Valerio Bruner è un cantautore, autore di teatro e uno scrittore napoletano. Amante dei viaggi, dopo un soggiorno londinese, grossa fonte di ispirazione per la sua carriera artistica, ritorna a Napoli, la sua città natale.
Nel 2013 esce il suo testo teatrale “La Ballata del Drago e del Leone. Alba Gu Brath” edito da OXP Orientexpress. Nel 2014 si laurea in Letterature e Culture Comparate. L’anno successivo scrive e porta in scena, insieme alla compagnia teatrale Te.Co. Teatro di Contrabbando, lo spettacolo autobiografico “Nonsense a Nord del Tamigi”, curandone anche la composizione musicale e l’esecuzione dal vivo. Lo spettacolo vince la rassegna nazionale Stazioni d’Emergenza indetta dal Teatro d’Innovazione Galleria Toledo di Napoli e si classifica come finalista al festival Crash Test Collisioni di Teatro Contemporaneo di Valdagno.
Il 2015 è un anno molto prolifico per Valerio: porta infatti in scena “Malammò o della Madonna puttana”, un monologo in lingua napoletana sulla figura di Maria Maddalena e cura le musiche e l’esecuzione dal vivo de “Il Baciamano” di Manlio Santanelli che poi sarà adattato e portato in scena con Teatro di Contrabbando. Nel 2016 pubblica “None But The Brave, un viaggio immaginario nell’America di Bruce Springsteen”, un’antologia di racconti che Valerio porta in diversi club e in vari teatri, a Napoli e nella provincia. Nel 2017 vede la luce il suo primo album “Down the River”, “cinque canzoni ambientate lungo un fiume immaginario, storie di peccato e redenzione, tristezza e gioia, sogni e rimpianti” come lui stesso afferma. L’album viene insignito del premio Anna Maria Ortese per il suo “linguaggio unico di musica e parole” e nel mese di febbraio il premio Talentum 2019. Nel 2018 Valerio si cimenta nell’esperienza della regia con il corto teatrale “La parabola della rete”, di cui è anche autore.
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Cosa rappresentano per Lei il Teatro e la musica?
Devo tutto al teatro, è da lì che ho iniziato, come devo tutto alla musica. Sono due energie che ti scavano dentro e portano alla luce la tua essenza, chi sei veramente. Posso dire, senza mezzi termini, che la musica e il teatro mi hanno salvato la vita o, quantomeno, hanno fatto in modo che non la sprecassi.
Com’è iniziata la Sua passione per il Teatro e quando si è aggiunta quella per la Musica?
Quello che più mi affascina del teatro è il qui ed ora. Amo il cinema e sono un divoratore di film, ma il teatro ha quella forza in più che si gioca nel presente, in quel sacro vincolo che si crea tra l’attore e il pubblico nel momento in cui si accendono le luci, così come avviene per la musica. Le storie che portiamo in scena e le canzoni che cantiamo sono vive e sempre in evoluzione, si prendono la nostra anima e la mescolano a quella del pubblico per creare qualcosa di nuovo laddove prima non c’era niente. È per questo motivo che ho deciso di fare quello che faccio.
Chi è per lei Bruce Springsteen?
Bruce Springsteen è il mio compagno di viaggio più fidato e le sue canzoni mi hanno tracciato la rotta che sto seguendo.
Il Suo primo album “Down the River” contiene brani interamente in lingua inglese. Come mai questa scelta? E soprattutto non crede che questo possa rappresentare un limite per la diffusione del disco tra la vecchia generazione?
Non so dirti se è stata o meno una scelta, nel senso che, quando ho preso la chitarra e ho buttato giù i primi versi, mi sono reso conto che la mia lingua sarebbe stata l’inglese. Sono un figlio del rock e della sua musicalità, è stato a tutti gli effetti un parto naturale. I personaggi dei miei testi teatrali parlano l’italiano e il napoletano dei vasci, quelli delle mie canzoni camminano in scarpe diverse. Per quanto riguarda la vecchia generazione ti confesso che non ho mai trovato difficoltà a farle arrivare la mia musica, anzi, dovresti vedere quanti rockettari ci sono lì in mezzo.
Quali sono i Suoi riferimenti musicali?
Ascolto ogni genere musicale, dalla classica al pop 3.0, così come spazio dal panorama italiano a quello più internazionale. Non mi impongo limiti e mi piace scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. Il rock, il blues e il folk restano la mia santa trinità: si va dai fondamenti, Bob Dylan, Johnny Cash, i Rolling Stones, i Doors per citarne alcuni, passando per Bruce Springsteen, Janis Joplin, Patti Smith, i Clash, Lou Reed, Tom Waits, fino ad arrivare ai più recenti Pearl Jam, Nirvana, Lenny Kravitz, Brian Fallon.
Cosa ne pensa del panorama musicale italiano attuale e dei Talent show?
Conosco tanti giovani artisti come me che stanno creando qualcosa di bello e di autentico, ognuno con le proprie forze e ognuno attraverso la lingua e la musicalità che gli scorrono dentro. Oggi che l’artista è chiamato a rivestire tutti i ruoli, dal produttore al manager di se
stesso, non è affatto scontato, quindi chapeau. Non seguo i talent, mi piace andare ad ascoltare la musica live sorseggiando un buon whisky oppure perdermi nelle folle oceaniche dei grandi concerti.
Quali sono le Sue aspettative future?
Portare la mia musica il più lontano possibile.