Giovanni Arpino (Pola, 27 gennaio 1927 – Torino, 10 dicembre 1987) è stato autore di sedici romanzi, di raccolte di poesie, racconti e di libri per ragazzi. Arpino è stato tra i un narratori più attenti alla costruzione dei romanzi e allo stile, nonché uno sperimentatore di storie e di versi, questi ultimi in dialetto, in lingua (Il prezzo dell’oro del 1957), raccoglie la maggior parte dell’opera poetica), satirici (Fuorigioco, 1970); ci sono poi le novelle, i Racconti di vent’anni, del 1974, oltre a Il primo quarto di luna (1976) e Regina di cuori, usciti postumi. La cifra dello scrittore nato in Croazia, sta nella capacità di fissare nella dimensione breve del racconto un’esperienza del un personaggio, nel ricercare le stranezze e le occasioni della vita, motivo costante di tutta la produzione narrativa dell’autore, il quale affonda le proprie radici letterarie più che nei mitici scenari di Cesare Pavese nell’ essenzialità dei rapporti familiari della Langhe di Beppe Fenoglio.
Giovanni Arpino: uno stile lucido e vivido
Giovanni Arpino esordisce con un romanzo, Sei stato felice, Giovanni, nel 1952, pubblicato da Elio Vittorini, opera picaresca che celebra la leggerezza della vita nella giovinezza, in un tempo in cui il dopoguerra è giunto alla sua conclusione, e le illusioni non sono ancora diventate delusioni. Lo stile di Giovanni Arpino è lucido e vivido nel raccontare una vicenda personale sullo sfondo di una Genova popolare.
Gli anni del giudizio (1958) è il secondo romanzo di Arpino; un’opera politica, la storia della sconfitta della generazione che ha fatto la Resistenza, ambientata a Bra, e racconta l’esperienza di un militante comunista durante una campagna elettorale, in una città chiusa con intorno una campagna, ai margini delle Langhe, legata alle tradizioni conservatrici e religiose. Di tutt’altro argomento è l’altro grande romanzo di Arpino, La suora giovane (1959): sullo sfondo di una Torino nebbiosa si svolge l’incontro assurdo fra la “suora giovane” Serena e l’impiegato Antonio Mathis, che vive una vita inerte e conformista. Arpino narra con eleganza la curiosità per il proibito, ma la scoprerta e la scoperta del segreto di Serena. Un delitto d’onore (1961), riprende un tema molto trattato nella narrativa meridionale. La vicenda ha per protagonista una ragazza, vittima dei pregiudizi della società del sud, che sposa il ricco borghese, pur sapendo di non essere più vergine e di andare incontro al ripudio. Di particolare interesse antropologico risulta l’opera Una nuvola d’aria (1962), in cui Arpino coglie l’occasione di cronaca delle manifestazioni per il centenario dell’Unità d’Italia a Torino, per raccontare un fallimento privato, in un mondo disilluso.
L’ombra delle colline: il miglior romanzo di Giovanni Arpino
L’ombra delle colline è senza dubbio uno dei libri più belli del novecento letterario italiano e il migliore che abbia scritto Giovanni Arpino, che fonde con sapienza scioltezza d’intreccio, pastosità di linguaggio, liricità paesistica. In esso si racconta della giovinezza di Stefano durante i primi anni dell’ultima guerra passati nella villa paterna nel cuore della campagna piemontese, al suo rapido crescere e formarsi a contatto dei familiari, soprattutto del padre colonnello che tiranneggia in casa, ma avvilito per il disastroso andamento della guerra fascista, alla quale lui non ha mai creduto. Questo personaggio con la sciarpa di comandante e le medaglie sul petto è ritratto con gli occhi del figlio, della moglie e della serva Caterina, ricostruito attraverso i loro discorsi, con pietà della moglie, petulante devozione della serva e timore del figlio, il quale, mano mano che cresce, sente verso il padre un distacco che a volte confina con l’odio.
