Purgatorio è il nuovo libro della scrittrice Ilaria Palomba, edito Alter Ego Edizioni. Una storia di rinascita, espiazione e purificazione. La scrittrice attraverso il titolo evoca la dimensione del Purgatorio dantesca dove le anime, prima di bearsi della gioia celeste dovuta alle divine visioni, dovevano scontare la pena per giungere a Dio in stato di grazia e purificate. Quello che racconta Ilaria Palomba è una condizione espiante e di transizione che non ha a che fare con l’ultraterreno, bensì con la fragilità dell’inconscio e la concretezza brutale della realtà. La nozione di Purgatorio appare già in alcuni scritti antichi di Platone ed Eraclide Pontico chiamato con l’appellativo di Ade Celeste, diverso tuttavia dall’Ade infernale descritto da Omero ed Esiodo.
L’Ade Celeste, similare alla concezione di Purgatorio giunta in epoca moderna, era un luogo di attesa dell’anima dopo la morte; un momento intermedio di purificazione affinché l’anima ne uscisse fuori limpida e candida per poi passare a un luogo superiore o per reincarnarsi, nuovamente, sulla terra. Secondo lo storico Jacques Le Goff, la concezione del Purgatorio come luogo fisico nasce fra il 1170 e il 1200. Oggi, nell’immaginario comune, la struttura del Purgatorio come stato dell’anima e luogo è accompagnata dalla narrazione dantesca e dalle illustrazioni di Gustave Doré. Il custode del Purgatorio – per Dante Alighieri – è Catone l’Uticense, e le funzioni specifiche di questo luogo di transizione sono espiazione, riflessione e pentimento le tre condizioni che tracciano il cammino verso la luce per aspirare alla redenzione.
«E canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.»
(Dante, Purgatorio I, 4-6)
Il cammino delle anime descritte da Dante è un pellegrinaggio, così come il Purgatorio raccontato da Ilaria Palomba che è un pellegrinaggio interiore, uno scalpitare in un corpo esistente ma trasparente, un viaggio in una condizione mediana dove tempo e pensieri sembrano accartocciarsi su loro stessi per lasciare spazio a voragini che inghiottiscono, masticano e sputano brandelli di vita sopravvivente, il tutto in un eterno ritorno punteggiato da domande, flashback interiori, visioni e un linguaggio lirico, evocativo e poetico a cui il lettore non riesce a sottrarsi.
L’autrice scrive nel libro una frase emblematica:
‘’L’amore che ho dato agli altri è stato superiore all’amore che avevo per la vita’’.
Il testo parte da una vicenda personale, un tentativo di suicidio e il cammino verso una rinascita possibile. Se prima tutto sembrava pesante, adesso a quelle elucubrazioni si aggiunge la prigionia di un corpo che si trascina e che deve imparare, nuovamente, a esser vivo. Il dolore mentale dell’autrice si sovrappone a quello fisico e porta il lettore nei suoi momenti di resistenza, sofferenza, e nei suoi desideri di autodistruzione. I mesi trascorsi in unità spinale dopo il gesto sono raccontati con lirismo e poesia, da cui traspare il senso di impotenza della protagonista ma anche la sottile fragilità della condizione umana. Il peccato delle anime purganti di Dante vive insieme alla loro sofferenza, addolcita dalla speranza di salvezza e di luce. Così l’autrice deve confrontarsi con il suo passato e con una nuova vita: il luminare della psichiatria, la clozapina, le pazienti in unità spinale, i pensieri ossessivi, il senso di impotenza, le persone del suo passato e gli uomini di un tempo.
