo non secondario anche per l’elaborazione della poetica subliminare; penso innanzitutto a poeti molto amati e citati da Cassola, come Pascoli e Montale, ma anche a un altro autore che per lui fu altrettanto, se non più, decisivo: Leopardi, la cui incidenza su Cassola non è mai stata adeguatamente approfondita dalla critica.
Fin dagli anni della formazione Leopardi rappresenta per Cassola una lettura decisiva: l’amico Manlio Cancogni ricorda che quando si trattò di abbozzare una sintesi di sto- ria letteraria per un giornale scolastico, tra i «pochissimi nomi»salvati dal giovane Carlo (accanto a Dante e Pascoli) spicca proprio Leopardi. Riferimenti a Leopardi e echi più o meno espliciti del poeta costellano l’opera narrativa di Cassola fin dai suoi esordi. In Aspettando la corriera– uno dei racconti giovanili confluiti nella riedizione accresciuta della Visita apparsa nel 1962 (quasi per confermare editorialmente, a un anno dall’uscita di Un cuore arido, il ritorno alla scrittura del “sublimine”) – si riporta il dialogo tra un ragazzo e una giovane studentessa: «Che cosa studia?» domandò. «… italiano» rispose la ragazza. «Ma non son finite le scuole?» insisté quello. «Devo fare l’esame.» «Senti» fece il giovanotto interessato. «Che esame?» La ragazza chiuse il libro, tenendo però il segno col dito, e disse: «L’abilitazione magistrale.» «Ah.» Poi il giovanotto lesse ad alta voce il frontespizio del volume: «Antologia della letteratura 3.
In Un cuore arido Cassola non solo si sbarazza di ogni sovrastruttura storicistica, ma disintegra la linearità del tempo storico. Se ne era accorto uno dei più acuti recensori del ro- manzo, Franco Fortini: «Di questa nozione di vita [Fortini si riferisce alla nozione di «vita vera»], col suo reticolo di iterazioni e parallelismi che distruggono o rallentano o svalutano il moto rettilineo e lo incurvano e chiudono, il libro vuol essere l’equivalente stilistico.
Nei brevi capitoli si ripetono le entrate e le uscite da casa, gli incontri per via e sulla spiaggia, le gite a Cecina e Livorno, le serate nei dancings, gli arrivi e le partenze dei fidanzati, dei militari; gli eventi si duplicano (due volte Anna porta via ad un’altra il fidanzato, due volte si fi- danza Bice, due volte Anna incontra Marcello al ballo e due volte sulla spiaggia; così via)». Struttura curvilinea, ricorsività, eventi che si ripetono: in effetti l’architettura del romanzo sembra essere costruita attorno ad una serie di cerchi concentrici, anche sotto il profilo stilistico. Tra i tanti esempi basterà citare questo frammento, che testimonia come appunto Un cuore arido segua non il tempo lineare della storia, ma il ritmo circolare delle stagioni:
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