L’ombra delle colline è articolato tramite un’inserzione di tempi ed è proprio questa costruzione che consente al narratore di ricordare i tempi del nonno, con dialoghi e scene nei quali si evoca una remota felicità che coincide con l’infanzia del ragazzo e riporta il lettore in un’atmosfera patriarcale dove il gioviale antifascismo del nonno trova il suo punto di sutura morale nell’antifascismo del genero. Ma pian piano i tempi si fanno più duri e il colonnello è scampato dalla prigionia ed è tornato a casa dalla moglie e si chiude nella sua meschina solitudine. Il ragazzo fugge a Milano, poi a La Spezia, arruolato nei marò, più per l’ansia giovanile di uscire dall’ambito familiare, che per una chiara scelta e infatti non tarderà ad abbandonare la caserma dove vive, per ritrovarlo tra i partigiani, con l’amico d’infanzia Francesco, per partecipare, infine, alle giornate della liberazione.
Nelle ultime righe del romanzo, quasi riassumendo la moralità individuale e sociale della complessa esperienza, il narratore Stefano dice: <<Non esiste ricordo da abbandonare, come fosse una fredda, stanca cenere cui più non somigliamo: ogni vero ricordo è ancora un richiamo, una verità che ci lavora nelle ossa, un febbrile atto di sfida al buio di domani>>. Nato come pretesto, il viaggio di Stefano è quindi il filo che sullo schermo della memoria e della realtà, costituisce la tessitura dell’opera di Giovanni Arpino e consente al narratore di evocare i luoghi, le figure e i fatti della sua casa, della sua storia da ragazzo a uomo.
I romanzi successivi
Successivamente Arpino varia molto il suo discorso, come ha giustamente notato il critico Giorgio Barberi Squarotti: in Un’anima persa, del 1966, lo sfondo è di nuovo Torino, quella collinare della buona borghesia, nelle cui stanze si svolge la recita di degradazione della schizofrenia del protagonista, difesa e custodita gelosamente dalle donne di casa, fino a farsi complici dell’abiezione del rispettabile, in apparenza, direttore della società del gas. La vicenda è vista dalla prospettiva del nipote, venuto a Torino per gli studi e gli esami: e proprio la scoperta di tanto orrore morale e fisiologico è il motivo principale della perdita della sua anima, ferita a morte. Torino è nuovamente lo sfondo de Il fratello italiano, del 1980: ma la città è dominata dalla malavita, dai venditori di droga, dagli sfruttatori, nella quale il piccolo meridionale, la cui figlia è stata ridotta dalla droga ad un fantasma, e l’anziano maestro in pensione che, da vecchio comunista, vive con il gatto Stalin e a un certo punto viene a sapere che anche la figlia si trova minacciata di morte dalla stessa malavita, si alleano per fare giustizia, uccidendo insieme l’uomo che è la causa diretta delle loro tribolazioni. Il maestro Botero, alla fine, decide di scrivere tutta la storia, perché, anche se non è più probabile che esista un Giudice giusto, è necessario credere che ci sia e che ci si possa rivolgere e lui per sistemare le cose. Anche questo rappresenta una delle vette della narrativa di Arpino, nel momento in cui affronta il male del mondo. Il fratello italiano è dunque un altro momento alto dell’opera italiana: più de Il buio e il miele (1969), storia del viaggio che un ufficiale rimasto cieco e col volto deforme per un incidente militare, fa, con la compagnia ingenua di un attendente lungo tutta l’Italia, fino a Napoli, per l’ultimo incontro con la vita che dovrà concludersi con il suicidio , da attuarsi insieme con l’uccisione del collega rimasto anch’egli mutilato nello stesso incidente. Ma il gesto di uccidersi fallisce; e una ragazza cercherà di prendersi cura della sua disperazione. Da questo romanzo è stato tratto l’indimenticabile film Profumo di donna di Dino Risi, avente come protagonista uno strepitoso Vittorio Gassman. Invece i romanzi Randagio è l’eroe (1972) e Domingo il favoloso (1975) appartengono al filone picaresco della narrativa arpiniana.
Inoltre c’è stata la grande attività di Arpino come giornalista, che nell’ambito sportivo è stato insieme a Gianni Brera, uno dei maestri del dopoguerra: e ne venne fuori il romanzo Azzurro tenebra (1977), bizzarra narrazione della disastrosa partecipazione italiana ai Mondiali di calcio del 1972 in Germania.