Al centro, fino alla fine del romanzo, resta Horace, con le sue passioni – la musica furiosamente heavy di band come Pantera o Slayer, ad esempio – e le sue debolezze e fragilità, a cui si espone dando battaglia cavalcando i ring di Tucson, incassando colpi che lo scuotono nell’anima più che nel corpo, collezionando scatti in avanti e arresti improvvisi, come già gli preconizza Alberto Ruiz durante la primissima lezione di pugilato: «Attento, Hector: ho visto che ti sei bloccato almeno mezza dozzina di volte […] Ci proviamo, ma è difficile correggere qualcosa che è dentro di te. Faremo un tentativo, comunque. Quantomeno proveremo a migliorarlo». «Sono cresciuto guardando i combattimenti, e ho sempre amato la tragedia che li contraddistingue», ha raccontato Vlautin in un’intervista al Guardian. E ancora: «Se da bambino non sei sicuro d’essere amato, penso che questa cosa possa deviarti». Io sarò qualcuno è un viaggio doloroso dentro questa mancanza, una lotta che va ben oltre i ring di un’America ai margini.
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