L’ospedale diventa quindi il personale Purgatorio della protagonista dove il dolore si intreccia ai giorni vuoti che scorrono e le persone diventano riflessi di questa nuova vita ‘’accaduta’’; lo stato intermedio dell’anima, nel caso dell’autrice, non è volto solo alla purificazione ma anche alla ricostruzione e alla riscoperta della propria identità. In un turbinio di resa totale, brama di distruggersi e voglia di sopravvivenza, si descrive a pieno uno stato dell’anima in costante tensione; si è in attesa di espiare la colpa concretizzando quell’aspetto astratto dell’espiazione nel luogo fisico che è l’unità spinale, la personale salita al monte dell’autrice dove, ad attenderla, c’è la luce.
Il libro tratta diverse tematiche fra cui l’alienazione, la costruzione di una routine dopo un trauma, il dolore, la contraddizione viscerale fra senso di morte e sopravvivenza, ma anche la possibilità di ridarsi alla vita e il passato che ritorna. L’angoscia esistenziale di una donna che ricomincia, le ossessioni e gli uomini protagonisti della vita di prima:
‘’Sono una suicida, la diagnosi più consona è suicida, perché è sin dalla nascita che faccio l’amore con la morte. Gli uomini che ho amato erano tutte le manifestazioni della morte’’.
Una frase potente, così come è intenso il viaggio emotivo che Ilaria Palomba compie in Purgatorio trasportando il lettore in spirali emozionali che si alternano a un linguaggio brutale ma di impatto per passare, rapidamente, a dimensioni oniriche e sognanti e a narrazioni filosofiche, poetiche e auliche al contempo. Nel testo sfilano uomini misteriosi come H., D., Zadkiel; non c’è immobilismo o autocommiserazione, ma voglia di fare diversamente o meglio un monito per tentare di fare un qualcosa di diverso per riuscire ad avere una vita migliore di quella in reparto. Risulta intensa la descrizione del rapporto della protagonista con gli uomini del suo passato, non solo in maniera frammentaria ma scandagliando la profondità delle sensazioni, dei sentimenti e delle pulsioni provate dall’autrice che, attraverso vortici linguistici e immagini potenti e di impatto, dona il suo dolore al lettore ma anche la sua esperienza di vita. La sofferenza fisica si alterna a quella dell’anima sì per la sua condizione, ma anche per quello che era prima e per la voglia di riscatto. Una frase contenuta nel libro che rappresenta la brama di cambiamento anche in altri ambiti dell’esistenza e, in questo caso, nei rapporti con gli uomini del suo passato:
‘’Non voglio più essere l’Eco di nessun Narciso’’.
Il testo è, infatti, disseminato di riferimenti mitologici, come quest’ultimo caso, letterari, filosofici e poetici. Cristina Campo, Beppe Salvia, Marcel Proust… A un certo punto il filo conduttore che strappa l’autrice dal Purgatorio è proprio il potere salvifico della letteratura, guida personale della protagonista-purgante, che non ha alcun Virgilio a mostrarle la strada, come Dante Alighieri, ma solo sé stessa. Nonostante l’incertezza, l’apatia, e il tormento l’impulso vitale brilla e si attacca a quella promessa di vita: la fragilità del momento e l’attesa senza scadenza non seppellisce la lotta ma, anzi, è quella sospensione fra due mondi che la acuisce.
In questa visione, la lotta e la sopravvivenza si accostano al pensiero di Schopenhauer sul suicidio che non è visto dal filosofo come un rifiuto o una liberazione dalla volontà, ma come un’affermazione di essa stessa: non costituisce quindi una negazione della vita bensì un’affermazione della volontà di vivere. Le bellezza del romanzo di Ilaria Palomba si dispiega in un caleidoscopio di sfumature che vanno dalla ricchezza del lessico aulico a una narrazione poetica, una sorta di poesia in prosa, dove lirismo e alta letteratura si intersecano in una spirale di emozioni e tormenti, alla speranza di redenzione e al baluginio di una luce che indica l’ascesa al celestiale; la conferma che nonostante traumi, dimensioni sospese e sensazioni ferali si può sopravvivere attraverso una nuova e sfavillante via da percorrere per ridonare sé stessi alla vita.