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‘I figli della notte’, ottimo esordio noir per il regista Andrea De Sica

Assimilare ciò che è stato per autenticare ciò che è nuovo: uno dei procedimenti più utilizzati eppure meno facili del cinema acquista piena evidenza in I figli della notte, eccellente esordio nel lungometraggio di Andrea De Sica. Nell’attuale fase di stallo tra chiusure e innovazioni del prodotto italiano, infatti, il noir del figlio del rimpianto Manuel dimostra che l’incubo concentrazionario non alligna esclusivamente nelle degradate periferie romane bensì può sgomentare allo stesso modo negli scenari narrativamente e topograficamente più diversi dell’immaginario collettivo. La sicurezza con cui il regista padroneggia atmosfere vicine a quelle di un genere classico come il gotico fa sì, in effetti, che prenda forma nello spazio atemporale dell’ambientazione –un collegio per eredi dell’alta società isolato tra le Alpi- un reticolo di relazioni, degenerazioni, bisogni, stati mentali e conflitti che lascia a poco a poco intravedere il sistema di potere societario attivo al di là dell’irreprensibile facciata dell’istituzione. Risulta cruciale, in questo senso, la compattezza dell’inedito cast adolescenziale rinforzato dalla presenza dell’attore Fabrizio Rongione caro ai Dardenne nel ruolo di deus ex machina di un oscuro progetto educativo degno delle teorie del Foucault di Sorvegliare e punire.

Protagonista de I figli della notte è il diciassettenne Giulio (Vincenzo Crea), orfano di padre e ingombrante per la madre in carriera, che tenta di resistere allo stress delle rigide regole della disciplina interna -modellata sulle presunte esigenze di formazione di una classe dirigente che lo sia davvero- grazie all’intensa amicizia con Edoardo (Ludovico Succio), col quale condivide le ripetute fughe notturne nello chalet-bordello situato nel cuore del bosco circostante. Attorno alla coppia, la cui complicità è stimolata e insieme destabilizzata dall’incontro con una bionda prostituta minorenne (Yuliia Sobol), è incisa una nitida serie di identikit per nulla stereotipati, in quanto ri-generati esclusivamente per via creativa -la perizia delle riprese in soggettiva, il montaggio alternato, la fotografia turgida e allusiva, l’inquietante colonna sonora composta dallo stesso Andrea- dalla sia pure nota galleria letteraria e cinematografica che va da “Il signore delle mosche” a “Shining”, da “I turbamenti del giovane Torless” a “Nel nome del padre”, da “Picnic ad Hanging Rock” a “In memoria di me”.

Nonostante qualche soluzione drammaturgica un po’ troppo plateale (specie in vista del finale), “I figli della notte” riesce quasi sempre a tenere scabro e teso lo stile e a non fare galleggiare nel brodo pret-à-porter del moralismo sociologico i valori della morale, dell’appartenenza, della ribellione, del desiderio che determinano l’evoluzione dei personaggi molto più in profondità dei comportamenti.

 

Fonte:

I figli della notte

About Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

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