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Annalina Grasso

Giornalista, social media manager e blogger campana. Laureata in lettere e filologia, master in arte. Amo il cinema, l'arte, la musica, la letteratura, in particolare quella russa, francese e italiana. Collaboro con L'Identità, exlibris e Sharing TV

La Suor Orsola Benincasa ricorda Giuseppe Galasso, padre del “Paesaggio come bene culturale”, scomparso ieri

giuseppe galasso

Giuseppe Galasso si era affermato come storico dell’Età moderna, con grande attenzione anche al Medioevo e al Risorgimento. Aveva aderito al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa e di Giovanni Spadolini, per il quale era stato deputato dal 1983 al 1994, ricoprendo due volte il ruolo di sottosegretario, prima ai Beni culturali e poi all’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Per breve tempo era stato sindaco di Napoli e - dal 1978 al 1983 - Presidente della Biennale di Venezia. Aveva curato la riedizione delle opere di Croce per Adelphi, dirigeva la rivista «Acropoli» (Rubbettino), scriveva sul «Corriere». Inoltre era docente di Storia moderna all'università Suor Orsola Benincasa di Napoli e dal 1977 socio dell'Accademia dei Lincei.

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Karl Kraus, aforista ironico e tagliente che non ha lesinato critiche alla società, ai politici e ai mass media del suo tempo

karl kraus

«Accidenti alla legge!»: con questo aforisma si potrebbe riassumere il carattere satirico, ironico e tagliente di Karl Kraus (Jičín, all’epoca parte dell’Impero asburgico, oggi della Repubblica Ceca), 28 aprile 1874 – Vienna, 12 giugno 1936), scrittore, aforista e giornalista che non ha lesinato critiche alla società, ai politici e ai mass media della sua epoca (rilevo, purtroppo, che abbiamo soltanto poche menti libere, ma soltanto scribacchini di infimo ordine).

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Sanremo 2018: una nuova e spontanea nostalgia naziol popolare

sanremo

C'è un barlume di tradizione che fa schizzare l’indice di qualità di qualsivoglia consenso. Non sempre il giovanilismo innovativo (o finto tale) è sinonimo di geniale ascesa darwiniana: macché. A volte il nuovo puzza di vecchio. Altre è morto dentro. Prendiamo Sanremo 68 –, tra i fiotti di artisti trentenni e ventenni della new age musicale, si fa spazio un venticello classicista soffiato da antichi lupi di mare. L’onda briosa solletica il pubblico, che in molti casi, mica è fesso.

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Foibe: tredici anni fa, la prima celebrazione del ‘Giorno del Ricordo’, in memoria di quasi ventimila italiani torturati e assassinati

Foibe

Esattamente tredici anni fa, nel 2005, gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale. La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all'esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate.

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Le meraviglie del precinema: il cannocchiale anversano e il diorama nello scrigno, tra arte e letteratura

precinema-diorama

Un mondo sconosciuto agli albori del cinema e della stessa fotografia, ma non meno immaginifico e dinamico di quello inaugurato dai fratelli Lumière. Un universo composto di dettagli, un microcosmo fatto di particolari e finezze che stimolano la fantasia, l’ingegno, il sogno. Certi oggetti (e certi mondi) si scoprono, magari, per caso. Si fa scricchiolare il vecchio parquet di una casa-museo ad Anversa, come potrebbe essere quella del pittore fiammingo Rubens, e si vede spuntare nel mobilio – tra i ritratti, i baldacchini e gli utensìli… – un manufatto unico: si tratta di un grande scrigno di mogano, ancora lucido e intatto, alto e affusolato, con al centro una lente da cannocchiale. Il Seicento è un secolo pieno di cannocchiali, non solo per la fama che ad essi ha dato Galileo, ma perché la loro storia inizia proprio nella vicina Olanda. D’altra parte Emanuele Tesauro, il grande letterato barocco italiano, intitola nel 1654 la sua opera più conosciuta, quasi un “manifesto” del barocco come lo conosciamo, Il cannocchiale aristotelico, dove la metafora, l’acutezza e l’ingegno acquistano per la prima volta nella storia il loro grande prestigio. Il vero problema, tornando al nostro scrigno, è che esso è chiuso. La domanda è: a cosa può mai servire un cannocchiale per vedere all’interno di una scatola chiusa? L’ottica, se lo osserviamo bene, è inversamente proporzionale a quella di Galileo, dove il cannocchiale punta invece verso gli astri, aprendosi all’infinitezza di altri mondi e scoprendo, tra le altre cose, i crateri lunari: qui il cannocchiale – una semplice lente – punta a un interno buio e serrato. Un altro complesso ossimoro dell’età dei riccioli e della meraviglia? Può darsi, ma come in ogni buon ossimoro, dietro c’è una verità.

