In una serata degli Oscar che ha rispettato tutti i pronostici dei bookmakers e che non riservato sorprese o scossoni il vero vincitore è stato La Forma dell'acqua di Guillermo del Toro, che ha vinto quattro Oscar, tra cui quello per il miglior film. Subito dietro, anche se per Oscar minori, Dunkirk di Christopher Nolan con tre, seguito da Tre manifesti a Ebbing, Missouri, che ha vinto per il migliore attore non protagonista e la migliore attrice protagonista, Francis McDormand. Con due Oscar invece L'ora più buia, che ha vinto sia per il make up che con il migliore attore, Gary Oldman. Due Oscar anche per Blade Runner 2049, ma non quello per la scenografia che vedeva in corsa l'italiana Alessandra Querzoli. Soddisfazione anche per Coco, il film animato della Pixar, vincitore di categoria e per la migliore canzone originale. Un Oscar è andato anche a Get Out, migliore sceneggiatura originale, e a Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino per quella non originale di James Ivory. Un Oscar anche a I, Tonya per l'interpretazione da non protagonista di Allison Janney in una serata che non vede film sconfitti malamente tornare a casa a mani vuote.
Read More »‘Il filo nascosto’, l’ultimo capolavoro di P.T. Anderson che accosta con rigore narrativo i misteri della creazione artigianale a quelli dei rapporti di coppia
Mentre gli uomini amano svestire le donne, lo stilista Reynolds Woodcock, fulcro della moda britannica, che abbaglia anche la famiglia reale, ama vestirle per trasformarle in feticci privati di una volontà di dominio che le sublima nel momento in cui le imprigiona. Se Day-Lewis con il suo sguardo sfuggente ed enigmatico giganteggia –ancorché non gli giovi l’eccessiva affettazione del doppiaggio italiano- nel ruolo inventato a partire da figure storiche del cinico e anaffettivo protagonista di Il filo nascosto è perché P. T. Anderson gli costruisce attorno, appunto, come con l’ago, il filo e il centimetro, una tela di comportamenti, gerarchie, nevrosi e rituali su cui la cinepresa indaga cercando di scioglierne l’intrinseco rebus. Quasi sempre serrato nelle stanze del lussuoso edificio che riunisce abitazione e atelier del sarto più venerato della Londra anni 50, il film candidato a sei Oscar, ma in ogni caso già iscritto al novero dei cult-movie, utilizza il tema della moda come un mezzo anziché un fine, riuscendo ad avvicinare con una rigorosa strategia narrativa (sino a correre il rischio di estenuare gli spettatori) i misteri della creazione artigianale/artistica a quelli dei rapporti amorosi/morbosi di coppia.
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