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‘Petrolio’: l’incompiuto testamento di Pasolini

Ex oriente lux, ma non solo: il mito delle Argonautiche ricorda, in chiave metaforica, quanto l’Oriente fosse fonte di approvvigionamento per i Greci, bisognosi di oro e di grano. Giasone riesce a convertire la figlia di Eeta re della Colchide, Medea, pur di ottenere il vello d’oro di Crisomallo, ariete di Ermes. Le stesse Argonautiche che sono menzionate – ma non citate – in Petrolio, ultima e incompiuta fatica di Pier Paolo Pasolini, intellettuale atipico quanto opinabile, che forse non a caso intitola così il suo “poema a comparti”.

Petrolio, romanzo pubblicato postumo, nel 1992, viene concepito in un’epoca dai tratti ancora oggi oscuri, quale può essere quella degli anni di piombo, in cui si inserisce sia come opera che cerca di svecchiare i preesistenti modelli stilistici e retorici di cui ci si serviva per scrivere romanzi, come nel contempo cercheranno di fare anche Elsa Morante, Paolo Volponi e Stefano d’Arrigo, sia come tentativo di chiara denuncia, coerentemente al percorso ideologico dello scrittore di Casarsa.

Petrolio: stile e contenuti

Siamo tra il 1973 e il 1975, Pasolini annuncia che si sarebbe dedicato ad un’opera che l’avrebbe impegnato per tutta la vita. E bisognerà peraltro aspettare il 1992 affinché la casa editrice Einaudi decida di affidare al pregiato filologo Aurelio Roncaglia il compito di redigere una versione postuma a partire dallo scartafaccio pasoliniano, attualmente custodito al gabinetto Viesseux di Firenze. Non stupisce che un’informazione distorta e parziale possa riscaldare gli animi, ed è ciò che successe quando, a pochi giorni dalla pubblicazione di Petrolio, l’imprudente penna di Nello Ajello liquidò su l’Espresso l’opera dell’autore come uno zibaldone di sconcezze, “come solo da Pasolini ci si poteva aspettare”. Una lettura, la sua, limitata al sicuramente forte capitolo “Il pratone di Casilina”, dove, in sintesi, il protagonista Carlo si prostituisce con venti ragazzi dei Parioli in un susseguendosi di rapporti orali di dura ricezione da parte del lettore, in effetti.

Si farebbe torto all’impegno di Pasolini, invero, se si circoscrivesse il discorso intorno ad una superficiale analisi del dato erotico-scandalistico, che molta presa ha sui lettori che totemizzano e su quelli che, viceversa, condannano la figura del nostro intellettuale. Il Pasolini sovversivo, spesso mitizzato, caricato, ideologicamente stressato, è sempre stato anche il Pasolini saggista, ovvero un uomo che guarda alla società non da lontano, non da fuori, bensì saggiandola, non ritenendo la cultura un piatto da esibire, adatto ad un consumo chic, ma rivendicandone la dimensione pragmatica: la cultura va «agita», non è un inerte museo. È per questo che l’opera di Pasolini evita di toccare superficialmente problemi di etica e costume, preferendo di gran lunga inserirsi in prima persona nei problemi, smanioso di fornire un’interpretazione sincera, senza filtri.

Non stupisce, pertanto in Petrolio la presenza di lunghe riflessioni, allegoriche e non, sia sui problemi del singolo individuo che su quelli che lo legano alla società, dalla decadenza dei costumi, grande tema di fortuna millenaria, alle tensioni politiche ed economiche. Non è un caso che la verve dell’invettiva sovversiva di Pasolini sia così accesa negli anni di piombo, che saranno poi gli ultimi anni della sua vita, stroncata presso l’Idroscalo di Ostia, strage inattesa o forse più contestuale di quanto si creda.

Il legame tra Petrolio e l’ultimo Pasolini

Lo stretto legame tra Petrolio e l’ultimo Pasolini, quello disperato per il buio in cui sprofonda il paese, destabilizzato da più di un centinaio di attentati, può essere rintracciato proprio nell’affinità degli attacchi rivolti, sia all’interno dell’opera sia negli interventi pubblici, alla Democrazia Cristiana e ai suoi gerarchi, ai loschi rapporti economici con i paesi arabi e con l’Eni. Si legge, a tal proposito, qualche stralcio di un intervento di Pasolini apparso sulla rivista <<Il mondo>> il 28 agosto 1975, due mesi prima del suo omicidio:

“[…] tutto il mondo politico italiano era, ed è, pronto ad accettare sostanzialmente la continuità del potere democristiano, o con fiducia miracolistica, mascherata da serietà professionale, o con gratificante disprezzo. […] In conclusione, il Psi e il Pci dovrebbero per prima cosa (se vale questa ipotesi) giungere ad un processo degli esponenti democristiani che hanno governato in questi trent’anni (specialmente gli ultimi dieci) l‘Italia. Parlo proprio di un processo penale, dentro un tribunale. Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno una dozzina di altri potenti democristiani (compreso forse per correttezza qualche presidente della Repubblica) dovrebbero essere trascinati, come Nixon, sul banco degli imputati. Anzi, no, non come Nixon, restiamo alle giuste proporzioni: come Papadopulos. Senza un simile processo penale, è inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro Paese”.

Senza prendere posizione in merito, al di là di quanto di vero o falso vi fosse nella critica di Pasolini, sarà unanimemente considerato un dato oggettivo il rumore che la sua voce potesse fare in quegli anni; si ricorda, tra l’altro, che sarà soltanto vent’anni dopo che Petrolio vedrà la luce in una forma pubblicabile. Una forma mutila, per giunta, essendo lo scartafaccio di 600 pagine dichiarate e di 522 pagine effettive.

Ora, non è affatto scontato che il famoso Appunto 21, di cui nel manoscritto Petrolio rimane solo il titolo (Lampi sull’Eni), sia stato trafugato. Ci sono elementi, infatti, che concorrono a questa ipotesi: intanto nell’Appunto 22 Pasolini lo cita come un capitolo già scritto, che doveva contenere, tra l’altro, riferimenti espliciti al periodo partigiano di Cefis, oscurato da un episodio compromettente (l’uccisione di Mattei?). Di un’effrazione in casa Pasolini nei giorni successivi all’omicidio, poi, parla un cugino dello scrittore, Guido Mazzon, che ricorda una telefonata in cui la cugina Graziella Chiarcossi comunicava quel furto. Nel marzo 2010, Marcello Dell’Utri annunciò che quelle carte sarebbero state esposte alla <<Mostra del libro antico di Milano>>, salvo poi tirarsi indietro. Nessuna speranza, pertanto, di rintracciare il capitolo perduto.

Per quante tesi si possano avanzare in merito, siano esse di natura complottistica o di generico scetticismo, ne resta, purtroppo, solo l’ovvia indimostrabilità: avrebbe destato realmente scalpore il capitolo di Petrolio dedicato all’Eni? Ha qualche attinenza con il tardivo interesse filologico verso l’opera? La morte di Pasolini è stata frutto di un disegno o la soluzione servita su un piatto d’argento ai colpevoli e/o detrattori?

 

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