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‘Lettere dal fronte alla famiglia’,1915-1918 di Ernst Jünger: pagine d’acciaio che fotografano senza paura e con una poesia che cancella la poesia, la trincea, la morte, l’orrore

lettere dal fronte di Jünger

Lettere dal fronte alla famiglia, 1915-1918 è una raccolta di epistole spedite durante la Grande guerra dal giovane soldato di fanteria Ernst Jünger ai suoi familiari. Il carteggio contiene inoltre alcune lettere di risposta, tra le quali spiccano quelle del fratello e del padre di Jünger. Il testo, presentato da Heimo Schwilk e tradotto da Francesca Sassi, è uscito in Italia nel 2017 per i tipi della LEG e contribuisce, più di altri documenti del tempo, a fornire una descrizione realistica della situazione vissuta dai militi allorquando il conflitto si trasformava, a causa della tecnica e della connessa volontà di potenza, in un’immensa e titanica guerra di materiali.

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‘La persona e il sacro’, l’ultimo saggio di Simone Weil che attacca il concetto di personalismo e la nozione di diritto cui oppone quello di giustizia

La persona e il sacro

Scritto da Simone Weil all’inizio del 1943, poco prima della morte, il breve saggio La persona e il sacro è una sintesi della sua antropologia. Non possiamo dire che qualche essere umano non ci interessa senza ferirlo e senza commettere una grave ingiustizia, però possiamo legittimamente dire che la sua persona non ci interessa. Ma anche in riferimento a se stessi la differenza tra se stessi e la propria persona è essenziale. Infatti, ammonisce la Weil, posso dire «La mia persona non conta” senza degradarmi, ma non posso autoflagellarmi e screditarmi dicendo “Io non conto”» (p. 11). Una determinata persona o la persona umana non hanno nulla di sacro. Sacro è invece un certo uomo in carne ed ossa. Inutile quindi volersi appellare alla persona, che Weil considera una nozione sbagliata. «Se quel che vi è di sacro in lui per me fosse la persona umana, potrei cavargli gli occhi facilmente. Una volta cieco, sarà una persona umana esattamente come prima» (p. 12). Neppure se aggiungiamo i diritti della persona umana andremo lontano. Si tratta di nozioni vuote, ancorate a nulla e quindi suscettibili di essere utilizzate per giustificare qualsiasi tirannia. Di più: se un uomo fosse sacro nella sua interezza, non lo sarebbe per le sue braccia lunghe, per i suoi pensieri mediocri, per la sua occupazione − per nessuno degli aspetti particolari che lo caratterizzano.

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Kafka o l’assenza dell’attesa: il radicale disincanto dello scrittore cecoslovacco per mettersi al riparo dalla tentazione di ogni illusione

franz kafka

Il radicale disincanto che pervase il pensiero e il sentimento della vita di Kafka non risparmia nemmeno la letteratura, che tuttavia fu alla base della sua vita. Egli scelse di scrivere non come tentativo di sfuggire all’infelicità o all’inadeguatezza, ma per mettersi al riparo dalla tentazione di ogni illusione. Questa negazione, all’origine, dell’attesa è l’angolazione assoluta da cui Bataille sembra guardare Kafka. Dopo aver sottolineato, non senza ironia, che la proposta-interrogativo dei comunisti di bruciare Kafka era stata preceduta dalla volontà o almeno dal desiderio dell’autore, Bataille afferma: «Capì che la letteratura gli rifiutava la soddisfazione attesa, e questo egli voleva: ma non cessò di scrivere. Sarebbe anzi impossibile dire che la letteratura lo deluse. Essa non lo deluse, ad ogni modo, in paragone ad altre finalità possibili» (LM, IX, 272; 138). A questo punto Bataille si inoltra nell’atmosfera e nel linguaggio kafkiani per ammettere che forse la letteratura fu per Kafka ciò che ai suoi occhi era stata la Terra Promessa per Mosè. Bataille ci indica, attraverso una pagina dei Diari, che idea avesse Kafka della Terra Promessa a Mosè. Scriveva Kafka: «Il fatto che egli giunga a vedere la Terra Promessa soltanto alla vigilia della morte non è credibile. Questa suprema prospettiva ha un unico senso, quello di rappresentare fino a che punto la vita umana sia un istante imperfetto: imperfetto perché questa specie di vita (l’attesa della Terra Promessa) potrebbe durare indefinitamente senza che ne risultasse mai qualcosa di diverso da un istante. Mosè non raggiunse Canaan non perché la sua vita fu troppo breve, ma perché era la vita di un uomo» (LM, IX, 272;138).

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