Dal racconto Il fosso (1949) al romanzo L’impuntata (1960), il percorso letterario della scrittrice e maestra elementare abruzzese Laudomia Bonanni (L’Aquila, 8 dicembre 1907 – Roma, 21 febbraio 2002), è stato deciso e probo, non incline alle sollecitazioni esterne che hanno caratterizzato la narrativa novecentesca. Ai più il nome di Laudomia Bonanni può non dire nulla, ma la scrittrice abruzzese ha offerto un importante spaccato della realtà contemporanea abbracciando sia la tematica politico-sociale che quella filosofico esistenziale, costruite su uno stile inconfondibile.
Le opere iniziali della scrittrice sono caratterizzati da un ostinato bisogno di andare a fondo nella realtà delle cose e dei sentimenti, alla ricerca del dettaglio più incisivo, aspetto che pur non abbandonato del tutto nei suoi romanzi successivi, si arricchisce di una certa fluidità narrativa. La Bonanni spesso impronta il racconto su due fronti: quello dell’inchiesta poliziesca e giudiziaria e quello dell’indagine morale, di ambiente e di costume. Il lettore si sente avvolto dalle opere della Bonanni, anzi ne resta invischiato perché ha la sensazione di partecipare alle vicende senza scampo; e risiede proprio qui il potere stilistico della scrittrice: è in questa capacità di rendere il linguaggio duttile e resistente, sinuoso, rigoroso sintatticamente, fatto di proposizioni brevi. La tecnica formale della Bonanni applica una sorta di scienza del guardare, ma il suo non è un guardare analitico, è un guardare interno, sorretto da un’amara coscienza morale, ed è evidente come la scrittrice sia stata influenzata dalle letture di James Joyce e di Virginia Woolf . Dalle opere della Bonanni emerge anche una scontrosa carità, una chiaroveggenza interiore, la tendenza ad avvolgere i sentimenti dei suoi personaggi, quasi tutti di estrazione piccolo-borghese o paesana, in una rete di notazioni psicologiche, costruita su uno sfondo tutt’altro che nitido.
Tuttavia con il romanzo L’adultera (1964) la Bonanni sembra non voler più affaticare il lettore e condensa la sua consueta indagine interiore in una fluente epigrammaticità: ogni sensazione, ogni immagine, ogni ricordo, ogni pensiero, affiorano nella mente della protagonista del romanzo, Linda, una Madame Bovary novecentesca spoglia di ogni sentimentalismo, romanticismo e trasalimenti patetici. Il discorso narrativa diventa indiretto ed ellittico, a volte epigrafico. Linda è una donna stanca di suo marito tornato in casa dopo anni di prigionia, inerme sessualmente, che si divide tra questa sua stanchezza e l’amante che l’aspetta a Roma. La donna, ancora bella, si trova a vivere una condizione di nevrastenia psicopatica, è insofferente, ansiosa ma lucida, come denotano le pagine “proustiane” dedicate al suo viaggio in treno, immersa in un dormiveglia che le favorisce il riemergere dei ricordi del passato, della sua vita intima.
Laudomia Bonanni ci ha offerto con arte e sobrietà anche un dato della psicologia e del costume della donna del nostro tempo, nella sua trasformazione in atto, partendo dall’osservazione femminile nel quadro etico-sociale dell’Italia contemporanea. Tra le altre sue opere ricordiamo: Palma e sorelle (1954), Città del tabacco (1977), Vietato ai minori (1974), La rappresaglia (uscito postumo del 2003) oltre a diverse opere di narrativa per ragazzi.