Decimo Dan, edito da Edizione la Gru è la silloge di Marco Plebani. Classe 1978, Plebani è un insegnante di Lettere presso la scuola media “E. Fermi” di Macerata. Ha vissuto la sua vita tra Montefano (MC), Macerata e Corridonia, dove attualmente vive con la compagna e con il figlio. La raccolta Un giorno qualunque (Ed OTMA, Milano 2011) è la sua opera prima, con la quale si è classificato secondo al premio A.U.P.I. (Albo ufficiale Poeti Italiani). Sono un rockettaro sfegatato, amo ballare fino allo sfinimento e “canto” (ovvero strillo) in un complesso chiamato “Tetrics”.
<<Adoro fare fotografie e strimpellare la mia chitarra>> dice di se stesso Plebani, nella sua biografia. Si diletta nella poesia dal 1999. Decimo Dan, raccoglie liriche composte in un arco temporale di oltre due decenni, proprio dal 1999 al 2021. Il libro si apre con la prefazione a cura di Pier Marino Simonetti e si chiude con la postfazione di Ricardo Pérez Márquez.
Il titolo dell’opera è un rimando metaforico al massimo grado delle arti marziali inteso come quel più alto livello di consapevolezza che la poesia fa raggiungere. Plebani scandisce il fluire della narrazione in un’unica giornata, cadenzata in tre momenti, antimeridiano, pomeriggio e sera e infine notte. La sezione più corposa è proprio quella di pomeriggio sera con 71 componimenti, poi a seguire notte con 68 e infine antimeridiano con 52. Lo scrittore apre la prima parte della sua silloge con Prima del Big bang:
Che cosa
è
la
vita
sulla
Terra?
È il tormentato sogno di Dio.
Già dai primi versi si intuisce il senso di malinconia e di afflizione che l’autore vive nel tempo della narrazione. La realtà di un mondo forse troppo distante, troppo diverso da lui, talvolta si percepisce quasi la sua angoscia e il suo straniamento. E’ forse per questo che In istruzioni per l’uso rivolge un invito a chi legge:
Leggimi, lettore, se questo vuoi:
fallo con voce
bassa,
lenta,
modulata,
medianica,
affrettata ove è necessario.
Che tu possa, lettore, aderire
a codesti dettagli inconoscibili;
impara, però, predisposto silenzio
Lo scenario che si apre per chi legge è un mondo fatto di magiche suggestioni ma anche riflessioni profonde e talvolta taglienti. Plebani non parla di cose distanti da lui ma di esperienze vissute, fatti personali che si consacrano di eterno una volta sulla carta. Perché colleziono ricordi per il futuro scrive nel brevissimo componimento Crono.
L’autore trasforma in versi tutto ciò che ha vissuto, e visto, descrivendo anche molto attentamente i sentimenti provati in quelle determinate situazioni: gli incontri con alcuni suoi alunni che ha conosciuto nel suo peregrinare da docente, così come le serate trascorse con qualche suo amico di uscite, determinati luoghi in cui è passato come Recanati oppure come la poesia Parco Cormor ispirata, invece, ad un fatto di cronaca successo a Udine nel 2012.
Plebani invita il lettore ad entrare nell’ intimo mondo di chi scrive senza paura di farsi leggere dentro, perché il Poeta è colui che sensibile pelle espone ai rovi. Da musicista l’autore ha imbastito un pentagramma poetico fatto di diverse melodie. In Decimo Dan c’è molto ritmo e musica. I componimenti che si susseguono sono di lunghezza diverse: alcune estremamente brevi altri, invece, decisamente più lunghi. Le metriche usate sono varie: dal più comune sonetto e verso libero a qualcosa di più ricercato come il madrigale e la còbbola provenzale.
Un efficace supporto in questo senso è l’apparato delle note al testo che in maniera precisa erudisce anche i meno esperti di metrica. I versi sono per lo più endecassillabi e/o in versi sillabicamente dispari. Ogni componimento va minuziosamente decifrato. In Decimo Dan massiccio è il ricorso al mito, da Prometeo ad Orfeo, a Penelope, fino ai luoghi come Itaca.
Figure o rimandi mitologici incastonate sapientemente tra i versi, una chiave di lettura ancor più immediata per i lettori, che attraverso rimandi metaforici riescono a svelare i significati più nascosti. Ogni parola nelle sue poesie non è messa lì a caso ma tutte sono armoniosamente vicine per una costruzione. Non mancano all’interno delle poesie aspre critiche come si nota nella sezione pomeriggio sera e nello specifico nella poesia intitolata In città:
All’ascolto di urbane disarmonie
conosco un prezzo: sensibilità deviate.
Uomini chini,
colpiti ad intermittenza
da miriadi di messaggi
pubblicitari accesi e spenti.
Oppure Panta Rei:
Il naturale tramutar del tutto
porterà via volendo
un’umanità disumanizzata
da pornografia e videopoker.
Intrattenimento dei persuasori
occulti.
Uno scandalo al giorno non sia norma.
Con parole graffianti Plebani si scaglia contro un’umanità disumanizzata fatta di uomini persi con la testa negli smartphone, ormai assuefatti dal suono dei messaggi e intrappolati da pornografia e videopoker. Uomini condannati ad una dimensione inequivocabilmente orizzontale, curvi su loro stessi. Ma forse l’aspetto più sorprendente di questa silloge è proprio la parte finale: l’ultima sezione Notte si chiude con la stessa riflessione iniziale ma con una consapevolezza diversa:
Padre-Nonno che sono in Terra diventato,
lento, lento e lentamente
ancor
mi chiedo:
«Che cos‟è la vita sulla Terra?»
«Che cos‟è la vita sulla Terra?»
«Che cos‟è la vita sulla Terra?»
È il tormentato sogno di Dio
Una penna molto creativa e mistica quella di Plebani che si avvale di uno stile certamente anticonvenzionale, pungente, e ricorda la tradizione delle invettive tra Medioevo e Umanesimo, e che induce il lettore a non avere paura di andare oltre il visibile, a scoprire qualcosa, perché finché ci sono domande, ci saranno sempre risposte da trovare.