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Limonov
MOSCOW, RUSSIA - MARCH 10: Russian writer and opposition leader Eduard Limonov takes part in a rally of pro-Kremlin, nationalists and veteran movements in support of Vladimir Putin's policy in Crimea and Ukraine, at Pushkinskaya square on March 10, 2014 in Moscow, Russia. Hundreds of activists gathered to support an intervention of the Russian army in Ukraine. (Photo by Sasha Mordovets/Getty Images)

Addio al dissidente Eduard Limonov, scrittore e uomo in rivolta

Insopportabile, estremista, avventato, vagabondo, dissidente, avventuriero. Da qualunque punto di vista lo si veda, Eduard Limonov, classe 1943, scomparso lo scorso 17 marzo, ha fatto della sua vita un’opera d’arte, devoto alla rissa, coerente nella contraddizione. Soprattutto, Limonov è scrittore autentico, che scortica, disturba, che scrive dissipandosi. Reso celebre dal romanzo Il boia, libro di spericolata violenza, “scritto a Parigi nel 1982”, diceva lui, pubblicato nel 1986 dalla “casa editrice Ramsay, che temendo la censura mutò con imbarazzo il titolo in Oscar et les femmes”,  racconta, dietro il velo romanzesco, aspetti della vita newyorkese underground di Limonov.

Il boia narra di una vertiginosa ascesa sociale ed economica, alimentata da donne dell’upper class desiderose di essere sottomesse, tra noir e grottesco, segnata da due omicidi, in cui Oscar, “il boia”, trova nel sesso e nella dominazione sugli altri quel riscatto negatogli dalle ambizioni infrante. Limonov non giudica. Come se impugnasse una cinepresa, descrive in modo crudo e dettagliato le estreme pratiche sessuali e gli istinti ferini dei protagonisti di quel carnevale che è la vita mondana di New York, ragionando in maniera seria, da un punto di vista letterario, sul sadomasochismo.

Limonov è stato un piccolo delinquente nelle strade di Charkiv, in Ucraina, dove è cresciuto. Suo padre era membro dell’NKVD, antenato del KGB, ma la strada di Limonov era destinata a non incrociare quella dei suoi genitori. E così, tra una rapina e una rissa, Limonov trovava il tempo di scrivere e recitare poesie. In breve è a Mosca, dove inizia a frequentare un gruppo di letterati underground, costretti alla clandestinità dal duro regime sovietico.

Limonov ha una scrittura attraente perché insieme intima e gelida, figlia di una esistenza estrema, anticonformista e distante da ogni materialismo. Era stato in Italia in più occasioni e aveva raccontato il Belpaese con suggestioni folgoranti nel Libro dell’acqua (Alet), la sua opera più originale perché salda affreschi paesaggistici a sfumature sentimentali e passioni amorose. Descriveva con dettagli ora truci ora pieni di umanità l’Adriatico come il Tevere, Ostia e le lande pasoliniane o la Fontana di Trevi a Roma (tra il 1974 e il 1982), accompagnato dall’amata Elena Scapova (moglie che lo lasciò per diventare in seguito vedova di un ricco italiano).

Dall’Italia passava alla Moscova nella capitale russa, tinteggiata mentre sfilava in corteo con decine di giovani che sventolavano il vessillo rosso con al centro la Limonka, la bomba a mano a forma di limone, che diede il nome alla testata che dirigeva. In Italia era tornato con una certa frequenza negli ultimi anni, dopo la celebrità che gli aveva donato la biografia Limonov (Adelphi) scritta da Emmanuel Carrère, tra fiere del libro e ospitate nei circoli identitari (come Terra Insubre), per presentare Zona industriale (Sandro Teti). Politicamente la sua linea era tracciata in Drugaya Rossiya, manifesto dove coesistevano Julius Evola e Lenin, Drieu La Rochelle e Gorky.

I suoi partiti di matrice nazional-bolscevia, però non ebbero successo, anche se era apprezzato dalla giornalista Anna Politkovskaja, che ne elogiava il coraggio civile rispetto al conformismo filogovernativo (una costante in tutti i sistemi politici del nostro tempo). Considerava Putin, il presidente dei ricchi, e gli Stati Uniti d’America un piacevole inferno.

Uomo in rivolta, spregiudicato nel fare proprie le battaglie irredentiste più disparate corre il rischio di diventare icona pop, non solo per il suo abbigliamento da eterno punk e per la parlantina tagliente (in Italia solidarizzava con le forze sovraniste), ma soprattutto perché gli ha dedicato un post anche il cantante Fedez.

La vita di Eduard Limonov, è  stata un romanzo di avventure: al tempo stesso avvincente, nero, scandaloso, scapigliato, amaro, sorprendente, e irresistibile. Perché Carrère è riuscito a fare di lui un personaggio a volte commovente, a volte ripugnante – perfino accattivante. Ma mai, mediocre. Che si trascini gonfio di alcol sui marciapiedi di New York dopo essere stato piantato dall’amatissima moglie o si lasci invischiare nei più grotteschi salotti parigini, che vada ad arruolarsi nelle milizie filoserbe o approfitti della reclusione in un campo di lavoro per temprare il “duro metallo di cui è fatta la sua anima”, Limonov vive ciascuna di queste esperienze fino in fondo.

L’autorevole disincanto con cui ha parlato della Morte è la cifra della complessità umana e letteraria di Limonov: “è chiaro che abbiamo paura della Morte, tutta la nostra vita è segnata da questo appuntamento… pare che ci sia silenzio un attimo prima, Aldo Moro scrisse “se ci fosse luce sarebbe bellissimo”… penso che non si abbia il tempo di piangere, quindi le lacrime e le parole teniamole e usiamole adesso che siamo vivi, sono un dono, usiamole bene”.

 

About Annalina Grasso

Giornalista e blogger campana, 29 anni. Laurea in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con una galleria d'arte contemporanea.

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